Imposta di soggiornoL'imposta di soggiorno, detta impropriamente tassa di soggiorno, in Italia, è un'imposta locale a carico delle persone che alloggiano nelle strutture ricettive in luoghi classificati come località turistiche o città d'arte. StoriaFu istituita nel 1910[1] per le stazioni termali, climatiche e balneari ed estesa nel 1938[2] alle località di interesse turistico. Fu abolita il 1º gennaio 1989. Quasi contemporaneamente all'inizio del secolo scorso fu istituita anche in Francia, dove vige tuttora, così come in molti altri stati europei e negli Stati Uniti. In Francia nacque su iniziativa dei deputati Lebrun e Ceccaldi, come imposta sul prezzo dei treni dei pendolari transfrontalieri, provenienti soprattutto dal Belgio, ma anche all'Italia, i quali beneficiavano di un maggiore salario reale in rapporto al costo dei generi alimentari e della vita, alle tariffe di trasporto e alla pressione fiscale in genere.[3] Fra le motivazioni per le quali in Italia era stata soppressa (art. 10, decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66)[4], si è considerata anche l'occasione dei campionati mondiali di calcio del 1990. In quell'occasione si considerò che l'abolizione dell'imposta avrebbe consentito prezzi più bassi da parte degli alberghi e degli altri esercizi ricettivi durante l'evento e che vi sarebbe stata una maggiore competitività. Fu reintrodotta nel 2009, quindi 20 anni dopo. Disciplina normativaLa legge n. 42/2009 sul federalismo fiscale ha aperto in Italia nuovi scenari di autonomia per gli enti locali; in questo contesto il settore turistico è stato subito interessato al mutamento in atto. L'imposta di soggiorno è stata, infatti, reintrodotta nell'ordinamento italiano con i due provvedimenti seguenti:
Modalità di applicazioneLe modalità di applicazione sono diverse, possono essere fisse e variabili, con scaglioni associati alle tipologie e categorie alberghiere, con percentuali, con scaglioni associati al prezzo, alla localizzazione e al periodo e, in alcuni casi, un'aliquota percentuale o una misura forfettaria. Sono previste esenzioni differenziate da comune a comune in base alla residenza, alle classi di età (per ragazzi e giovani e per la terza e quarta età), all'attività svolta e alla durata della permanenza (l'imposta non viene applicata se un soggetto pernotta per più di un certo numero di notti), per i disabili, secondo la proprietà della struttura ricettiva, alla stagionalità e ad altre cause. L'applicazione dell'imposta avviene secondo criteri eterogenei, ma entro i 5 euro. Nel testo si legge che “i Comuni (...) potranno istituire un'imposta di soggiorno a carico di chi alloggia nelle strutture ricettive del proprio territorio. L'imposta sarà applicata con gradualità, fino a un massimo di 5 euro per notte di soggiorno, in proporzione al prezzo. Il gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali”. Alcuni Comuni hanno deciso di rinunciare a questa possibilità, altri invece hanno colto quest'opportunità per generare nuove entrate nelle casse comunali. Con riferimento alle città d'arte italiane la prima a istituire l'imposta di soggiorno con delibera comunale è stata la città di Roma, con una normativa entrata in vigore dal 1º gennaio 2011 (Legge n. 122 del 2010). Il Comune di Roma, tuttavia, dal 1º settembre 2014 ha portato l'imposta di soggiorno a 7 euro, come era consentito dalla legge dedicata (decreto-legge n. 78/2010). A Roma hanno fatto seguito altre città d'arte, tra cui Firenze (1º luglio 2011), Venezia (23 agosto 2011), Catania (1º settembre 2011), Pisa (1º gennaio 2012), Siena (1º marzo 2012), Torino (2 aprile 2012), Vicenza (1º maggio 2012), Verona (1º agosto 2012), ecc., ma anche località balneari, montane e lacuali, come pure piccoli e medi Comuni. I Comuni che in Italia hanno istituito l'imposta di soggiorno hanno usato diverse modalità applicative. Le situazioni comprendono tre tipi:
I regolamenti comunali variano per i soggetti dell'imposta, la durata del soggiorno cui si applica, le eventuali esenzioni dal tributo. Alcune località applicano l'imposta fino al 30º giorno di pernottamento, in altre località si paga per le prime 5 notti, in altre non vi è menzione di un massimo di pernottamenti consecutivi. Le esenzioni nelle strutture ricettive interessano: under-14, over-65, disabili, coloro che si recano nelle strutture sanitarie pubbliche o private del comune in regime di ricovero, per terapie o visite specialistiche, con estensione del beneficio a max due accompagnatori, dipendenti della pubblica amministrazione, pubblici ufficiali in servizio, quanti sono alloggiati emergenze.[7] Le località balneari stagionali spesso non applicano l'imposta in bassa stagione. Un tratto comune è l'esenzione ai minori, ma anche qui si notano differenze nell'età.
La gestione può risultare onerosa per gli imprenditori, ma è trasparente per il turista che è tenuto a pagare l'imposta al titolare della struttura ricettiva (albergo; dove previsto anche B&B, affittacamere) al termine del periodo di soggiorno. Il titolare provvede alla riscossione dell'imposta, rilasciandone regolare quietanza, e ne versa l'ammontare al Comune secondo le specifiche modalità previste dal regolamento applicativo. Al 2017, l'imposta di soggiorno è applicata in diciotto Paesi dell'Unione Europea, ovunque come imposta locale con l'eccezione di Malta. La riscossione avviene secondo modalità comuni: è a cura del titolare della struttura ricettiva che, al momento del check-out, incassa una tariffa determinata per notte e pro-capite, in funzione della categoria di albergo, della zona geografica, della vicinanza alle mete turistiche più frequentate. È ovunque previsto un tetto massimo per notte/persona e un numero massimo di pernottamenti oltre il quale la tariffa non è più applicabile, unitamente a un regime di esenzioni per causa o scopo del soggiorno.[8] L'Italia è il Paese europeo con la tassa di soggiorno turistico più elevata[9], e dove tale tributo è applicato anche per il rinnovo del permesso degli immigrati[10] In genere,[senza fonte] le leggi nazionali prevedono che la percentuale sul costo del soggiorno sia vincolata a bilancio sullo stesso capitolo di spesa pubblica, per la promozione della domanda e il miglioramento dell'offerta turistica mediante l'organizzazione di manifestazioni culturali, eventi e servizi. Tale destinazione d'uso è imposta anche dalla legge italiana, per la quale il gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali.[11] Gli Stati Uniti hanno introdotto nel 2010 una tassa di ingresso di 14 dollari[13], da versarsi all'atto della richiesta di autorizzazione al viaggio, dieci dollari sono destinati alla promozione turistica.[14] A New York è previsto un contributo di tre dollari e mezzo, cui si aggiunge una room tax in percentuale riferita alla categoria di albergo.[15] Nel 2009 il contributo andava da 2 a 6 dollari per notte e pro-capite.[16] L'applicazione a livello comunaleLa norma nazionale dà facoltà alle amministrazioni comunali, con proprio regolamento, di adottare l'imposta a seconda di autonome esigenze di bilancio o scelte politiche, diverse da comune a comune. Nel 2013 sono stati 500 i Comuni italiani che hanno applicato l'imposta di soggiorno (dati Osservatorio Nazionale sulla Tassa di Soggiorno[17]) garantendosi un incasso pari a 287.350.000 euro, che diventeranno oltre 382 milioni nel 2014. Nell'inverno 2014 i Comuni che applicano l'imposta di soggiorno sono infatti diventati 649, ben 149 in più rispetto a dicembre dello scorso anno, con un incremento del 29,8%. I Comuni che oggi applicano l'imposta di soggiorno o la tassa di sbarco corrispondono all'8% di tutti i comuni italiani e al 9,5% di quelli nei quali è presente almeno un esercizio ricettivo. Pertanto rispetto ai comuni che possono applicarla l'incidenza è del 16,6%. Inoltre la ricettività in termini di camere o posti letto nelle strutture ricettive dei comuni che applicano l'imposta di soggiorno o la tassa di sbarco, è pari al 53,0% di tutta la ricettività presente in Italia mentre, considerando i pernottamenti della clientela, essa copre il 64,1% della domanda (72,5% di quella straniera e il 56,5% di quella domestica). Il 33,0% dei comuni che applicano l'imposta si trova nel Nord Ovest, il 26,1% nel Nord Est, il 20,6% nel centro e il 19,4% nel Mezzogiorno. I comuni che per vari motivi non possono applicare l'imposta sono oggi 4.164, di cui 1.239 perché senza alcun esercizio ricettivo o per la mancanza dei requisiti previsti. Benefici finanziari per la Pubblica AmministrazioneL'incidenza dell'imposta sulle entrate dei bilanci comunali va da un massimo di 8,2% di Montecatini Terme a valori minimi per le grandi città come Napoli e Milano, con lo 0,3%. Gli impieghi delle somme raccolte sono in primo luogo utilizzati per manifestazioni ed eventi culturali 29,1%, per la sostenibilità ambientale (17,0%), per il sostegno alle istituzioni (15,9%), per i servizi di trasporto pubblico (12,8%) e in misura più limitata per la promozione (5,7%). Osservatorio sulla fiscalità localeLa redazione del rapporto a scala nazionale sulla fiscalità locale che è denominato "Osservatorio sulla fiscalità locale" è curata dalla associazione maggiormente rappresentativa degli albergatori italiani. Il primo rapporto è stato redatto nel gennaio 2012 e nel luglio 2014 è stata pubblicata la quinta edizione nella quale sono riportati in sintesi i regolamenti di tutti i comuni che hanno applicato l'imposta con la possibilità di andare direttamente al documento base di ogni singolo comune.[18] Elenco dei ComuniAbruzzoBasilicataCalabria
Campania
Emilia-Romagna
Friuli Venezia GiuliaLazioLiguria
Lombardia
MarchePiemonte
Puglia
Sardegna
Sicilia
Toscana
Trentino Alto Adige
UmbriaValle D'Aosta
Veneto
Note
Collegamenti esterni
|