Riforma monetaria di CaracallaLa Riforma monetaria di Caracalla o Antoniniana (dal nome dell'Imperatore Caracalla, ovvero Marco Aurelio Antonino), venne attuata attorno al 215,[1] allo scopo di poter meglio sostenere una politica che vedeva nell'esercito romano la base del nuovo potere imperiale. Contesto storicoTra il 14 (alla morte di Augusto) ed il 150 d.C. (sotto Antonino Pio) il costo dell'esercito era cresciuto moderatamente (come percentuale del PIL), malgrado un incremento degli effettivi di circa il 46-47%: da 260.000 armati circa (senza considerare i 40.000 classiarii della marina militare romana) del 23,[2] a 383.000[3] sotto Adriano, fino ad arrivare alla morte di Settimio Severo nel 211 a 442.000 soldati circa [4], questo perché la popolazione dell'impero, e quindi il PIL totale, aumentò sensibilmente (+35% circa). Successivamente la percentuale del PIL dovuta alle spese per l'esercito crebbe di quasi la metà, sebbene l'aumento degli effettivi dell'esercito fu solo del 15% circa (dal 150 al 215). Ciò fu dovuto principalmente, sia al considerevole aumento della paga militare al tempo della dinastia dei Severi (vedi tabella sotto), sia alla peste antonina (che colpì l'Impero romano dal 166 al 185 circa), che gli storici epidemiologici hanno stimato aver ridotto la popolazione dell'impero tra il 15% ed il 30%. Qui sotto trovate una tabella che riassume l'incremento della paga di un singolo legionario romano, dall'epoca di Augusto fino a quella di Caracalla, sulla base dei calcoli effettuati da alcuni studiosi moderni e dei pochi elementi letterari dell'epoca,[5] dove si evidenzia un forte incremento generale della paga dell'esercito romano soprattutto durante i regni di Settimio Severo e Caracalla:
Tuttavia, anche nel 215 i Romani spendevano una percentuale sul PIL simile a quella che oggi spende la difesa dell'unica superpotenza globale, gli Stati Uniti d'America, (pari al 3,5% del PIL nel 2003). Ma l'effettivo onere dei contribuenti, in un'economica pressoché agricola con una produzione in eccedenza veramente limitata (l'80% della popolazione imperiale dipendeva da un'agricoltura di sussistenza ed un ulteriore 10% dal reddito di sussistenza), era certamente molto più gravoso. Infatti, uno studio sulle imposte imperiali in Egitto, la provincia di gran lunga meglio documentata, ha stabilito che il gravame era piuttosto pesante.[6]
Le spese militari costituivano poi il 75% circa del bilancio totale statale, in quanto poca era la spesa "sociale", mentre tutto il resto era utilizzato in progetti di prestigiose costruzioni a Roma e nelle province; a ciò si aggiungeva un sussidio in grano per coloro che risultavano disoccupati, oltre ad aiuti al proletariato di Roma (congiaria) e sussidi alle famiglie italiche (simile ai moderni assegni familiari) per incoraggiarle a generare più figli.[12] Principali novità della riforma: monete e pesi
L'aureo era già stato deprezzato da Nerone nel 64, passando nel tempo, poco a poco, da un peso teorico di 1/40 di libbra (epoca di Cesare) a 1/45 sotto Nerone, con una svalutazione dell'11%. Con Caracalla l'aureo venne svalutato di nuovo, portandolo ad 1/50 di libbra (6,54 g).
Riguardo invece al denario sappiamo che, sotto Cesare ed Augusto, aveva un peso teorico di circa 1/84 di libbra, ridotto da Nerone a 1/96 (pari ad una riduzione del peso della lega del 12,5%). Contemporaneamente, oltre alla riduzione del suo peso, vi era anche una riduzione del tuo titolo (% di argento presente nella lega), che passò dal 97-98% dell'epoca augustea al 93,5% (per una riduzione complessiva del solo argento del 16,5% ca).[14] Il denario, infatti, continuò il suo declino durante tutto l'impero di Commodo e di Settimio Severo, tanto da vedere ridotto il proprio titolo a meno del 50% di argento.[15]
Vennero, inoltre, introdotte monete con valore raddoppiato: il doppio aureo (o binione, che pesava attorno ai 13.30 grammi con un modulo di 24 mm) ed il doppio denario (o antoniniano argenteus), anche se per quest'ultimo non contenne mai più di 1,5 volte il contenuto d'argento del denario (per di più svalutato nel titolo al 50%).[20] Comunque, mentre l'aureo riuscì ad avere una valutazione abbastanza stabile, anche l'antoniniano conobbe la stessa progressiva svalutazione vista col denario, fino a ridursi ad un contenuto d'argento del 2% al tempo di Aureliano.
La moneta dell'antoniniano, introdotta da Caracalla all'inizio del 215, era completamente d'argento e simile al denario. Era leggermente più grande (1,5 volte il peso del denario, pari ad 1/64 di libbra = 5.11 grammi[20]) e rappresentava l'imperatore che indossava una corona radiata,[20] indicando così il suo valore doppio, come nel dupondio che valeva due assi. Negli Antoniniani che rappresentavano delle donne (di norma la moglie dell'imperatore), il busto era presentato poggiante su un crescente (mezzaluna). Anche se di valore doppio del denario, l'antoniniano non pesò mai più di 1,5 volte il peso del denario, che continuò ad essere emesso accanto all'antoniniano, fino al 240, quando scomparve, pur rimanendo nei documenti scritti come mera unità di conto.[21]
Riguardo infine alle monete in bronzo od altre leghe a base di rame, dopo la riforma monetaria di Nerone, venne abolita la monetazione in quadranti (sotto Traiano), mentre dupondi ed assi cominciarono ad essere prodotti sempre meno frequentemente, fino alla loro definitiva scomparsa nel corso del III secolo. Contemporaneamente nelle monete in oricalco, alla lega in zinco e rame, venne via via sostituita una nuova lega di piombo-rame, meno costosa.[21] Note
Bibliografia
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