Per monetazione di Valeriano e Gallieno si intende l'insieme delle monete emesse da Roma durante i regni degli Imperatori Gallieno (253-268) e Valeriano (253-260).
Il periodo denominato dell'anarchia militare era cominciato con l'assassinio di Alessandro Severo (ultimo erede della dinastia dei Severi), dietro istigazione del generale Massimino Trace, che poi gli succedette nel 235. A Massimino erano poi succeduti una decina di Imperatori, fino ad Emiliano nel 253. Quest'ultimo però non durò più di tre mesi, morendo anch'egli per mano dei suoi stessi soldati presso Spoleto. A lui succedettero nel 253Valeriano, (catturato dai Sasanidi nel 260), ed il figlio Gallieno fino al 268.
L'imperatore Treboniano Gallo chiese aiuto a Valeriano, nominandolo governatore della Rezia, quando Emiliano, proclamato imperatore dalle truppe danubiane, marciò contro l'Italia. Allora Valeriano marciò dalla Rezia, portando con sé le truppe renane, ma non fece in tempo a salvare Gallo, sconfitto da Emiliano e ucciso dai propri uomini; le truppe di Valeriano, però, rifiutarono di riconoscere il vincitore e acclamarono il proprio generale imperatore.[1][2]
Nel tardo luglio/metà settembre 253, gli eserciti di Valeriano ed Emiliano si scontrarono, ma i soldati di Emiliano decisero di abbandonarlo e lo uccisero vicino a Spoleto o presso un ponte, detto dei Sanguinarii, tra Oricolum e Narnia. Contemporaneamente, una nuova ondata di Goti, Borani, Carpi ed Eruli aveva portato distruzione fino a Pessinunte ed Efeso via mare, e poi via terra fino ai territori della Cappadocia.[3][4]
È in queste circostanze che fu elevato alla porpora Valeriano (22 ottobre del 253). Il Senato romano ratificò la nomina ad Imperatore delle truppe di Rezia. E così succedette ad Emiliano. Le continue invasioni a settentrione ed in Oriente costrinsero il nuovo imperatore a spartire con il figlio Gallieno (253-268) l'amministrazione dello Stato romano, affidando a quest'ultimo la parte occidentale e riservando per sé quella orientale, come in passato era già avvenuto con Marco Aurelio e Lucio Vero (161-169).[5][6]
Quando Valeriano fu elevato alla porpora (22 ottobre del 253), il Senato romano ratificò la nomina ad Imperatore delle truppe di Rezia, elevando contestualmente il figlio Gallieno al ruolo di Cesare.[17] In seguito Valeriano giunse a Roma, decise di innalzare il figlio al rango di co-augusto, mentre il nipote Cornelio Valeriano[18][19] o l'altro suo figlio, Valeriano il giovane,[20] a quello di Cesare. Nell'Impero romano all'epoca della crisi del III secolo, la pratica di associare un figlio al trono era abituale, come nel caso di Massimino Trace e Massimo,[21]Filippo l'Arabo e Severo Filippo,[22]Decio ed Erennio Etrusco,[23]Treboniano Gallo e Volusiano.[24] Nel caso di Valeriano e Gallieno, oltre a vantaggi dinastici, l'associazione del figlio adulto al trono del padre,[18] permise di avere due imperatori perfettamente capaci di governare, dando così all'agire imperiale doppio vigore. Si trattava di qualcosa di più simile a quanto era accaduto alla metà del II secolo, quando, morto Antonino Pio, Marco Aurelio associò al trono il fratello adottivo Lucio Vero.[25] E così padre e figlio si spartirono l'amministrazione dell'Impero e partirono appena possibile per le rispettive destinazioni, Gallieno, dopo essere stato nominato console ordinario per il 254, in Occidente lungo il limes renano,[26] Valeriano in Oriente.[27] La concordia dei due imperatori fu celebrata nella monetazione degli anni 253 e 254.
Le continue scorrerie da parte dei barbari nei vent'anni successivi alla fine della dinastia dei Severi avevano messo in ginocchio l'economia ed il commercio dell'Impero romano. Numerose fattorie e raccolti erano stati distrutti, se non dai barbari, da bande di briganti e dalle armate romane alla ricerca di sostentamento, durante le campagne militari combattute sia contro i nemici esterni, sia contro quelli interni (usurpatori alla porpora imperiale). La scarsità di cibo generava, inoltre, una domanda superiore all'offerta di derrate alimentari, con evidenti conseguenze inflazionistiche sui beni di prima necessità. A tutto ciò si aggiungeva un costante reclutamento forzato di militari, a danno della manovalanza impiegata nelle campagne agricole, con conseguente abbandono di numerose fattorie e vaste aree di campi da coltivare. Questa impellente richiesta di soldati, a sua volta, aveva generato una implicita corsa al rialzo del prezzo per ottenere la porpora imperiale. Ogni nuovo imperatore o usurpatore era costretto, pertanto, ad offrire al proprio esercito crescenti donativi e paghe sempre più remunerative, con grave danno per l'erario imperiale, spesso costretto a coprire queste spese straordinarie con la confisca di enormi patrimoni di cittadini privati, vittime in questi anni di proscrizioni "di parte".[28] Queste difficoltà costrinsero il nuovo imperatore, Valeriano, a spartire con il figlio Gallieno l'amministrazione dello Stato romano, affidando a quest'ultimo la parte occidentale e riservando per sé quella orientale, come in passato era già avvenuto con Marco Aurelio e Lucio Vero (161-169).[5][6]
Sul finire del 253 una nuova incursione di Goti devastò la regione di Tessalonica: i Germani non riuscirono ad espugnare la città, che però, solo a stento e con molta fatica, fu liberata dalle armate romane del nuovo imperatore Valeriano (cfr. moneta qui sotto della zecca di Viminacium). Il panico fu così grande che gli abitanti dell'Acaia decisero di ricostruire le antiche mura di Atene e di molte altre città del Peloponneso.[29][30]
Contemporaneamente Franchi e Alemanni furono fermati nel corso di un loro tentativo di sfondamento del limes romano dal giovane cesareGallieno, il quale si meritò per questi successi l'appellativo di "Restitutor Galliarum" e di "Germanicus maximus".[31] Il suo merito fu l'aver contenuto almeno in parte i pericoli, grazie a un accordo con uno dei capi dei Germani, che si impegnò ad impedire agli altri barbari di attraversare il Reno e ad opporsi così a nuovi invasori.[32]
Nel 257 il fronte renano della Germania inferiore fu sconvolto da nuovi attacchi dei Franchi, i quali riuscirono a spingersi fino a Mogontiacum, dove furono fermati dall'accorrente legio VI Gallicana, di cui era tribuno militare il futuro imperatore Aureliano.[33] Lo stesso Gallieno, lasciato l'Illirico a marce forzate, accorse in Occidente, riuscendo a battere le orde franche probabilmente nei pressi di Colonia e comunque dopo aver ripulito l'intera sponda sinistra del Reno dalle armate dei barbari (cfr. monete qui sotto della zecca di Colonia Agrippinensium).[34][35]
FIDESMILITUM, un'Aquila rivolta a sinistra che siede sopra ad un globo, la testa verso destra, tiene una corona nel becco; un vexillum a destra e a sinistra.
257/258 per celebrare la vittoria contro le popolazioni germaniche;
Valeriano, dopo essere partito agli inizi del suo regno per il fronte orientale, riuscì a cacciare i Sasanidi dai territori imperiali, riconquistanto Antiochia che era stata assediata e poi conquistata, per poi concentrarsi nella riorganizzazione dell'intero limes orientale negli anni successivi. Dovette però disporre ogni possibile resistenza contro i Barbari da settentrione, attraverso i suoi generali, quando dal 254 al 256 nuove incursioni di Goti devastarono buona parte dei territori di Tracia, Macedonia e Ponto, generando il panico negli abitanti dell'Acaia, tanto da disporre di ricostruire le antiche mura di Atene e di molte altre città del Peloponneso.[36] Il punto più basso si raggiunse nel 260, quando Valeriano fu sconfitto in battaglia e preso prigioniero dai Sasanidi, morendo in prigionia senza che fosse possibile intraprendere una spedizione militare per liberarlo.
«Avendo così Gallieno abbandonato lo Stato, l'Impero romano fu salvato in Occidente da Postumo ed in Oriente da Odenato.»
(Eutropio, Breviarium ab urbe condita, 9, 11.)
Gallieno, divenuto unico imperatore nella parte centrale dell'Impero, dovette chiedere aiuto in Oriente al sovrano di Palmira, Settimio Odenato, lasciando a quest'ultimo una specie di sovranità sulla parte orientale dell'Impero, attribuendogli il titolo di Dux Orientis, che ne causò la secessione alla morte dei due sovrani (nel 268). In campo militare Gallieno affidò il comando delle legioni, non più all'ordine senatorio (legatus legionis), ma a quello equestre (praefectus legionis). Gallieno morì assassinato nel 268 da ufficiali illirici.
E se da un lato l'impero romano sembra abbia attraversato, sotto Gallieno uno dei periodi più "bui" della sua storia, questo imperatore rappresentò il punto di svolta nel tragico periodo della crisi del III secolo, che era seguito alla dinastia dei Severi. Non è un caso che proprio Gallieno sia stato il primo a regnare per quindici anni (sette con il padre ed otto da solo), cosa assai rara se si considera il primo periodo dell'anarchia militare (dal 235 al 253). Era, infatti, dai tempi di Settimio Severo (193-211) che un Imperatore romano non regnava tanto a lungo.
Oggi la critica moderna sembra rivalutarne il suo operato, nel tentativo di salvare almeno il "cuore-centrale" dell'Impero romano, creando quindi le basi per una riunificazione territoriale, avvenuta, poco dopo, con gli imperatori illirici (268-282). Gallieno, infatti, pose le prime basi per un periodo di ripresa, riconquista e restaurazione che sfociò nel periodo tetrarchico di Diocleziano (284-306).
La crisi del III secolo dell'Impero romano e la sua militarizzazione provocarono un primo decentramento e moltiplicarono le zecche vicine alle zone ad alta concentrazione di militari, zone in cui la richiesta di monete era elevata. Inoltre le usurpazioni provocarono la nascita di zecche effimere.
Altra zecca venne stabilita a Siscia nel 262[50] da Gallieno allo scopo di avere a disposizione una produzione di denaro, in caso di necessità, nelle province periferiche, lì dove le esigenze di difesa dell'Impero rendevano necessarie le spese militari; per tale motivo fu utilizzata ad intermittenza sotto il regno congiunto dei due imperatori e poi durante quello di Gallieno da solo, probabilmente quando la corte imperiale risiedeva nei Balcani.
Tematiche principali
Campagne militari contro le popolazioni germaniche di Gallieno (260-268)
Nel corso del 260 i territori che formavano una rientranza tra Reno e Danubio, a sud del cosiddetto limes germanico-retico (gli Agri decumates) furono abbandonati a vantaggio delle popolazioni sveve degli Alemanni.[51] Fu probabilmente Gallieno a decidere il definitivo abbandono di tutti i territori ad est del Reno ed a nord del Danubio, a causa delle continue invasioni delle tribù germaniche limitrofe degli Alemanni, ed alla contemporanea secessione della parte occidentale dell'impero, guidata dal governatore di Germania superiore ed inferiore, Postumo.[52][53][54] Gli Alemanni, che avevano sfondato il limes retico e attraversato il Passo del Brennero, si erano spinti in Italia, dove furono intercettati e battuti dalle armate di Gallieno nei pressi di Milano.[55][56] Contemporaneamente, lungo il Limes della Germania inferiore, orde di Franchi riuscivano ad impadronirsi della fortezza legionaria di Castra Vetera e assediarono Colonia, risparmiando invece Augusta Treverorum (l'odierna Treviri). Altri si riversarono lungo le coste della Gallia e devastarono alcuni villaggi fino alle foci dei fiumi Senna e Somme.[57]
L'anno successivo (nel 261) una nuova incursione degli Alemanni nella zona della Mosella, fu fermata dalle armate di Postumo. La controffensiva romana fu, infatti, condotta dall'ex-governatore, ora reggente dell'Impero delle Gallie, meritandosi la proclamazione della "Victoria germanica".[54] Per questi successi, egli assunse l'appellativo di "Restitutor Galliarum" ("restauratore delle Gallie"), decidendo inoltre di assoldare tra le file del suo esercito bande di soldati franchi appena sconfitti, per combattere contro i loro stessi "fratelli", come testimonia Aurelio Vittore.[58]
Con la fine del 267 o gli inizi del 268,[59] una nuova ed immensa invasione da parte di una coalizione dei popolazioni germano-sarmatiche, sotto il comando dei Goti, prese corpo dalla foce del fiume Tyras (presso l'omonima città) e diede inizio alla più sorprendente invasione di questo terzo secolo, che sconvolse le coste e l'entroterra di molte province balcanico-asiatiche, come le Mesie, la Tracia e la stessa Acaia,[60] affacciata sul Ponto Eusino e sul mar Egeo.[61][62][63] Le orde dei barbari portarono devastazione anche nell'entroterra della provincia di Macedonia,[64] fino a quando Gallieno, in prossimità della foce del fiume Nestus o Nessos, intercettò una delle armate gotiche e ne fece grande strage (primavera del 268).[65] Subito dopo, però, Gallieno fu costretto a tornare in Italia per assediare a Milano l'usurpatore Aureolo, che aveva tentato di usurpargli il trono.[66][67] Poco dopo Gallieno moriva assassinato dai suoi generali.
Campagne militari contro le popolazioni germaniche di Gallieno (260-268)
Resosi conto dell'impossibilità di proteggere contemporaneamente tutte le province dell'impero con una statica linea di uomini posizionati a ridosso della frontiera, Gallieno sviluppò una pratica che era iniziata verso la fine del II secolo sotto Settimio Severo (con il posizionamento di una legione, la legio II Parthica, a pochi chilometri da Roma), ovvero posizionando una riserva strategica di soldati ben addestrati pronti ad intervenire, dove serviva nel minor tempo possibile (contingenti di cavalleria a Mediolanum, Sirmio,[68]Poetovio[69] e Lychnidos[70]).[71]
In accordo con queste considerazioni, Gallieno attorno agli anni 264-268, o forse poco prima[72], costituì questa riserva strategica centrale (che sarà alla base della futura riforma dell'esercito di Diocleziano), formata prevalentemente da unità di cavalleria pesante dotate di armatura (i cosiddetti promoti, tra cui spiccavano gli equites Dalmatae, gli equites Mauri[73] et Osroeni), poiché queste percorrevano distanze maggiori in minor tempo della fanteria legionaria o ausiliaria. Ed ogni volta che i barbari sfondavano il limes romano e s'inoltravano nelle province interne, la "riserva strategica" poteva così intervenire con forza dirompente[74]. La base principale scelta da Gallieno per la nuova armata fu posta a Milano, punto strategico equidistante da Roma e dalle vicine frontiere settentrionali della Rezia e del Norico. Si trattava di un'iniziativa resasi necessaria anche a causa della perdita degli Agri decumates tra il Reno ed il Danubio, che aveva portato i vicini Germani a trovarsi più vicini alla penisola italica, centro del potere imperiale.[75]
I generali che comandavano questa forza, quindi, avevano nelle loro mani un potere incredibile e non è un caso che futuri augusti come Claudio II il Gotico o Aureliano ricoprissero questo incarico prima di diventare imperatori.
La predisposizione per la cavalleria riguardava non solo le forze ausiliarie ed i numeri, ma anche le legioni stesse, dove il numero di cavalieri passò da 120 a 750 per legione.
La riforma di Gallieno, inoltre, toglieva ai senatori ogni carica militare; se in passato i comandanti delle legioni (legatus legionis) provenivano dal Senato a parte quelli che comandavano le legioni egiziane, ora provenivano dalla classe equestre (praefectus legionis). Gallieno non fece altro che formalizzare una pratica che già esisteva dall'epoca di Augusto relativamente alle legioni di stanza in Egitto ed ampliata con Settimio Severo, riguardo a quelle di stanza nella nuova provincia di Mesopotamia (come la I e III Parthica) ed in Italia presso il castrum sui colli Albani, a sud di Roma (Legio II Parthica).[76] Ciò potrebbe essere spiegato anche con il fatto che gli stessi senatori erano ormai più interessati a vivere nel lusso delle loro ville in Italia, piuttosto che nelle ristrettezze che la vita militare nelle province richiedeva.
Questo punto della riforma, però, eliminò definitivamente ogni legame tra le legioni e l'Italia, poiché i nuovi comandanti, che erano spesso militari di carriera partiti dai gradi più bassi e arrivati a quelli più alti, erano interessati solo al proprio tornaconto o al massimo agli interessi della provincia d'origine, ma non a Roma. Le legioni vennero celebrate, quindi, in una nuova serie monetale, denominata "antoniniani legionari".[77]
Le successive campagne sasanidi di Odenato, alleato dei Romani, videro nel 264[79] le armate romane spingersi anche oltre il fiume Tigri, tanto da far attribuire all'imperatore Gallieno, il titolo di Persicus maximus al termine di questa nuova avanzata in territorio nemico.[46] È vero anche che Odenato si spinse fino alla capitale persiana Ctesifonte,[80] per la seconda volta,[81] probabilmente nel corso di questa seconda campagna militare. L'anno successivo (nel 265),[82] la Historia Augusta ricorda che quando Gallieno venne a sapere che
«Odenato aveva sconfitto pesantemente i Persiani, aveva sottomesso al dominio romano Nisibi e Carre, tutta la Mesopotamia era in nostro potere e alla fine si era giunti fino a Ctesifonte ed il re Shapur I era fuggito, i satrapi catturati, un gran numero di nemici uccisi. Associò lo stesso Odenato all'Impero, conferendogli il titolo di Augusto, facendo poi coniare una moneta che lo raffigurava mentre trascinava dei prigionieri persiani. Tale provvedimento fu accolto con favore dal Senato, dalla città [di Roma] e dalla gente di ogni età.»
(Historia Augusta - Due Gallieni, 12.1.)
Grazie a queste campagne vittoriose, l'autorità imperiale in Oriente venne ripristinata, lo stesso imperatore Gallieno poté celebrare un trionfo, grazie al suo "rector Orientis", Odenato, il quale condivise le sue vittorie con il figlio maggiore Hairan (Erode) e si meritò il titolo onorifico di re dei re, in contrapposizione con quello del re sasanide, Sapore I.
La morte di Valeriano ebbe pertanto come effetto principale quello di far sì che i nemici di Gallieno ne approfittassero, sia per minacciare i confini imperiali e le sue province (non potendo Gallieno, da solo, difendere tutti i territori romani), sia sostenendo numerose usurpazioni locali che garantissero la presenza imperiale in loco (come ad esempio Pisone,[84]Valente,[85][86] o Mussio Emiliano,[85][87] oltre ai più famosi Ingenuo,[88]Regaliano[88] ed Aureolo[85][89]). E così a partire dal 260 (fino al 274 circa), l'Impero romano subì la secessione di due vaste aree territoriali, che però ne permisero anche la sua sopravvivenza:[90]
ad est, fu invece il Regno di Palmira a subentrare a Roma nel governo delle province orientali dell'Asia minore, di Siria ed Egitto, difendendole dagli attacchi dei Sasanidi, prima con Odenato (260-267), nominato da Gallieno "Corrector Orientis",[93] e poi con la sua vedova secessionista, Zenobia (267-271).[38]
«Avendo così Gallieno abbandonato lo Stato, l'Impero romano fu salvato in Occidente da Postumo ed in Oriente da Odenato.»
(Eutropio, Breviarium ab urbe condita, 9, 11.)
Ed oltre alle secessioni qui sopra evidenziate, Gallieno dovette far fronte ad una serie continua di usurpazioni, per lo più tra i comandanti delle provincie militari orientali (Macriano Maggiore, Macriano Minore, Quieto e Ballista) e danubiane (periodo denominato dei "trenta tiranni"[94]). Egli, costretto a combattere su più fronti contemporaneamente per difendere la legittimità del suo trono, impiegò buona parte delle armate preposte a difesa dei confini imperiali per contrastare molti di questi generali che si erano proclamati imperatori. Il risultato fu di lasciar sguarniti ampi settori strategici del limes, provocando così negli anni 261 e 262 una nuova invasione da parte dei Sarmati in Pannonia. E fu solo in seguito ad un intervento dello stesso Gallieno, che gli invasori furono respinti.[52]
IMPC POSTVMVS PF AVG, testa radiata di Postumo, busto con drappeggio e corazza verso destra;
SALVS PROVINCIARVM ("salvezza delle province [renane]"), personificazione del fiume Reno, sdraiato lungo il lato sinistro, tiene nella destra una prora di nave (?).
Ercole in piedi rivolto verso destra, tiene una pelle di leone ed una mazza appoggiata ad un masso nella mano sinistra, con l'altra mano appoggiata sull'anca destra.
TEMPORVM FELICITAS, una figura femminile (Hispania) coricata verso sinistra, tiene un ramo nella mano destra ed il braccio sinistro appoggiato su lepre.
^Maila Chiaravalle, La produzione delle zecche di Milano e di Ticinum, in Catalogo della Mostra "Milano capitale dell'Impero romani (286-402 d.C.)", a cura di Gemma Sena Chiesa, Milano 1990, p.47.
^Historia Augusta - I due Gallieni, 13.6-7; Historia Augusta - Claudio II il Gotico, 6.2-8.1; Historia Augusta - Claudio, 9.3; Zosimo, Storia nuova, I, 42.
^Historia Augusta - Due Gallieni, 5.6; Zosimo, Storia nuova, I, 43.1.
^Magie, III, p. 45, nota 4; Historia Augusta - I due Gallieni, 13.9; Zosimo, Storia nuova, I, 39.1.
^Trattasi di aureo di Gallieno (253-268), databile al 264-267 (zecca di Roma antica, 9° officina); del peso di 5,83 g; D/ GALLIENAE-AVGUSTAE, la testa verso sinistra con una corona di grano; R/ VBIQUE PAX, la Vittoria su una biga verso destra; Cohen 1015; RIC 74.
Gian Guido Belloni, La moneta romana. Società, politica, cultura, Roma 2004.
Giuseppe Cascarino, Carlo Sansilvestri, L'esercito romano. Armamento e organizzazione, Vol. III - Dal III secolo alla fine dell'Impero d'Occidente, Rimini, Il Cerchio, 2009, ISBN 8884742153.
Maila Chiaravalle, La produzione delle zecche di Milano e di Ticinum, in Catalogo della Mostra "Milano capitale dell'Impero romani (286-402 d.C.)", a cura di Gemma Sena Chiesa, Milano 1990.
(DE) Robert Göbl, Die Münzprägung der Kaiser Valerianus I., Gallienus, Saloninus (253/268), Regalianus (260) und Macrianus, Quietus (260/262)., Vienna, 2000, ISBN 3-7001-2923-8
(EN) Michel Grant, Gli imperatori romani, storia e segreti, Roma, 1984, ISBN 88-541-0202-4.
(ES) Julio Rodríguez González, Historia de las legiones Romanas, Madrid, 2003.