CAESAR AVGVSTVS DIVI F PATER PATRIAE. Testa laureata volta a destra.
Per monetazione di Augusto oppure monetazione augustea si intende l'insieme delle monete emesse da Roma durante il principato del primo Imperatore romano, da dopo la battaglia di Azio (31 a.C.) alla sua morte, avvenuta nell'agosto del 14 d.C.. A Ottaviano, non ancora Augusto sono anche riconducibili numero emissioni che iniziano dal 42 a.C., coniate da solo o assieme ad altri personaggi.
Ad Augusto sono anche ascrivibili le emissioni della famiglia: le monete di Livia, quelle di Agrippa, Giulia, Tiberio e dei giovani principi: Gaio e Lucio Cesare e Agrippa Postumo. Ci sono anche le monete di restituzione, cioè monete coniate dai suoi successori, ad esempio Tito, in cui un lato, il dritto di solito, reca l'immagine di Augusto e l'altra la titolatura di successore.
L'ulteriore gruppo di monete è quello destinato alle province, in particolare l'Egitto, in cui sono utilizzate tipologie monetarie diverse da quelle romane.
Dopo Azio, Ottaviano decise di annettere l'Egitto (30 a.C.), compiendo l'unificazione dell'intero bacino del Mediterraneo sotto Roma. Egli era divenuto, di fatto, il padrone assoluto dello stato romano, anche se formalmente Roma era ancora una repubblica e Ottaviano stesso non era ancora stato investito di alcun potere ufficiale, dato che la sua potestas di triumviro non era stata più rinnovata: nelle Res Gestae riconosce di aver governato in questi anni in virtù del "potitus rerum omnium per consensum universorum" ("consenso generale"), avendo per questo motivo ricevuto una sorta di perpetua tribunicia potestas (certamente un fatto extra-costituzionale).[1] Egli cominciò, pertanto, a riorganizzare ogni settore della Res publica romana, a partire dall'amministrazione finanziaria e monetaria.
L'età di Augusto rappresentò un momento di svolta nella storia di Roma e il definitivo passaggio dal periodo repubblicano al principato. La rivoluzione dal vecchio al nuovo sistema politico contrassegnò anche la sfera economica, militare, amministrativa, giuridica e culturale.
Le nuove monete avevano in comune al dritto, la costante raffigurazione dell'imperatore, ed al rovescio, i nomi dei tresviri monetales (membri del collegio incaricato di battere moneta) che, in un primo momento, comparvero sia sulla monetazione in metallo prezioso sia su quella in metallo vile, per poi rimanere solo sul metallo vile ed infine scomparire definitivamente, lasciando il posto, solo sulla monetazione enea, alla sigla del Senato S. C. (Senatus Consulto) a conferma della volontà senatoria.
Le fonti antiche ci informano che un arco in onore di Ottaviano venne eretto nel Foro dopo la battaglia di Azio (31 a.C.) e la conquista dell'Egitto (30 a.C.), in occasione del trionfo di Ottaviano nel 29 a.C. Quest'arco è conosciuto come "arco aziaco". Una lunga iscrizione (m. 2,67) di questo arco venne ritrovata nel 1546, con dedica ad Augusto e la data del 29 a.C. Dell'arco ci rimane una rappresentazione monetale.
L'intervento romano in Spagna e lungo l'arco alpino-retico rientrava in un progetto più ampio da parte di Augusto, il quale era deciso a portare a compimento la sottomissione di tutte le "aree interne" non ancora sotto il dominio romano. La conquista della Spagna, intrapresa proprio sul finire del III secolo a.C., non era mai stata portata a termine. La parte nord-ovest della penisola continuava ad essere libera dal potere romano. Il pericolo, inoltre, di continue incursioni nella Meseta centrale, oltre alle ricche miniere d'oro e di ferro di Cantabria ed Asturie furono ulteriori motivazioni per completare la conquista, tanto che lo stesso imperatore Ottaviano Augusto decise di prendervi parte in prima persona negli anni 26-25 a.C.. A questa conquista succedette quella dell'arco alpino, la cui utilità era strettamente collegata al fatto di dare maggior sicurezza interna ai valichi ed alle relazioni fra Gallia ed Italia, per poi congiungersi più facilmente al corso dell'alto-Danubio (che poco dopo ne divenne frontiera militare-imperiale).
Arco di trionfo (di Aosta? ), sormontato da una quadriga nella quale c'è Augusto che tiene un ramo di lauro ed uno scettro; archi più piccoli nelle parti laterali, sormontati da un arciere a sinistra ed un fromboliere (?) a destra; S • P • Q • RIMPCAE su due linee nella paste alta dell'arco.
In Armenia regnava una divisione cronica fra i nobili: il partito filoromano aveva inviato ad Augusto un'ambasceria per chiedere un processo contro il re Artaxias II, la sua deposizione e la sostituzione al trono di Armenia del fratello minore, Tigrane III, che era vissuto a Roma dal 29 a.C.. Al termine del 21 a.C., Augusto ordinò al figliastro Tiberio, che aveva allora ventuno anni, di condurre un esercito legionario dai Balcani in Oriente,[32] con il compito di porre sul trono armeno Tigrane II, e recuperare le insegne imperiali.
Lo stesso Augusto si recò in Oriente. Il suo arrivo e l'avvicinarsi dell'esercito di Tiberio produssero l'effetto desiderato sul re dei Parti. Di fronte al pericolo di un'invasione romana che avrebbe potuto costargli il trono, Fraate IV decise di cedere e, pur rischiando di scontentare il suo stesso popolo, restituì le insegne ed i prigionieri romani ancora in vita. Augusto fu proclamato per la nona volta imperator.[33] La restituzione delle insegne e dei prigionieri fu un successo diplomatico paragonabile alle migliori vittorie ottenute sul campo di battaglia. Egli aveva ritenuto più opportuno, una coesistenza pacifica dei due imperi, con l'Eufrate come confine dei reciproci domini. I rapporti di amicizia instaurati tra Roma ed i Parti favorirono, infine, il partito filoromano della vicina Armenia, e prima che Tiberio raggiungesse l'Eufrate, Artaxias II fu assassinato dai suoi stessi cortigiani. Tiberio, entrato nel paese senza incontrare resistenza ed in presenza delle legioni, pose solennemente il diadema regale sul capo di Tigrane III, e Augusto poté annunziare di aver conquistato l'Armenia, pur astenendosi dall'annetterla[34].
CAESAR DIV(i) F(ilius) ARMEN CAPTAIMP VIIII, su tre linee interne alla moneta, un Armeno in piedi, tiene una lancia nella destra ed un arco appoggiato a terra nella sinistra.
CIVIB • ET • SIGN • MILIT • A • PA-RT • RECVP •, arco di trionfo di Augusto: sopra l'arco contrale si trova una quadriga; sopra gli archi laterali una figura ciascuno; a sinistra una figura voltata verso destra che tiene un signum nella sua mano destra alzato verso il cielo; a destra invece una figura rivolta a sinistra, tiene un'aquila nella sua destra ed un arco alla sua sinistra.
stessa sorte toccò al console suffetto del 33 a.C., Lucio Autronio Peto, proconsole d'Africa nel 29/28 a.C., che ottenne un nuovo trionfo il 16 agosto del 28 a.C.;[10]
Lucio Cornelio Balbo, partito da Sabrata, occupò la capitale dei Garamanti, Garama, e si addentrò fino al Fezzan nel 20 a.C. Egli, infatti, in qualità di proconsole d'Africa, condusse un esercito di una decina di migliaia di uomini nel profondo del deserto del Sahara, raggiungendo prima l'oasi di Cydamus (oggi Ghadames) dopo una marcia di circa 550 km, piegando poi ad angolo retto verso sud per altri 650–700 km attraverso l'Hamada el-Hamra, ed infine riuscendo ad occupare i più importanti centri della regione (come Debris e Baracum nell'odierno distretto di Wadi al-Shatii e Tabidium) e la capitale dei Garamanti, Garama (oggi Germa). Da qui potrebbe avere, inoltre, inviato una spedizione esplorativa fino nel Fezzan, forse raggiungendo l'ansa del fiume Niger.[10][36]
Lungo il fronte danubiano: Publio Silio Nerva, governatore dell'Illirico, tra il 17 e il 16 a.C., riuscì a portare a termine la conquista dell'fronte alpino orientale, oltre al Norico meridionale, ottenendo una forma di vassallaggio da parte del regno del Norico settentrionale (popolazione dei Taurisci). I figliastri di Augusto, Druso e Tiberio, nel 15 a.C., sottomisero la Rezia, Vindelicia e Vallis Poenina, con un'operazione "a tenaglia", il primo proveniente dal Brennero e il secondo dalla Gallia. Dal 29 al 19 a.C. si procedette ad azioni combinate insieme ad i re "clienti" traci, contro le popolazioni pannoniche, mesie, sarmatiche, getiche e bastarne fino ai confini macedoni. Dal 14 al 9 a.C. i legati di Dalmazia e Macedonia, sotto l'alto comando prima di Agrippa e poi di Tiberio, domarono Scordisci (sottomessi da Tiberio nel 12 a.C.[40]), Dalmati e Pannoni e respinsero le scorrerie di Bastarni, Sarmati e Daci d'oltre Danubio, mentre Pannonia e Dalmazia furono finalmente condotte sotto il dominio romano. Ma dopo un quindicennio di relativa tranquillità, nel 6 d.C., il settore danubiano tornò ad essere agitato. I Dalmati si ribellarono, e con loro anche i Breuci di Pannonia, mentre Daci e Sarmati compirono scorrerie in Mesia. Fu necessario sospendere ogni nuovo tentativo di conquista a nord del Danubio, per sopprimere questa rivolta durata per ben tre anni, dal 6 al 9. Tiberio, in questo modo, fissò definitivamente il confine dell'area illirica al fiume Drava meritandosi ben tre acclamazioni imperatorie insieme ad Augusto (nel 6, 8 e 9).
Lungo il fronte germanico, le popolazioni di questo settore avevano più volte tentato di passare il Reno: nel 38 a.C. (anno in cui gli alleati germani, Ubi, furono trasferiti in territorio romano)[41] e nel 29 a.C. i Suebi, mentre nel 17 a.C. i Sigambri, insieme a Usipeti e Tencteri (clades lolliana).[42] Augusto ritenne fosse giunto il momento di annettere la Germania, come aveva fatto suo padre Gaio Giulio Cesare con la Gallia. Desiderava portare i confini dell'Impero romano più ad est, dal fiume Reno al fiume Elba. Il motivo era di ordine prettamente strategico, più che di natura economico-commerciale. Si trattava infatti di territori acquitrinosi e ricoperti da interminabili foreste, ma il fiume Elba avrebbe ridotto notevolmente i confini esterni dell'impero. Le campagne che si susseguirono furono numerose, discontinue, e durarono per circa un ventennio dal 12 a.C. al 6 d.C. portando alla costituzione della nuova provincia di Germania. Tutti i territori conquistati in questo ventennio furono, però, definitivamente perduti quando nel 9, il legatus di Augusto, Publio Quintilio Varo, sprovvisto di doti diplomatiche e militari, oltreché ignaro delle genti e dei luoghi si fece massacrare insieme ad un esercito di 20.000 uomini (composto da tre legioni) nella selva di Teutoburgo, arretrando il limes nuovamente al Reno.[43]
Tutti questi anni di campagne militari nel nord dell'Europa portarono a numerose acclamazioni imperiali per Augusto ed ovazioni per i suoi generali, celebrati anche nella monetazione del periodo.
IMP • XIIII in esergo, sulla destra Augusto, con la toga, seduto su una sedia curule, tende la sua mano destra verso un Gallo o Germano sulla sinistra, il quale in piedi presenta all'imperatore romano suo figlio che tiene in braccio e protende verso Augusto. Potrebbe trattarsi della resa dei Sigambri.[44]
ROM ET AVG, altare delle tre Gallie a Lugdunum, decorato con una corona civica tra allori, fiancheggiato da nude figure maschili; a destra e sinistra, le Vittorie su delle colonne, una di fronte all'altra.
ROM ET AVG, altare delle tre Gallie a Lugdunum, decorato con una corona civica tra allori, fiancheggiato da nude figure maschili; a destra e sinistra, le Vittorie su delle colonne, una di fronte all'altra.
La successione, che toccò a Tiberio alla fine del suo principato, fu una delle più grandi preoccupazioni della vita di Augusto. Ottaviano, che aveva sposato nel 42 a.C.Clodia Pulcra (figliastra di Antonio), ripudiata l'anno successivo (41 a.C.), sposò prima Scribonia e, poco dopo, si innamorò di Livia Drusilla (appartenente ad una delle più illustri famiglie patrizie romane), moglie di un certo Tiberio Claudio Nerone. Dopo la vittoria di Perugia (40 a.C.), Ottaviano riuscì ad imporre loro il divorzio, mentre Livia era ancora gravida del secondogenito, Druso, e la sposò (fine del 39 a.C.), portando nella sua nuova casa sia la figlia, Giulia, avuta da Scribonia, sia il primogenito di Livia, Tiberio.
Per alcuni anni Augusto sperò di avere come erede il nipote Marco Claudio Marcello, figlio di sua sorella Ottavia, al quale diede in moglie la figlia, Giulia, nel 25 a.C.. Marcello fu così adottato, suscitando, però, il malumore di Agrippa, che per questo motivo fu allontanato da Roma. Due anni più tardi Marcello moriva (23 a.C.) e Ottaviano fu costretto a richiamare Agrippa, costringendolo a divorziare da Claudia Marcella maggiore (figlia anch'ella della sorella Ottavia), per dargli in moglie la giovanissima Giulia, ormai vedova di Marcello da 2 anni.
Agrippa apparì, così, suo successore designato in caso di morte prematura, facendo ormai parte della famiglia Giulia. Nel 18 a.C., infatti, ad Agrippa fu conferito l'imperium proconsulare maius (come quello di Augusto) per cinque anni, e la tribunicia potestas, per quanto egli non avesse gli stessi poteri di Augusto né la sua auctoritas. Nel 20 a.C. Giulia aveva dato al marito un primo figlio, Gaio, e un secondo nel 17 a.C., Lucio, entrambi adottati da Augusto, il quale diede ad entrambi il nome di Cesare.
In quegli anni, intanto, andavano distinguendosi entrambi i figli di Livia, Tiberio, e Druso[45], quest'ultimo si dice fosse preferito da Augusto perché figlio naturale del princeps come suggerisce Svetonio:
«...vi fu anche chi sospettò che Druso fosse figlio adulterino del patrigno, Augusto. Poco dopo venne infatti divulgato un verso: "La gente fortunata riesce ad avere dei figli in tre mesi". [...] Augusto amò immensamente Druso da vivo, tanto da nominarlo sempre coerede insieme ai suoi figli... e da morto lo lodò in pubblico... al punto di pregare gli Dei affinché i due Cesari fossero simili a lui..»
Con la morte di Agrippa, nel 12 a.C., e poi quella prematura di Druso in Germania nel 9 a.C., la successione sarebbe ricaduta sui due figli di Giulia e di Agrippa, Gaio e Lucio Cesare, mentre Tiberio, il migliore, ma anche il meno gradito, venne costretto da Augusto a separarsi dalla moglie Vipsania, per sposare la figlia dell'imperatore, Giulia, vedova di Agrippa.
Questo matrimonio si rivelò infelice e costituì la causa non ultima del volontario esilio di Tiberio a Rodi (dal 6 a.C. al 4 d.C.), tanto più che Augusto vedeva nei due Cesari i futuri eredi del suo stesso sangue. Ma la sorte fu favorevole a Tiberio. Giulia, la cui condotta formava argomento di pubblico scandalo, fu allontanata dal padre da Roma (2 a.C.), e pochi anni dopo i due Cesari morivano: Lucio nel 2 d.C. e Gaio nel 4. Ad Augusto non restava che richiamare Tiberio.
Il 26 giugno del 4 Augusto annunciò la sua decisione: adottava Tiberio, e benché quest'ultimo avesse già un figlio, Druso minore, Augusto lo costrinse ad adottare il nipote prediletto, Germanico (figlio del fratello Druso, morto in Germania), con diritto di successione antecedente a quello dello stesso figlio di Tiberio. Tiberio diventò così il nuovo imperatore di Roma alla morte di Augusto nel 14, dando origine alla dinastia giulio-claudia.
[...] PRINCIPI IUVENTUTI, Gaio Cesare e Lucio Cesare in piedi di fronte, scudi e lance tra di loro, un litio ed un simpulo tra loro; in esergo CAESARI.
^Svetonio (Vite dei Cesari, Augustus, 8) riferisce che Ottaviano rimarrà padrone assoluto di Roma per 44 anni, dalla morte di Marco Antonio avvenuta in Egitto nel 30 a.C.
^Santo Mazzarino, L'impero romano, Roma-Bari 1976, p. 73 segg.; Chris Scarre (Chronicle of the roman emperors, Londra 1995, p. 17) riporta il numero degli anni in cui gli fu conferita la tribunicia potestas (dal 23 a.C.), data ufficiale in cui ottenne il potere tribunizio a vita dal Senato, con auctoritas superiore a qualsiasi altra magistratura e base costituzionale del potere imperiale.
^Cassio Dione, 54.8, 1. Velleio PatercoloStoria di Roma, II, 91. Tito Livio, Ab Urbe condita, Epitome, 141. Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 21; Tiberius, 9.
^Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, V, 5.36 [1]; Henry Lhote, L'expédition de Cornelius Balbus au Sahara, in Revue africaine, 1954, pp.41-83; C.Finzi, Ai confini del mondo, Roma 1979, pp.136-138; Syme, pp.66, 94, 168 e 470.
^R.Syme, in Journal of Roman Studies 1933, Some notes under the legions under Augustus, p.25; Velleio Patercolo, Storia di Roma, II, 116, 2; Dessau, Inscriptiones Latinae Selectae 120.
^R.Syme, in Journal of Roman Studies 1933, Some notes under the legions under Augustus, p.25; R.Syme, L'Aristocrazia Augustea, Milano 1993, p.563 n.24; Velleio Patercolo, Storia di Roma, II, 116, 2; Floro, Epitome di storia romana, II, 31; Orosio, Historiarum adversus paganos libri septem, VI, 21; Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LV, 28.
^Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LIV, 12.1 ss.; Tacito, Annales, III, 72; J.Desanges, Le triomphe de Cornelius Balus (19 av. J.C.), in Revue africaine, 1957, pp.5-43; Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, V, 5.36 [2]; Henry Lhote, L'expédition de Cornelius Balbus au Sahara, in Revue africaine, 1954, pp.41-83; C.Finzi, Ai confini del mondo, Roma 1979, pp.136-138; Syme, pp.66, 94, 168 e 470.
^Velleio Patercolo, Storia di Roma, II, 39, 3. Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LIV, 31, 3. András Mócsy, Pannonia and Upper Moesia, p. 25. R. Syme, in Danubian Papers, Augustus and the south slav lands, 1971, p. 21; Lentulus and the origin of Moesia, p. 44.
^Con riferimento all'episodio del 17 a.C. confronta: Floro, Epitome di storia romana, II, 30, 23-25. Dione, Storia romana, LIV, 20. Velleio Patercolo, Storia di Roma, II, 97. Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 23. Tacito, Annales, I, 10.
^Reinhard Wolters, Tam diu Germania vincitur. Römische Germanensiege und Germanensieg-Propaganda bis zum Ende des 1. Jahrhunderts n. Chr. (= Kleine Hefte der Münzsammlung an der Ruhr-Universität Bochum. Nr. 10/11), Bochum 1989, p. 33.