Alcara Li Fusi
Alcara Li Fusi (Larcara in siciliano) è un comune italiano di 1 713 abitanti[2] della città metropolitana di Messina in Sicilia. Si trova nel parco dei Nebrodi. Geografia fisicaTerritorioIl paese si trova a 398 m s.l.m. sulle pendici dei Nebrodi, che si estendono dalle cime del monte Crasto (circa 1.300 m s.l.m.) a nord est, all'altopiano di Miraglia, con il monte Soro (1.847 m s.l.m.). Il territorio è ricco di corsi d'acqua; in particolare è percorso dal fiume Rosmarino, una fiumara che ha inciso una profonda valle che divide in due parti distinte e ben diverse il territorio comunale e dai suoi affluenti di destra e di sinistra. Il centro abitato si trova sulla riva destra sottostante a grandiosi rilievi rocciosi di origine calcarea. Il versante sinistro del Rosmarino è invece costituito da rilievi ricchi di vegetazione che arrivano al crinale dei monti Nebrodi ed alla vetta del monte Soro (1847 m s.l.m.) StoriaLe originiUna leggenda riportata dagli eruditi dei secoli scorsi, ma senza alcun riferimento nella tradizione popolare, narra della fondazione del paese da parte di Patrone, un greco della città di Turio, in Magna Grecia (detto dunque Turiano) al seguito di Enea, che l'avrebbe raggiunta dopo essere sbarcato sulla costa con alcuni compagni. In realtà non risulta nessuna evidenza storica che possa collegare Alcara con Turio ovvero identificare Alcara con la città greco-romana di Turiano documentata nelle fonti, a parte la denominazione di "Castel Turio" dei resti di una fortificazione che domina il paese. Ugualmente senza alcuna evidenza storica l'identificazione di Alcara con la città spartana di Demenna che comunque potrebbe ragionevolmente essere localizzata nell'area compresa tra San Marco d'Alunzio e Alcara. Controversa anche la localizzazione della città greca di Crasto (Krastos) che secondo i vari storici locali oscilla dalla Sicilia Occidentale, Meridionale e Orientale, ma che non dovrebbe discostarsi troppo dall'area tra Agrigento e Imera, nonostante la presenza dei rilievi rocciosi del "Crasto" poco sopra l'abitato di Alcara. Secondo la vulgata locale, che assume come fonti eruditi del XVI, XVII e XVIII secolo[5], l'abitato avrebbe avuto origine in seguito alla distruzione dell'855 ad opera dei Saraceni di Crasto e Démena, a seguito della quale una parte degli abitanti si trasferì in un'area più a valle. La stessa versione viene data, spostando di poco la posizione delle due mitiche città, anche per altri centri dei Nebrodi (per esempio per Demenna). L'improbabilità dell'identificazione con Krastos e la controversa localizzazione di Demenna, non esclude che l'attuale abitato sia nato dal progressivo abbandono di insediamenti posti più a monte come del resto è comune in molte aree appenniniche. A questa conclusione potrebbero portare per esempio i resti di antropizzazione presenti fino a pochi anni fa proprio in località Crasto. Il MedioevoL'insediamento prese probabilmente, dai Saraceni, il nome arabo di Akaret (con il significato di "fortezza").[6] Non sembra improbabile che gli arabi dopo la difficile conquista di questa zona dei Nebrodi, (una delle ultime conquistate, dopo quasi un secolo dallo sbarco nell'isola) abbiano previsto una rete di fortificazioni di controllo del territorio. Comunque il primo vero riferimento storico dell'esistenza di Alcara è dato da un documento del 1096, un diploma del Conte Ruggero, redatto in lingua greca[7] che indica Alcara, come possesso del vescovo di Messina e che così recita: "…diedi anche il castello di Alcara, presso Demenna, con i suoi possedimenti…"[8] Il periodo normanno dovette essere quello più importante per l'insediamento e dovrebbe essere meglio studiato. Da notare che il quartiere più vecchio del paese, sorto ai piedi del castel Turio (oggi una torre su di uno sperone roccioso, malamente ricostruita di recente su un rudere preesistente) prende il nome di Motta che è da riferirsi al modello tipico delle fortificazioni normanne e francesi che prevedevano una torre detta donjon (mastio) circondato da una cinta muraria detta motte.[9] È quindi probabile che a dare una struttura urbana ad un insediamento forse, precedentemente, di carattere sparso fu proprio il periodo normanno. Tuttavia non sembra possibile, al momento, ricostruire l'andamento delle mura della "Motta" se non per brevi tratti. Nel 1359 sotto il regno di Federico IV d'Aragona la fortificazione e i possedimenti sono assegnati a Vinciguerra d'Aragona.[10] Età modernaIl nome divenne in seguito "Alcara Valdemone", per la sua appartenenza alla suddivisione amministrativa del Val Demone, anche se sono documentate nel tempo, versioni diverse del nome come "L'Alcara", "Arcara[11]", "L'Arcara". Nel XV secolo è attestata una comunità ebraica, probabilmente più antica e particolarmente consistente in questa zona dei Nebrodi[12], confermando che ad Alcara erano centro di scambi commerciali ed economici. La comunità sarà scomparsa o quasi nel XVII secolo con l'espulsione dalla Sicilia di tutti gli ebrei non convertiti.[13] Nel 1812, con l'abolizione delle circoscrizioni che aveva fino ad allora diviso la Sicilia (Val di Noto, Val di Mazara e Val Demone), prese il nome di Alcara "Li Fusi" in quanto centro di produzione dei fusi adoperati per la filatura. Sono attestate nell'Ottocento delle varianti come "Alcara de fusa", "Alcara dei fusi", "Alcara de li fusi"[14] e "Alcara delle Fusa"[15]. Tale denominazione fu dovuta alla necessità di distinguere questo centro abitato da un'altra "Alcara" o "L'Alcara" che per gli stessi motivi prese il nome di Lercara Friddi. Il 17 maggio 1860, Alcara fu interessata da una rivolta contadina che anticipò quella simile e più famosa di Bronte (e ad altre avvenute in vari centri della Sicilia nord-orientale, come Caronia e Francavilla). I braccianti esasperati da condizioni di vita disperate, nutrendo aspettative di riscatto e giustizia sociale per la notizia dell'imminente arrivo dei garibaldini, assaltarono il "casino dei nobili"[16] trucidando con falci e coltelli numerose persone fra membri dell’alta borghesia o della nobiltà locale come l’esattore Don Vincenzo Artino e il figlio di 13 anni Don Pasquale, il sindaco e notaio Don Giuseppe Bartoli con il figlio Don Ignazio e il nipote Don Salvatore. Furono uccisi anche Don Luigi Lanza, Don Salvatore Lanza e Don Francesco Lanza. In seguito fu raccolto da Donna Teresa Artino moglie di Don Ignazio Bartolo e nipote di Don Vincenzo Artino, in un manoscritto un elenco dei testimoni contro i congiurati affinché il giudice della Commissione Speciale prendesse in considerazione anche il contributo dato da Don Manfredi Bartolo, Adorno e Cozzo affinché la congiura si realizzasse, grazie a questo manoscritto sono state ritrovate molte testimonianze riguardanti la rivolta. I garibaldini, sopraggiunti e comandati dal colonnello Giovanni Interdonato [17], [18], imprigionarono alcuni dei rivoltosi che, dopo un rapido processo da parte della Commissione Speciale, furono giustiziati in 26 e ad altri comminate pene detentive [19]. L'episodio è al centro del capolavoro Il sorriso dell'ignoto marinaio, opera dello scrittore Vincenzo Consolo, e si presta al dibattito sul carattere più o meno popolare del Risorgimento e sui rapporti tra gli avvenimenti storici e la realtà degli strati più bassi della popolazione meridionale. Simboli«D'azzurro, all'aquila d'oro, linguata, armata e rostrata di rosso, coronata con corona all'antica di tre punte visibili, dello stesso. Ornamenti esteriori da Comune.» Il gonfalone è un drappo partito di giallo e di rosso.[20] Monumenti e luoghi d'interesseArchitetture religioseIl convento dei Cappuccini con l'annessa chiesa di sant'Elia fu fondato nel 1574. Sorse su di un'area che allora era un quarto di miglia fuori dalle mura del paese e fu completato definitivamente nel 1624[21]. Il complesso era composto oltre che dalla chiesa, dagli spazi per la vita monastica dei quali non rimane traccia. Dopo la soppressione del complesso edilizio divenne un bene pubblico, ma subì un rapido degrado, fino alle distruzioni novecentesche che hanno cancellato ogni traccia del convento sostituito da edifici residenziali e dalla cosiddetta "Villa comunale".
Altro
Aree naturaliSocietàEvoluzione demograficaAbitanti censiti[22] Tradizioni e folcloreFesta di San Giovanni BattistaIl 24 giugno, festività di san Giovanni Battista, si tiene nel paese la festa di "U Muzzuni". Il termine muzzuni si riferisce alle brocche prive di collo ("mozzate"), ai fasci di grano dopo la raccolta (mazzuna) e alla decapitazione del santo titolare. La festa, probabilmente, ha un legame più profondo con la sacralità antica del solstizio d'estate più che con la festa di san Giovanni. La ritualità della festa studiata ripetutamente da numerosi studiosi, conserva numerosi elementi pagani, risalenti al culto della dea Demetra e in origine legati al solstizio d'estate (21 giugno). Al tramonto vengono preparati dalle donne agli angoli delle strade i luoghi di esposizione, decorati con le pizzare, tappeti caratteristici, tessuti a mano. Intorno ad un tavolo vengono collocati i laureddi (steli di grano germogliati in assenza di luce in un piatto). Viene quindi preparato u muzzuni, una brocca priva di collo ornata di stoffa e di decorazioni d'oro, con spighe di orzo e di grano, lavanda, garofani e ancora laureddi, che viene posta sul tavolo nel luogo preparato. Si intonano quindi canti popolari (chianote e ruggere), duetti che trattano di vita contadina, corteggiamenti scherzosi o amori non corrisposti. Durante la festa si svolge il rito del "comparatico" che sancisce i rapporti di amicizia, suggellata dalla recita di un canto tradizionale e dallo scambio di confetti (a cunfetta). (SCN)
«Iriteddu facitini amari chi 'nni ficimu cumpari 'nzoccu avemu 'nni spartemu e mai 'nni sciarriamu cumpari semu e cumpari ristamu quannu veni 'a morti 'nni spartemu.» (IT)
«Mignolino facci amare perché ci siamo fatti compari quello che abbiamo ci dividiamo e giammai ci bisticciamo compari siamo e compari restiamo quando viene la morte ci separiamo.» CulturaMusicaAd Alcara li Fusi è sopravvissuta, fino a pochi anni fa, una delle ultime tradizioni di musica polivocale della Sicilia con un repertorio di canti tradizionali eseguiti senza l'accompagnamento strumentale ma semplicemente accordando tra di loro le diverse voci dei vari cantori che si accavallano nell'esecuzione. Tali canti coprivano un vasto repertorio ed erano eseguiti in vari occasioni durante l'anno, anche se una rilevanza particolare assumevano quelli eseguiti durante la Settimana Santa.[23][24] Geografia antropicaSuddivisioni storicheIl vasto territorio di Alcara, ora abbastanza disabitato ma in passato interessato da un insediamento sparso legato all'agricoltura ed alla pastorizia presenta, un gran numero di toponimi riferite a contrade agricole o specifici luoghi, interessanti per la loro difficile etimologia. Una ricerca accurata permetterebbe da una parte di documentare un aspetto di storia del territorio legato alla sola tradizione orale e che comunque minaccia di sparire nella memoria collettiva e dall'altra di dare conto della complessita delle trasformazioni storico-linguistiche che hanno interessato quest'area dei Nebrodi. Ecco un elenco non esaustivo ed in via di ampliamento:
Amministrazioni
Altre informazioni amministrativeIl comune di Alcara Li Fusi fa parte delle seguenti organizzazioni sovracomunali: regione agraria n.2 (Nebrodi nord-occidentali)[26]. SportCalcioLa squadra di calcio è l' A.C.D. Alcara 1987 che milita in Seconda Categoria, dopo la storica promozione conquistata il 29/05/22. Note
Bibliografia
Altri progetti
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