Memoria collettivaLa memoria collettiva è «il ricordo, o l'insieme dei ricordi, più o meno conosciuti, di un'esperienza vissuta o mitizzata da una collettività vivente della cui identità fa parte integrante il sentimento del passato», secondo la definizione dello storico Pierre Nora[1]. Nel dibattito sociologicoIl termine «memoria collettiva» fu coniato negli anni venti del Novecento da Maurice Halbwachs[2] in estensione e contrapposizione al concetto di memoria individuale. La memoria collettiva è sia esterna sia interna all'individuo in quanto condivisa, trasmessa e anche costruita dal gruppo o dalla società[3]. Il dibattito recente nell'ambito della storiografia e dell'antropologia sociale è stato sollevato dall'egittologo Jan Assmann nel suo testo del 1992 La memoria culturale[4]. Nel dibattito storiograficoUna famosa Historikerstreit, nel 1986, fu provocata da Ernst Nolte sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, quando sostenne che un “passato che non vuole passare” è un'anomalia nella memoria collettiva: il normale passare del passato non va inteso come scomparsa, perché "nei libri di storia si continua a discutere dell’età napoleonica o della classicità augustea; ma questi passati hanno perso, ovviamente, l’urgenza che avevano per i contemporanei, e proprio per questo possono essere affidati agli storici"[6]. Al contrario, il passato che non soggiace a questo processo di dissoluzione e di indebolimento ancora "pende sul presente come una mannaia": Nolte ascrive questa caratteristica agli eventi degli anni Trenta che hanno prodotto la Seconda guerra mondiale, ma questo limite della memoria collettiva in altri casi è stato applicato anche ad altri aspetti dell'Olocausto[7]. Memoria identitariaCon significato positivo la memoria collettiva è posta invece a fondamento delle identità nazionali oltre che religiose. Secondo il professor Carlo Socco, «la memoria collettiva accompagna il flusso del vissuto con la sua continua interpretazione narrativa, che poi non è altro che quell'incessante reinterpretazione del suo senso. Se il flusso del vissuto non fosse accompagnato dal continuo lavorio della memoria, individuale e collettiva, [...] non sapremmo più chi siamo e cosa ci stiamo a fare. Il teatro della quotidianità è inscindibile dalla narrazione della nostra esistenza e il senso, che esso autonomamente esprime, finisce per essere parte di ciò che accettiamo di essere e di ciò che aspiriamo ad essere».[8] Tra gli esempi in campo religioso, si rileva come numerosi passi della Bibbia mirassero a tutelare e rinforzare il senso della memoria collettiva degli israeliti.[9] Anche presso gli antichi Greci vigeva una sorta di istituzionalizzazione della memoria, che veniva affidata alla figura del Mnemone.[10] Nella tradizione indiana ed esoterica si fa invece riferimento ai registri dell'akasha come ad una sorta di contenitore universale di tutte le memorie individuali e collettive.[11] Note
Voci correlate
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