Ogni comune appartiene a una provincia, ma la provincia non fa da tramite nei rapporti con la regione e questa in quelli con lo Stato a livello gerarchico, poiché esso, essendo dotato di personalità giuridica, può avere rapporti diretti con la regione e con lo Stato. Tutti gli enti locali sopra citati disciplinano, con proprio regolamento, in conformità allo statuto, l'ordinamento generale degli uffici e dei servizi, in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione e secondo i principi di professionalità e responsabilità.
I comuni devono avere un proprio statuto comunale e possono ripartire il proprio territorio in circoscrizioni al fine di assicurare alla popolazione una più diretta partecipazione all'amministrazione. Alla circoscrizione sono delegati poteri che vanno di là dalla mera funzione consultiva (per la quale possono essere previsti nello statuto del comune, appositi comitati o consulte di quartiere). La legge finanziaria per l'anno 2007 ha modificato i termini per la costituzione delle circoscrizioni, rendendole obbligatorie in comuni con una popolazione superiore a 250 000 abitanti (non più 100 000) e opzionali, invece, ove la popolazione è compresa tra 100 000 e 250 000 abitanti (prima l'intervallo era 30000-100000 abitanti).
Un comune può avere una, nessuna o più frazioni, essere un comune sparso, essere suddiviso in circoscrizioni o avere un'exclave a livello territoriale. I comuni possiedono inoltre una classificazione climatica e sismica del proprio territorio ai fini di prevenzione e protezione civile. Appartengono al comune e sono da esso gestite tutte le strutture cosiddette comunali come scuole, strutture sportive e culturali, biblioteche pubbliche, teatri, ecc.
Organizzazione amministrativa
L'organizzazione amministrativa di un comune è fissata dal Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL) assieme a quello degli altri enti locali.
A supervisione di tutto vi è il consiglio comunale, organo collegiale equivalente del Parlamento a livello statale, composto da consiglieri comunali in rappresentanza di tutte le forze politiche del territorio con funzioni di approvazione del bilancio comunale, delle delibere e provvedimenti emessi dal sindaco/giunta (es. ordinanze). Oltre alla figura di assessore e consigliere, altra figura chiave a livello amministrativo è quella del segretario comunale. L'attività amministrativa si svolge tipicamente nel Palazzo del Municipio che funge anche da luogo con le relazioni dirette con i cittadini.
In quanto dotato di autonomia amministrativa e finanziaria nei limiti fissati da Costituzione e TUEL, il comune è responsabile dell'amministrazione del territorio per quanto riguarda:
Qualora alcune di queste funzioni vengano meno per effetto ad esempio di calamità naturali, il sindaco può chiedere l'intervento della prefettura. Per tutte le sue funzioni amministrative ogni comune dispone di un budget finanziario annuale da parte dello Stato. Le modalità di ripartizione dei fondi del bilancio comunale sono oggetto di discussione e approvazione da parte del consiglio comunale dopo le richieste di avanzamento da parte della giunta comunale sotto forma di deliberazione.
Comuni montani
In conformità all'art. 44 della costituzione inerente alla salvaguardia delle zone montane, la legge n. 991 del 1952 ha stabilito i criteri in base ai quali un comune è definito montano; nel 2018 i comuni italiani classificati montani erano 3 427,[1] distribuiti in tutte le regioni (ma non in tutte le province). Sono considerati invece parzialmente montani quei comuni nei quali tali criteri sono rispettati in una parte soltanto del territorio comunale.[2] In talune regioni è ammesso che gruppi di comuni montani (o, talvolta, parzialmente montani) fra loro vicini possano aggregarsi per dar vita a una comunità montana.
Roma Capitale
Dal 3 ottobre 2010 la città di Roma è amministrata da un ente territoriale comunale sui generis, chiamato Roma Capitale. L'ente ha poteri maggiori rispetto ad un comune ordinario e ha un proprio statuto che ne determina i principi e l'ordinamento.
Decreto trasparenza
Il D. Lgs. n. 33 del 14/03/2013 in tema di "Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni" definisce la trasparenza come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all'attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche.
Le informazioni devono essere pubblicate in formato aperto e sono riutilizzabili, senza ulteriori obblighi diversi da quello di citarne la fonte e rispettarne l'integrità (art. 7). I dati sono pubblicati nel sito istituzionale, nella sezione "Amministrazione trasparente" (art. 9-bis), secondo le denominazioni e la struttura prestabilito dal decreto (all. A). Fra i documenti obbligatori:
i documenti di programmazione strategico-gestionale e gli atti degli organismi indipendenti di valutazione, bilancio preventivo e consuntivo; il controllo delle fonti e dei servizi e dei dati relativi alle operazioni che riguardano la loro
curriculum vitae, compensi e spese di servizio degli incarichi politici elettivi e non, dirigenziali e delle consulenze;
enti di diritto privato in controllo pubblico, nonché alle partecipazioni in società di diritto privato;
scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi;
accordi stipulati dall'amministrazione con soggetti privati o con altre amministrazioni pubbliche;
documentazione relativa a ciascun procedimento di presentazione e approvazione delle proposte di trasformazione urbanistica d'iniziativa privata o pubblica in variante allo strumento urbanistico generale;
concernenti gli interventi straordinari e di emergenza che comportano deroghe alla legislazione vigente.
Il codice sulla privacy prevedeva che i soggetti pubblici non dovessero acquisire il consenso degli interessati per la gestione interna e riservata dei dati (all.3). Dal 25 maggio 2018 è in vigore il Regolamento generale sulla protezione dei dati, che, a differenza della precedente direttiva, si applica anche a imprese ed enti, organizzazioni in generale.
In materia di dati catastali, l'accesso telematico esterno risulta consentito esclusivamente ai tecnici abilitati previa apposita delega scritta del Proprietario. La Corte di Cassazione (Cass. civ., 20 febbraio 1987, n. 1840) ha esteso tale facoltà soltanto ai notai nell'ambito dello svolgimento del loro incarico.[3]
La semplificazione ha dato luogo a una serie di accordi fra distretti notarili e amministrazioni comunali locali, finalizzati a un accesso alle varie banche dati dell'Anagrafe e al rilascio informatico dei certificati necessari per gli atti. Al 2014, risultavano "coperti" dal servizio 25 comuni italiani,[4] mediante una propria applicazione web realizzata dai singoli comuni a risorse finanziarie invariate.[5]
La normativa stabilisce che tutti i documenti contenenti atti soggetti a pubblicazione obbligatoria sono altresì soggetti a obbligo di comunicazione tempestiva nei siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni,[6] fermo restando l'onere di affissione all'albo pretorio telematico (la tradizionale affissione cartacea era ammessa soltanto fino al 2010).
I comuni dotati del titolo di città solitamente portano al di sopra dello stemma la corona d'oro loro spettante, salvo eccezioni (ovvero diverse disposizioni nel decreto di approvazione dello stemma o in presenza) e con la generale esclusione della provincia di Bolzano: «La corona di Città ( [...] ) è formata da un cerchio d'oro aperto da otto pusterle (cinque visibili) con due cordonate a muro sui margini, sostenente otto torri (cinque visibili) riunite da cortine di muro, il tutto d'oro e murato di nero».[7] Gli stemmi sono assegnati con decreto del presidente del Consiglio dei ministri a cura dell'Ufficio del cerimoniale di Stato e per le onorificenze, Servizio onorificenze e araldica (ripartizione della Presidenza del Consiglio nata dalla trasformazione della Consulta araldica, soppressa ai sensi delle disposizioni finali della Costituzione italiana).
Comuni delle regioni a statuto speciale
Valle d'Aosta
Nella Valle d'Aosta è in vigore una corposa legislazione in materia comunale concernente sia gli aspetti organizzativi sia quelli elettorali, finanziari e burocratici. La norma principale è la legge regionale n. 54 del 7 dicembre 1998, e successive modificazioni, che regola il sistema delle autonomie della valle.[8] In materia elettorale era invece già intervenuta la legge regionale n. 4 del 9 febbraio 1995, e successive modificazioni, liberamente ispirata alle riforme apportate a livello nazionale.[9] Caratteristica specifica della legislazione valdostana è l'elezione diretta del vicesindaco, che diviene così un organo inamovibile dell'amministrazione comunale.
Nel Trentino-Alto Adige i comuni sono normati dal Testo unico delle leggi regionali approvato con decreto del presidente della Regione n. 3/L del 1º febbraio 2005.[10] A dispetto del nome, tale fonte legislativa non è un documento esauriente come accade nel corrispondente atto nazionale, ma contiene una serie di rimandi a varie leggi precedenti già in vigore.
Il correlato decreto n. 1/L regola l'elezione degli organi municipali stabilendo, caso unico in Italia, il sistema elettorale proporzionale per la composizione dei consigli comunali nella Provincia autonoma di Bolzano, in modo da non alterare i rapporti di forza fra le varie comunità linguistiche.[11]
Più avanzato ed esaustivo il Codice degli Enti Locali regionale, sostitutivo dell'ex Regolamento regionale, e normato dalla L.R. 3/2018 e sue ulteriori modifiche.[12]
A tutela dei gruppi linguistici insediati storici, ovvero tedesco, italiano, ladino, mocheno, cimbro è previsto che per la Provincia autonoma di Trento siano ufficialmente riconosciuti anche le traduzioni in lingua cimbra e mochena dei comuni Gamou/Gamoa e Kamou.
La traduzione di comune in ladino dolomitico è chemun o comun (ufficiale anche per i comuni ladini della provincia autonoma di Trento), mentre in tedesco è:
Gemeinde, per i comuni a cui non sia stato conferito il titolo di città;
Stadtgemeinde, per i comuni a cui sia stato conferito il titolo di città;
Marktgemeinde, riservata ai comuni che già godevano del titolo di Markt (diritto di avere un mercato) nell'Impero austro-ungarico, prima dell'annessione dell'Alto Adige al Regno d'Italia avvenuta a seguito della prima guerra mondiale. Nel secondo dopoguerra l'attribuzione di questo titolo è stata avocata alla giunta regionale, che lo conferisce ai comuni con almeno 5 000 abitanti. La sua traduzione italiana sarebbe ufficialmente "borgata".
Sui 116 comuni altoatesini, 16 hanno il titolo di mercato e 8 quello di città.
Nel Friuli-Venezia Giulia il legislatore regionale ha utilizzato solo parzialmente le facoltà concessegli dalla riforma costituzionale del 1993, lasciando espressamente in vigore le norme nazionali non incompatibili con le deliberazioni locali. Nella normativa si segnala la legge regionale n. 1 del 2006 sulle autonomie locali[13] e, in materia elettorale, la legge regionale n. 14 del 9 marzo 1995 e successive modificazioni.[14] Si noti come questa legge, come per parte statale il decreto legislativo n. 9 del 2 gennaio 1997[15] di attuazione della riforma costituzionale del 1993, fanno in più punti riferimento alla normativa nazionale vigente, che all'epoca era la legge n. 142 dell'8 giugno 1990 così come modificata nel 1993:[16] ciò sottopone i comuni della regione a un incrocio di norme estremamente complesso e atipico, dato che oltre alla legislazione regionale e a quella nazionale non incompatibile, rimangono qui in vigore anche alcune norme nazionali del passato abrogate nel resto d'Italia.
Per quanto concerne il bilinguismo, nelle province di Gorizia, Udine e Trieste alcuni comuni hanno un doppio nome e una doppia denominazione, in italiano e sloveno. Il comune è chiamato in questi casi občina. Nelle province di Udine, Gorizia e Pordenone alcuni comuni al nome italiano affiancano il nome in friulano. La denominazione in questi casi è comun.
Nel 2014 In base alla legge regionale 26/2014 "Riordino del sistema Regione - Autonomie locali del Friuli-Venezia Giulia" tesa, fra l'altro, all'abolizione degli enti-provincia, più Comuni si raggruppano in una forma di ente pubblico che prende il nome di Unioni territoriali intercomunali (UTI).
Nel 2020 a seguito dell'abolizione delle Unioni Territoriali Intercomunali, sono stati istituiti gli enti di decentramento regionale (EDR), istituiti con Legge regionale 29 novembre 2019, n. 21 ("Esercizio coordinato di funzioni e servizi tra gli enti locali del Friuli Venezia Giulia e istituzione degli Enti di decentramento regionale"), ed operativi dal 1º luglio 2020, sono enti funzionali della Regione autonoma del Friuli-Venezia Giulia.
Sicilia
La Sicilia, essendo la regione che gode del maggior grado di autonomia, è l'unica ad aver avuto piena potestà sui suoi enti locali fin dall'approvazione della Costituzione nel 1948. L'applicazione della normativa nazionale sull'isola - salvo che per i profili relativi all'esercizio di funzioni statali decentrate e per quelle relative all'ordinamento contabile - è stata dunque sempre eventuale e soggetta ad esplicito recepimento da parte del legislatore regionale. La vigilanza sugli enti locali siciliani è affidata all'Assessorato delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica.
La materia elettorale è regolata dal decreto del presidente regionale n. 3 del 20 agosto 1960, profondamente modificato dalla Legge regionale del 26 agosto 1992, n. 7, pioniera in Italia dell'elezione diretta del sindaco, dalla Legge regionale del 15 settembre 1997, n. 35, che avvicinò il meccanismo elettorale maggioritario a quello nazionale, e dai successivi interventi legislativi fino al 2008.[17] Tra le caratteristiche normative tipiche dell'isola, si segnala l'abbassamento a 10 000 abitanti della soglia di differenziazione fra comuni minori e maggiori in materia elettorale, e l'introduzione per i primi di un meccanismo secco che assegna i tre quinti dei seggi ai vincitori e dei due quinti ai primi perdenti, con l'esclusione di ogni altra lista e indipendentemente dalla percentuale ottenuta.
Ancor più atipica è la possibile convivenza fra il commissario regionale, figura che sull'isola è prevista in luogo di quella di nomina prefettizia, e il consiglio comunale: il commissario riceve infatti qui di base solo le funzioni esecutive, e non quelle deliberative, le seconde essendogli attribuite solo in caso di scioglimento del consiglio per dimissioni dei consiglieri o voto di sfiducia al sindaco. Nel caso di dimissioni o qualsiasi decadenza di quest'ultimo invece, la consiliatura continua commissariata fino al termine del mandato naturale, elezioni anticipate venendo indette solo nel caso di una crisi consiliare.[18]
Sardegna
La Sardegna è l'unica regione ad autonomia speciale a non aver ancora esercitato in maniera organica i suoi poteri in tema di amministrazione comunale; nell'isola si applica quindi il Testo Unico nazionale, con l'eccezione delle deroghe particolari stabilite da alcune specifiche leggi regionali. Le modifiche in materia approvate e proposte a livello centrale hanno tuttavia stimolato anche in Sardegna l'attivismo del legislatore regionale, dapprima sospendendo l'applicazione in loco delle nuove norme nazionali, e quindi con la legge regionale n. 11 del 25 maggio 2012 che ha provveduto a un riordino delle autonomie locali sarde.[19]
Al 2024 l'Italia ha 7 896 comuni.[20][21][22] Per effetto di aggregazioni spontanee, il loro numero è in calo rispetto al censimento generale del 2011, quando i comuni italiani erano 8 092 e contavano in media 7 345 residenti.[23]
Nel 2011 il 70,5% dei comuni aveva meno di 5 000 abitanti e appena il 6,3% più di 20 000. Tra questi, i comuni con più di 50 000 abitanti erano complessivamente 141, e quelli con più di 100 000 abitanti 46.
Nel 1861, anno dell'unità d'Italia, i comuni erano 7 720. In corrispondenza del censimento del 1921 è stato registrato il maggior numero di comuni, ovverosia 9 195, mentre al censimento successivo del 1931, per effetto di numerosi decreti di accorpamento se ne registrarono 7 311, valore minimo raggiunto.[24]
^ Autorità Garante della Privacy, Nota tecnica applicazione da parte dei Comuni della normativa in materia di riservatezza (docweb n.40229). URL consultato il 25 maggio 2018 (archiviato dall'url originale il 20 novembre 2017). , citato nel sito dell'authority con riferimenti ai volumi "Massimario 1997 - 2001. I principi affermati dal Garante nei primi cinque anni di attività" |"Massimario 2002" | "Massimario 2003" [CATEGORIE E REQUISITI DEI DATI PERSONALI > Dati sensibili > Dati idonei a rivelare l'appartenenza etnica
^ Governo italiano - Ministero dell'Interno - Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, ELENCO CODICI DEI COMUNI ITALIANI, su dait.interno.gov.it. URL consultato il 23 settembre 2023 (archiviato il 5 luglio 2023).
^I Comuni italiani 2009 (PDF), su cittalia.it, IFEL ANCI Cittalia, 15 settembre 2009, p. 9. URL consultato l'11 ottobre 2023 (archiviato il 23 settembre 2015).
Trasparenza nell’utilizzo delle risorse pubbliche, su soldipubblici.gov.it. URL consultato il 23 aprile 2018 (archiviato dall'url originale il 21 gennaio 2017). ex D.Lgs. "Trasparenza" n. 97/2016, art. 5, comma 1.
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