Collezione Ludovisi

Domenichino, Ritratto di papa Gregorio XV con il cardinale Ludovico Ludovisi
Villa Ludovisi in un'incisione del 1670 circa (Istituto nazionale per la grafica - Gabinetto delle stampe, Roma). Sulla sinistra si vede il palazzo Grande, in basso a destra la fontana del Tritone, al centro in secondo piano l'Uccelleria, a destra sullo sfondo in lontananza il casino dell'Aurora.

La collezione Ludovisi è una raccolta d'arte creata a Roma nel terzo decennio del Seicento e appartenuta alla nobile famiglia Ludovisi, che si estinse nella linea diretta maschile intorno al 1699 e le cui proprietà furono ereditate dalla famiglia Boncompagni.[1] La sua creazione e la sua massima espansione furono dovute all'attenzione e alla sensibilità di Ludovico Ludovisi, cardinal nipote di papa Gregorio XV, che fu tra i più rilevanti collezionisti e mecenati romani del Seicento.[1]

Si tratta di una delle più importanti raccolte artistiche di epoca barocca e tra le più notevoli in assoluto sotto il profilo della statuaria classica, assieme alle collezioni cinquecentesche dei Farnese e dei Medici e seicentesche dei Borghese e dei Giustiniani. Oltre le sculture antiche, vi erano conservati anche importanti dipinti del Rinascimento, ricevuti in dono o acquistati, e opere commissionate direttamente ad artisti contemporanei, come il Guercino. La collezione era esposta nella villa Ludovisi, che il cardinale Ludovico aveva fatto costruire nei pressi di Porta Pinciana e che fu abbattuta alla fine dell'Ottocento.

Il contenuto della collezione si conosce grazie a due importanti inventari pubblicati a stampa nel Novecento[2][3][4], il primo dei quali redatto nel 1623 alla morte del papa Gregorio XV, il secondo nel 1633 alla morte del cardinale stesso.

La pinacoteca si disperse tra Francia e Spagna durante il Seicento. La raccolta di antichità si conservò invece fino al 1901, quando il nucleo più rilevante fu acquistato dallo Stato italiano e collocato nelle Terme di Diocleziano. Successivamente passò nella sede di palazzo Altemps del Museo Nazionale Romano, dove è esposto tuttora.[5]

Storia della collezione

Seicento

Scultura antica

Fanciullo che strozza l'anatra e Venere accovacciata, Roma, Museo Nazionale Romano. Già in collezione Cesi, le due opere erano originariamente unite su un unico piedistallo di marmo nel gruppo di Leda con il cigno.
Ares detto Ares Ludovisi, Roma, Museo Nazionale Romano.

La collezione di sculture antiche, disposte tutte negli spazi esterni o interni della villa Ludovisi, era formata da reperti rinvenuti durante i cantieri di scavo della proprietà oppure donati e acquistati essenzialmente tra il 1620 e il 1630.[6] Tra le acquisizioni più notevoli vanno ricordate le opere provenienti dalle collezioni Cesarini, già nel palazzo dell'Esquilino, e Cesi, una delle più importanti raccolte romane di antichità del Cinquecento. Dalla collezione Cesi provenivano, per esempio, i gruppi di Pan e Dafni e della Leda con il cigno. Quest'ultimo fu diviso nel Settecento e, quindi, riassemblato, fino a essere definitivamente separato nel 1901 nelle due opere autonome del Fanciullo che strozza l'oca e della Venere accovacciata[7][8]. Dalla collezione Altemps, sita nella residenza di Frascati pervenne ai Ludovisi l'Ercole in riposo.[6][9]

Tra le numerose opere rinvenute durante i lavori di scavo nell'area dove sorse la villa si segnalano il Galata morente e il Galata suicida con la moglie. L'Ares Ludovisi fu scoperto invece nel 1622 durante uno scavo nei pressi della chiesa di San Salvatore in Campo[10].

Le opere furono restaurate da alcuni dei più notevoli scultori del tempo.[9] Ippolito Buzzi operò sulle due statue raffiguranti Apollo citaredo, sui gruppi di Amore e Psiche e di Oreste ed Elettra, sul cosiddetto Gruppo di sant'Ildefonso[11] e sulla statua di Antonino Pio. Gian Lorenzo Bernini, lavorò sull'Ares Ludovisi, una delle sculture simbolo dell'intera collezione e tra le più importanti della statuaria classica romana, mentre Alessandro Algardi fu incaricato di svolgere diversi restauri sull'Athena, sull'Ermes Ludovisi e sul Dadoforo.[9]

Le opere più importanti furono collocate nel palazzo Grande, altre divise tra il casino dell'Aurora e il casino Capponi,[12] mentre nel giardino furono disposti sarcofagi, statue di satiri e sileni o erme. Qui erano infatti collocati il Satiro versante e i gruppi con Pan e Dafni e Leda con il cigno.[12]

Pittura del Rinascimento

Dosso Dossi, Apollo e Dafne, Roma, Galleria Borghese.

Ludovico Ludovisi raccolse anche una notevole collezione di dipinti, per lo più di grandi dimensioni[13], con quadri di Tiziano, Bonifacio Veronese, Jacopo Bassano, Giovanni Bellini, Dosso Dossi, Francesco Francia, Garofalo, Guercino, Guido Reni, Ludovico Carracci, Domenichino.

La collezione era pressoché tutta proveniente da opere contemporanee al cardinale, denotando che non vi furono mai stati grossi lasciti, immissioni o donazioni provenienti da altre collezioni precedenti (su tutte, ad esempio, quelle estensi provenienti da Ferrara, o piuttosto quella Aldobrandini di Roma, da cui, seppur imparentati, a parte la Madonna del Passeggio di Raffaello,[14] un Noli me tangere del Correggio e i due Baccanali di Tiziano donati da Olimpia a Ludovico Ludovisi in occasione della sua nomina cardinalizia, gran parte della loro raccolta confluì invece in quelle Borghese e Pamphilj).

Pittura e scultura del Seicento

Gian Lorenzo Bernini, Ratto di Proserpina, Roma, Galleria Borghese.

Un nucleo importante di dipinti di scuola bolognese, su tutti di Guercino e Domenichino, che per l'appunto furono una sorta di pittori di casa Ludovisi, fu raccolto da Alessandro prima di divenire papa, quando era legato alla città di Bologna col titolo di arcivescovo dal 1612 al 1621, giacché, una volta nominato pontefice massimo col nome di Gregorio XV, non potendo portare con sé alcuna opera artistica, fece dono delle sue raccolte al cardinal-nipote (com'era usanza fare).

Nel 1621 il cardinale Ludovisi acquistò il palazzo Colonna nel ducato di Zagarolo, di cui erano signori. Per l'occasione furono chiamati proprio il Domenichino e Giovanni Battista Viola a decorare gli interni con paesaggi affrescati su richiesta dello stesso Ludovico.

Guercino, Susanna e i vecchioni, Madrid, Museo del Prado.

Giovanni Pietro Bellori (Nota delli musei) e Fioravante Martinelli (Roma Ornata) citano nei loro testi molte opere d'arte nella collezione, distribuite tra le proprietà di Roma e di Zagarolo, dove aveva dimora abituale Niccolò, fratello del cardinale Ludovico. Tra le più importanti vi erano due paesaggi del Domenichino, una Susanna e i vecchioni (oggi al Museo del Prado di Madrid) e una Venere al bagno (oggi alla National Gallery di Washington) del Guercino, un San Francesco di Guido Reni (identificabile con quello poi confluito dapprima nella collezione Pamphilj del principe Camillo e poi, dal 1665, nelle raccolte di Luigi XIV, poi passate nel Museo del Louvre a Parigi, dove sono tuttora), una Galatea di Annibale Carracci (copia da Raffaello), un Apollo e Dafne di Dosso Dossi e il Ratto di Proserpina gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini (entrambe già di Scipione Borghese e donate al cardinale Ludovico nel 1621, dove rimasero fino al 1908, quando furono poi acquistate dallo Stato italiano; oggi tutte e due ritornate alla Galleria Borghese a Roma) e il cosiddetto Doppio ritratto[15] attribuito a Giorgione (oggi al Museo di palazzo Venezia a Roma).

Alla morte del cardinale Ludovico Ludovisi nel 1632, tutta la collezione passò al fratello Niccolò, signore di Gesualdo e principe di Piombino, marito in terze nozze di Costanza Pamphilj, nipote di papa Innocenzo X (quest'ultimo che, nel 1653, finanziò per i Ludovisi il palazzo in Campo Marzio, oggi Montecitorio, che tuttavia, per dissidi familiari, fu interrotto l'anno seguente e accantonato del tutto alla morte del principe).[12]

Le dismissioni delle opere pittoriche sotto il principe Niccolò

Erma di Ercole con mazza, Roma, Museo Nazionale Romano. La statua era collocata nel giardino di villa Ludovisi.

Gli anni immediatamente successivi alla morte di Ludovico Ludovisi furono anni di consolidamento del successo della sua raccolta di antichità.[12] Seppur il cardinale collezionò anche opere pittoriche di particolare importanza, per lo più del Rinascimento veneto e del Barocco emiliano-romano, la notorietà negli ambienti culturali era determinata principalmente dai pezzi archeologici, alcuni dei quali costituivano al momento i più notevoli del Seicento.[12]

Per volere di Niccolò, comunque, immediatamente dopo la morte di Ludovico, i quadri più grandi della collezione pittorica romana furono spostati dalla villa di famiglia alla residenza di Zagarolo.[13]

Nonostante il fatto che, comunque, a differenza di altre collezioni contemporanee (come ad esempio quella Borghese o Giustiniani), quella Ludovisi era di difficile accesso al pubblico, tant'è che i proprietari intendevano aprire le porte della propria villa solo a personaggi di alto rango o studiosi che venivano a fare visita alla città,[16] l'importanza che raggiunsero le opere archeologiche del catalogo è testimoniata da una serie di repliche e bozzetti eseguiti durante tutto il XVII e XVIII secolo che contribuirono ulteriormente alla diffusione del loro successo.

A Firenze vennero realizzati nella bottega del Giambologna alcuni bronzi, allorché un suo collaboratore, Giovan Francesco Susini, recatosi a Roma nei primi anni '20 del secolo, copiò alcune sculture antiche note a Roma in quegli anni.[17] A parte il Toro Farnese e l'Ermafrodito Borghese, le opere replicate erano quasi tutte entro le raccolte del principe Niccolò I Ludovisi (di cui era anch'egli stesso collezionista di talune di queste, esposte al primo piano del casino dell'Aurora): i bozzetti erano quindi di un Gladiatore che si riposa (forse il Guerriero seduto), dell'Ares (oggi all'Ashmolean Museum di Oxford), del Gladiatore ferito e moribondo (ossia il Galata morente, oggi al Museo del Bargello a Firenze), del Galata suicida e la moglie (oggi al palazzo Colonna di Roma) e altre ancora.[17]

Ermes detto Ermes Ludovisi, Roma, Museo Nazionale Romano.

Nel 1638 l'incisore francese Francois Perrier pubblica una raccolta di 100 acqueforti, il "Segmenta Nobilium Signorium et Statuarum....", ossia un catalogo delle più prestigiose sculture antiche presenti nelle collezioni romane,[18] dove su circa 80 opere totali, dalla collezione Ludovisi meritarono menzione ben 12 sculture (il Console, il Galata suicida e la moglie, il Castore e Polluce, l'Ares, l'Oreste ed Elettra, l'Hermes Loghios, il Pan e Dafne, il Bacco, la Musa, la Sabina, il Galata morente e il Sileno sdraiato) più di quelle della collezione Farnese (cinque), leggermente meno di quella Medici (quattordici) e meno di quelle della raccolta Borghese (venti).[19]

Guido Reni, Caduta di Saulo

Nonostante questi riconoscimenti, con la successione di Niccolò a Ludovico Ludovisi, la famiglia iniziò ad accumulare alcuni debiti che la costrinsero a smembrare parte dei propri beni pur di riuscire a fronteggiare le insolvenze generate.[13] Gran parte dei dipinti venduti dal principe Niccolò presero la via della Francia o della Spagna. In particolare arrivarono in Spagna le due tele di Tiziano con il Baccanale degli Andrii e il Baccanale con la festa di Venere, il Noli me tangere del Correggio, il Lot e le figlie del Guercino e la Caduta di Saulo di Guido Reni[20]. I dipinti furono donati al re Filippo IV già a partire dal 1640, in riconoscenza della concessione di questi del titolo di principe di Piombino, che avvenne nel 1634, e per ulteriori favori ricevuti da Niccolò durante gli anni del suo regno in Spagna.[13]

Nel 1649 lo stesso re di Spagna inviò a Roma Velazquez, soprintendente alle opere d'arte[17] con l'incarico anche di selezionare e riprodurre alcune opere di antichità da utilizzare come modelli per temi pittorici (è il caso dell'Ares con il Marte in riposo) e anche come base per realizzare in patria le repliche scultoree a grandezza naturale.[17] Anche in questo caso, come avvenne per i bozzetti Susini o le incisioni Perrier, molte scelte ricaddero sui pezzi della collezione Ludovisi: l''Ares, il Galata morente, il Satiro versante e l'Hermes Loghios.[17]

La collezione sotto il principe Giovan Battista e l'estinzione del casato

Pan e Dafni, Roma, Museo Nazionale Romano.

Alla morte di Niccolò, avvenuta nel 1664, la raccolta passò a Giovan Battista, suo primogenito ed unico maschio, il quale continuò a disperdere le opere e le proprietà di famiglia, già a partire dal 1665.[12] A questi anni risale, infatti, la cessione del palazzo già Colonna e del ducato di Zagarolo alla famiglia Rospigliosi, con contestuale trasferimento anche di parte della collezione pittorica lì conservata, poi trasmigrata dalle raccolte Rospigliosi alle collezioni Pallavicini (soprattutto tele di provenienza bolognese, come il Peccato originale del Domenichino, il Sansone e i filistei, attribuito inizialmente a un Carracci e oggi riportato a Francesco Brizio, il Rinaldo e Armida e il Trionfo di David di Lucio Massari).[21]

Galata suicida con moglie, Roma, Museo Nazionale Romano.

Al 1666 risale l'interesse del re di Francia verso la Villa Ludovisi e verso tutte le sculture che facevano parte della collezione.[22] Jean-Baptiste Colbert tentò infatti di acquistarle senza però ricevere esito positivo[22] e ottenne solo il permesso di realizzare i calchi di gran parte delle statue (circa 300 pezzi), che poi furono inviati in Francia intorno al 1670 per fare da modello alle sculture decorative dei viali della reggia di Versailles e di altre residenze reali.[22] Con il trasferimento dei calchi, la magnificenza della collezione Ludovisi si diffuse anche nei territori contigui a quello francese, come quello svedese, dove nel 1687 Nicodemus Tessin tentò di acquistare tutti i calchi dei pezzi, o come quello polacco, dove al re furono donate diverse repliche derivate.[22]

Intorno al 1668-1669 avvenne un'altra stesura di tavole raffiguranti i pezzi d'antichità più importanti delle collezioni europee, sulla falsariga di quella Perrier, ossia le Icones dell'olandese Jan de Bisschop: grazie alla realizzazione di questo catalogo, le sculture Ludovisi, delle quali erano incise il Galata suicida con la moglie e la Venere accovacciata, giunsero alla notorietà anche nei territori fiamminghi.[23] Nel 1669 Ferdinando II de' Medici acquistò per la propria collezione l'Ermafrodito dormiente (oggi agli Uffizi di Firenze), altra versione del soggetto particolarmente celebre già dai primi del XVII secolo grazie soprattutto alle due versioni Borghese (di cui una, la più nota, confluita al Louvre di Parigi mentre un'altra rimasta alla villa Pinciana di Roma).[24]

Nel 1670, per fronteggiare ancora una volta i debiti, Giovan Battista cedette altre opere pittoriche della collezione, tra cui le tre grandi tele con il Paesaggio con Caco, il Paesaggio con Ercole e il Paesaggio con Ercole e Acheloo del Domenichino (oggi al Louvre di Parigi) che presero la via della Francia di Luigi XIV, la Susanna e i vecchioni del Guercino che arrivò in Spagna (oggi al Prado di Madrid) e, ancora, il Paesaggio con la fuga in Egitto del Domenichino che fu venduto al cardinale Giulio Mazzarino (oggi al Louvre di Parigi).[13]

Nel 1679 con le incisioni di Joachim von Sandrart effettuate anni prima, durante gli anni in cui era impegnato per i Giustiniani nell'esecuzione del testo sulla Galleria Giustiniana, tra il 1629 e il 1635, si proseguì il tracciato di Perrier e Bisschop.[25] Fu infatti pubblicato a Norimberga un volume sul trattato delle arti, l'Accademia Todesca, che includeva nel testo anche tavole sulla statuaria classica riprese da disegni dello stesso Sandrart: vi erano segnalati, ancora una volta, il Galata suicida con la moglie, l'Oreste ed Elettra e il Marte elmato (Lucio Scipione).[25]

Morto Giovan Battista nel 1699, senza eredi, la linea maschile della famiglia si estinse.[12]

Settecento

Guerriero seduto, Roma, Museo Nazionale Romano.
Galata morente, Roma, Musei Capitolini.

La collezione, rimasta superstite per lo più delle opere di antichità, fu ereditata da Ippolita Ludovisi, sorella di Giovan Battista e moglie di Gregorio I Boncompagni, il quale acquisì i titoli e i beni Ludovisi, dando origine al ramo nobiliare Boncompagni-Ludovisi ancora esistente.[12] Nel corso del XVIII secolo la villa di famiglia perse di rilevanza nelle logiche interne dinastiche (gli ultimi ad abitarla furono proprio Ippolita e Gregorio Boncompagni) seppur gli spazi di sua pertinenza, sia esterni che interni, restavano adorni delle sculture antiche della collezione.[12] Tra il 1709 e il 1713 furono commissionati a Pierre Legros il Giovane il Monumento funebre a Gregorio XV e dellaTomba del cardinale Ludovico per la cappella Ludovisi della chiesa di Sant'Ignazio di Loyola a Roma, dove furono traslate le rispettive spoglie, dalla cappella dell'Annunziata del Collegio Romano, per quanto riguarda il pontefice, e dalla cattedrale di San Pietro di Bologna, per quel che riguarda il cardinal nipote.

L'Oreste e Elettra e il Ritratto di Francis Basset di Pompeo Batoni, dove sulla colonna è ripresa la scultura antica

Nel 1733 dagli horti fu ritrovato l'Acrolito Ludovisi, statua raffigurante il volto della Venere Ericina. Nel 1737 papa Clemente XII acquistò la statua del Galata morente, all'epoca nel palazzo Piombino di via del Corso a Roma (distrutto nei primi del Novecento), per collocarla nel nascente museo cittadino del palazzo dei Conservatori, i Musei capitolini (giacché nei primi dell'Ottocento la scultura fu requisita durante le spoliazioni napoleoniche e ritornò a Roma solo nel 1815).[26]

Non mancarono anche durante questo secolo illustri personalità che giunsero a Roma per ammirare le opere Ludovisi, le cui testimonianze contribuirono ulteriormente a diffonderne in tutta Europa la fama.[27] Domenico De Rossi nel 1704, con le sue Raccolte di statue antiche e moderne, elenca diverse opere del catalogo, Etienne Parrocel invece ne riprende alcune con i disegni e Johann Joachim Winckelmann, ancora, ne esalta le fattezze nei suoi scritti del 1764 e 1767, dove giudicò l'Ares come «una delle tre più belle statue sul dio» mentre l'Apollo citaredo (Nomios) la più bella in assoluto dopo quello Belvedere.[27]

Anche il giovane Antonio Canova nel 1780 eseguì alcuni disegni delle opere, che poi portò a Venezia, mentre diversi pittori del tempo utilizzarono le sculture come modelli o elementi riempitivi per i propri dipinti: sono questi i casi di Pompeo Batoni, che riutilizzò diversi busti e gruppi marmorei, tra cui l'Ares e l'Oreste ed Elettra, o Giambattista Canal che negli affreschi del palazzo Mangilli Valmarana a Venezia inserì in una composizione sempre il gruppo dell'Oreste ed Elettra.[27]

Sul finire del Settecento, con l'avvento della Repubblica romana e il primo controllo delle truppe francesi dei territori italiani, la famiglia Boncompagni Ludovisi fu interessata da una condizione debitoria aggravata rispetto a quella precedente che la condusse in crisi finanziaria stabile, costringendola a cedere diverse sculture del proprio catalogo, fino a quel momento scampate a questa sorte.[12]

Ottocento e Novecento

Satiro versante, Roma, Museo Nazionale Romano.

Nel corso del XIX secolo la collezione fu risistemata pressoché tutta negli spazi coperti della Villa Ludovisi, essenzialmente nel casino Capponi, che fu restaurato in tal senso per ospitare la raccolta scultorea, dove erano collocate l'Ares, il Guerriero seduto (che si spostavano da sempre in pendant) il Busto di Antinoo Ludovisi, il Pan e Dafne (fino a quel momento esposto nei giardini) e altre opere, ma anche nel palazzo Grande, dove già dal 1665 fu collocato il Satiro versante (un tempo esposto all'esterno in un'edicola apposita, poi sostituito dal cosiddetto Pan di Michelangelo) e nel casino dell'Aurora, mentre solo una minima parte dei pezzi rimase lungo i viali del giardino per abbellire le passeggiate.[16] I lavori di adeguamento espositivo furono supervisionati da Antonio Canova nel 1806.[12]

Nel 1820, con l'Editto Pacca, la collezione veniva vincolata allo Stato Pontificio, così da evitare la dispersione delle ricchezze romane nei territori d'oltralpe e non solo.[16]

Busto di Antinoo Ludovisi

Tra il 1825 e il 1851 il principe Luigi Boncompagni Ludovisi e il figlio Antonio rinnovarono l'interesse familiare per la villa, espandendone gli spazi con l'acquisto di altri lotti di terra e fabbricati contigui.[16] La proprietà raggiunse i 25 ettari, dunque il massimo della sua estensione fin dai tempi del cardinale Ludovico (quando ammontava a 19 ettari).[16]

Contestualmente ai lavori nella villa, la collezione scultorea fu interessata anch'essa da nuove acquisizioni, arrivando a contare in totale, nel 1880, circa 339 opere d'antichità.[16] Con Rodolfo Boncompagni Ludovisi, intorno al 1883, la proprietà fu lottizzata: il palazzo Grande fu parzialmente ridotto per consentire l'edificazione di un altro fabbricato accanto, la dimora Piombino di via Vittorio Veneto, in sostituzione di quella di via del Corso, da cui i proprietari furono espropriati per la costruzione della Galleria Colonna, mentre diversi ettari di giardino della Villa Pinciana furono distrutti del tutto, in favore di altri edifici, tutti sempre entro le pertinenze della villa storica originaria, tra cui il villino Boncompagni Ludovisi e quello Maraini.[16]

Nel 1885 furono abbattute l'Uccelleria e altre strutture della villa. Ignazio Boncompagni Ludovisi, principe di Venosa, per l'occasione avviò una campagna fotografica dell'intero complesso, costruendo così un catalogo storico della residenza (poi donato nel 1930 al comune di Roma e esposto nel Museo di palazzo Braschi).[5] Durante questi lavori, da cui si salvarono solo il Casino dell'Aurora e la facciata con la scalinata del palazzo Grande, oggi addossata al palazzo Margherita, sede dell'Ambasciata degli Stati Uniti in Italia, furono rinvenuti ulteriori pezzi che entrarono a far parte della collezione come il Trono Ludovisi.[28].

Sul finire del secolo la famiglia Boncompagni-Ludovisi si attivò per smembrare del tutto la propria collezione d'arte. Tuttavia il vincolo di indivisibilità e inalienabilità delle collezioni d'arte che era intanto entrato in vigore dopo l'abolizione, nel 1865, della legge sul fidecommesso impedì di procedere in questo senso.[5] Lo Stato italiano di contro si prodigò per attivare una convenzione con la famiglia atta a salvaguardare il patrimonio artistico lasciandolo alla città di Roma: in questo modo si riuscì ad acquistare nel 1901 solo una parte della stessa collezione archeologica, un centinaio di sculture costituenti il nucleo della collezione di antichità,[5] oggi tutte al Museo nazionale Romano, per lo più al palazzo Altemps.[29]

Già smembrata del tutto la collezione, sia nella componente artistica che archeologica, nel 2021 è stato messo in vendita all'asta dagli ultimi eredi Boncompagni Ludovisi il Casino dell'Aurora, dove sono rimasti gli affreschi del Guercino, commissionati dal cardinale Ludovico, e di Caravaggio, voluti dal cardinale Francesco Maria Del Monte precedente proprietario del casino.[30]

Elenco delle opere (non completo)

Amore e Psiche, Roma, Museo Nazionale Romano.
Apollo citaredo (Nomios), Roma, Museo Nazionale Romano.
Athena con serpente, Roma, Museo Nazionale Romano.
Dionisio con serpente, Roma, Museo Nazionale Romano.
Dioniso detto Dioniso Ludovisi, Roma, Museo Nazionale Romano.
Ercole in riposo, Roma, Museo Nazionale Romano.
Satiro e ninfa, Roma, Museo Nazionale Romano.

Archeologia

Scultura e pittura

Correggio, Noli me tangere, Madrid, Museo del Prado.
Domenichino, Paesaggio con Ercole e Acheloo
Domenichino, Santa Cecilia Parigi, Musée du Louvre.
Giorgione (attribuito), Doppio ritratto, Roma, Museo di Palazzo Venezia.
Tiziano, Baccanale degli Andrii, Madrid, Museo del Prado.

Albero genealogico degli eredi della collezione

Segue un sommario albero genealogico degli eredi della collezione Ludovisi, dove sono evidenziati in grassetto gli esponenti della famiglia che hanno ereditato, custodito, o che comunque sono risultati influenti nelle dinamiche inerenti alla collezione d'arte. Per semplicità, il cognome Ludovisi viene abbreviato a "L.".

 Pompeo Ludovisi
 
  
 Alessandro L.
(1554-1623)
(papa dal 1621 al 1623 col nome di Gregorio XV)
Orazio L.
(1561-1624)
 
   
 Ludovico L.
(1595-1632)
(cardinal nipote, fu l'artefice della collezione d'arte di famiglia)
Niccolò L.
(1610-1664)
(sposò in terze nozze Costanza Pamphilj, nipote di papa Innocenzo X, figlia di Pamphilio Pamphilj e Olimpia Maidalchini)
Ippolita L.
(sposò Giovan Giorgio Aldobrandini e fu madre di Olimpia Aldobrandini, quest'ultima moglie in prime nozze di Paolo Borghese e in seconde di Camillo Francesco Maria Pamphili, anch'egli nipote di papa Innocenzo X, figlio di Pamphilio Pamphilj e Olimpia Maidalchini)
 
     
Giovanni Battista I L.
(1647- 1699)
(cedette il ducato di Zagarolo con la propria residenza familiare e le pitture ivi custodite alla famiglia Rospigliosi)
Olimpia L.
(1656 -1700)
(fu monaca)
Lavinia L.
(1659-1682)
(sposò Giangirolamo Acquaviva d'Aragona, duca di Atri)
Ippolita L.
(1663-1733)
(sposò Gregorio Boncompagni, V duca di Sora (1642-1707), da cui ebbe seguito la dinastia Boncompagni-Ludovisi)
Nicolina L. (1665-?)
 
   
 Ugo Boncompagni L.
(1684–1686)
Maria Eleonora Boncompagni L.
(1686–1745)
(divenne erede dopo la prematura morte dell'unico maschio primogenito; sposò lo zio Antonio I Boncompagni)
...e altre 4 sorelle
 
  
 Gaetano I Boncompagni L.
(1706-1777)
... e altre 4 fratelli/sorelle
 
  
 Antonio II Boncompagni L.
(1735-1805)
... e altre 8 fratelli/sorelle
 
  
 Luigi I Boncompagni L.
(1767-1841)
(assieme al figlio ripristinò l'interesse familiare verso la villa Ludovisi effettuando lavori che la portarono alla massima espansione mai raggiunta fino a quel momento)
...e altri 2 fratelli/sorelle
 
  
 Antonio Boncompagni L.
(1808-1883)
(assieme al padre ripristinò l'interesse familiare verso la villa Ludovisi effettuando lavori che la portarono alla massima espansione mai raggiunta fino a quel momento)
...e altri 2 fratelli/sorelle
 
   
Rodolfo Boncompagni L.
(1832-1911)
(assieme al fratello cedette nel 1901 la collezione di antichità allo Stato italiano)
Ignazio Boncompagni L.
(1843-1913)
(assieme al fratello cedette nel 1901 la collezione di antichità allo Stato italiano)
...e altre 3 sorelle

Note

  1. ^ a b A. Giuliano, p. 9.
  2. ^ Carolyn H. Wood, The Ludovisi collection of paintings in 1623, in "The Burlington magazine", vol. 134, n. 1073, 1992.
  3. ^ Klara Garas, The Ludovisi Collection of Pictures in 1633 (I-II), in The Burlington magazine, vol. 109, n. 770-771, 1967.
  4. ^ Beatrice Palma, I marmi Ludovisi: storia della collezione, 1983.
  5. ^ a b c d A. Giuliano, p. 15.
  6. ^ a b A. Giuliano, p. 10.
  7. ^ A. Giuliano, p. 20.
  8. ^ A. Giuliano, p. 23.
  9. ^ a b c A. Giuliano, p. 12.
  10. ^ Scuderie del Quirinale - Stéphane Verger - Il ritrovamento dell'Ares Ludovisi nel 1622 e la sua fortuna, su youtube.com. URL consultato il 24 gennaio 2025.
  11. ^ Stefano Pierguidi, Monnot, Livio Odescalchi e il 'Gladiatore' dei Musei Capitolini. URL consultato il 12 giugno 2024.
  12. ^ a b c d e f g h i j k A. Giuliano, p. 13.
  13. ^ a b c d e (EN) Stefano Pierguidi, Sulle ‘istorie famose in forma grande’ della collezione Pallavicini e la predilezione di Ludovico Ludovisi per i ‘grandi’ dipinti bolognesi. URL consultato il 1º dicembre 2021.
  14. ^ Claudia Caramanna e Marialucia Menegatti, Il fidecommisso del cardinale Ludovico Ludovisi e la "Madonna del passeggio" di Raffaello, in Musica e figura, n. 2, 2013. URL consultato il 16 luglio 2022.
  15. ^ Giorgione - Doppio ritratto, su museopalazzovenezia.beniculturali.it, 31 gennaio 2013. URL consultato il 29 novembre 2021.
  16. ^ a b c d e f g A. Giuliano, p. 14.
  17. ^ a b c d e A. Giuliano, pp. 31-33.
  18. ^ Robert-Dumesnil, VI, p. 176.
  19. ^ A. Giuliano, p. 26.
  20. ^ I capolavori del Seicento italiano e spagnolo alle Scuderie del Quirinale, su ArtsLife, 27 aprile 2017. URL consultato il 9 gennaio 2023.
  21. ^ Collezionismo romano - Docsity, su docsity.com. URL consultato il 28 novembre 2021.
  22. ^ a b c d A. Giuliano, p. 35.
  23. ^ A. Giuliano, p. 36.
  24. ^ G. Fossi, Gli Uffizi. La guida ufficiale, Giunti Editore, edizione 2021, p. 116.
  25. ^ a b A. Giuliano, pp. 38-40.
  26. ^ A. Giuliano, p. 45.
  27. ^ a b c A. Giuliano, p. 50.
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  31. ^ AA. VV., Il Guercino, Nuova Alfa Editoriale, 1991, p. 114.
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Bibliografia

  • A. Giuliano, La collezione Boncompagni Ludovisi. Algardi, Bernini e la fortuna dell'antico, Venezia, Marsilio, 1992, ISBN 8831757652.
  • Francis Haskell e Tomaso Montanari, Mecenati e pittori. L'arte e la società italiana nell'epoca barocca, Torino, Einaudi, 2019, ISBN 978-88-062-4215-2.

Voci correlate

 

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