La leggenda la racconta Virgilio, con Enea e della morte del vecchio padre dell’eroe. Anchise fu sepolto proprio sul monte Erice, dove si svolsero cerimonie grandiose in suo onore. Enea, figlio di Venere, fondò sul monte, per la divina madre, "una sede vicina alle stelle".[2]
Diodoro Siculo scrisse che Erice, figlio di Bute e di Afrodite stessa, aveva eretto il tempio dedicato alla propria madre e fondato la città.[3] Poi narra l'arrivo di Liparo, figlio di Ausonio, alle Isole Eolie (V, 6,7), aggiungendo che i Sicani "abitavano le alte vette dei monti e adoravano Venere Ericina".
Storia
Il culto prese origine nell'antica città siciliana di Eryx, dove fu fondato il santuario in onore della dea.
Nell'elimaErice, in questo antichissimo tempio, dall'VIII sec. a.c. il culto della divinità femminile della fecondità assunse, con il passare dei secoli e dei popoli, nomi diversi. Era noto e fuori dalla Sicilia già dal V sec. a.C.
Il culto fu infine trasformato dai Romani, che riedificarono il Tempio come Venere Ericina. Aveva una natura per molti versi oscura che comprendeva l’allevamento delle colombe e la prostituzione sacra, all’interno del tempio[4]. Il culto di Venere Ericina fu così introdotto anche nell'antica Roma. La statua della dea dal tempio di Erice fu portata a Roma nel 211 a.C. (gli studiosi ritengono sia l'Acrolito Ludovisi).
A Roma furono dedicati due templi a Venere Ericina:
L'importanza del culto romano di Venere Ericina è testimoniata dal ritrovamento di monete repubblicane datate 57 a.C. dove è raffigurato il tempio di Erice.[5]
Agostino Pepoli, Antichi bolli figulini e graffiti delle sacerdotesse di Venere ericina rinvenuti in Monte San Giuliano, Tipografia Galletti e Cocci, Firenze, 1885
Enrico Acquaro, Antonino Filippi, Stefano Medas, La devozione dei naviganti: il culto di Afrodite ericina nel Mediterraneo, Lumières Internationales, Lugano, 2010
Beatrice Lietz, La dea di Erice e la sua diffusione nel Mediterraneo, Edizioni della Normale, Pisa, 2012