La collezione Aldobrandini è stata una collezione d'arte nata sul finire del Cinquecento e appartenuta alla famiglia romana di origini fiorentine-marchigiane degli Aldobrandini.
Costituitasi a seguito di un notevole lascito di opere provenienti dalla collezione d'Este di Ferrara, quella Aldobrandini è tra le prime collezioni d'arte a inaugurare la grande stagione del mecenatismo romano del Seicento. La figura di Pietro Aldobrandini, cardinal nipote di papa Clemente VIII, fu il perno attorno al quale ruotò l'intera raccolta.
La collezione durò relativamente poco, meno di un secolo, fino all'estinzione della linea maschile diretta della famiglia. Nel 1682 con il lascito post mortem di Olimpia Aldobrandini, ultima proprietaria della raccolta, questa con anche le proprietà familiari fu in gran parte divisa tra le collezioni Borghese e quelle Pamphilj, in quanto ereditata dai figli in prime e seconde nozze della stessa nobildonna.[1]
Con questo nucleo di dipinti, portati durante l'estate del 1598 a Roma (furono invece risparmiate le opere commissionate dalla famiglia estense per le chiese), si avvia la stagione mecenatica della famiglia Aldobrandini e, più in generale, assieme alle contemporanee Borghese e Giustiniani e ad altre cinquecentesche, la grande stagione collezionistica seicentesca a Roma.[2]
Seicento
Il trasferimento delle opere a Roma e la costruzione delle residenze familiari
Trasferite a Roma le opere estensi già nei primi del Seicento, le tele non trovarono collocazione immediata in una residenza familiare in quanto gli Aldobrandini non disponevano ancora di una dimora adatta (l'unica loro proprietà immobiliare era il costruendo palazzo, divenuto Chigi, nei pressi di Campo Marzio, i cui lavori furono poi interrotti prima del suo completamento).[2]
L'innalzamento della villa sul colle del Quirinale, a Magnanapoli, avvenne sui resti di costruzioni del II secolo d.C. La villa divenne un modello che si diffonderà da lì a breve nelle concezioni urbanistiche nobiliari romane, pensata infatti per ospitare al suo interno la ricca collezione di quadri del cardinale e nel contempo collocando all'esterno, lungo i viali di passeggio, i reperti di antichità che si rinvenivano durante gli scavi nelle proprietà di famiglia.[2] La sobrietà della facciata, adorna del solo stemma di famiglia, nonché gli interni privi di affreschi o qualsiasi elemento decorativo, inducono a ritenere che l'edificio, appartenuto in passato anche alle famiglie Este e Vitelli, poi ricostruito orientando il corpo principale su via Panisperna, non venne utilizzato come dimora del cardinal nipote, ma bensì come mero "contenitore" di opere artistiche della collezione personale.[2]
Alla data del 1603 fu deposta l'ultima pietra del cantiere del palazzo e nel contempo redatto il primo inventario della collezione Aldobrandini, che registrava al momento circa 399 quadri, e riguardava tutti i beni mobili del cardinale, comprese le sculture, argenteria, mobili, armi, ecc.) anche se il nucleo di oggetti che maggiormente interessano il mondo dell'arte è stato quello dei dipinti [2]
I lavori di costruzione della villa di Frascati videro il completamento in anni immediatamente successivi a quelli del palazzo sul Quirinale; la sua realizzazione, fatta su un terreno di proprietà dello zio papa Clemente VIII ottenuto come ricompensa per aver riportato la città di Ferrara tra i possedimenti della Chiesa, avvenne con la direzione del cantiere da parte dell'architetto Giacomo della Porta (già attivo in casa Aldobrandini in quanto chiamato a riorganizzare alcune sale di un altro edificio di proprietà familiare, ossia di quello che a piazza Colonna a Roma diverrà poi nel 1659 palazzo Chigi) alla cui morte, nel 1602, subentrarono gli architetti Carlo Maderno e Giovanni Fontana.[2] Il sontuoso aspetto della villa, in linea con le residenze "fuori porta" della nobiltà romana del Cinque-Seicento, ricco al suo interno anche di cicli di affreschi a tema paesaggistico, fu pensato come luogo "museale" in città e per ospitare personaggi di rilievo.
Contestualmente a questi primi due cantieri, avvenne poi il rifacimento pressoché totale del palazzo su via del Corso, dove furono innalzate per l'occasione nuovi bracci dell'edificio, nei cui appartamenti troveranno, a partire dal 1654, stabile dimora Olimpia Aldobrandini (nipote di Pietro) assieme al marito in seconde nozze Camillo Francesco Pamphilj.
Con la realizzazione delle residenze familiari, in particolare con quella di Magnanapoli, dov'era gran parte della collezione, questa diventa accessibile ai forestieri a partire dai primi anni del 1610. In questo senso la serie estense dei Baccanali di Tiziano e Bellini, apprezzate e invidiate da tutto l'ambiente artistico e culturale che stabiliranno il nuovo modello pittorico per le pitture paesaggiste a tema mitologico degli anni a venire.
Le commesse del cardinale Pietro Aldobrandini
In occasione di una visita da parte di Pietro Aldobrandini della galleria Farnese del Carracci in Campo de' Fiori, il cardinale apprezzò l'operato del pittore bolognese al punto da avviare un rapporto di collaborazione immediata, chiedendogli la realizzazione di diverse opere per la propria collezione.[2] Dopo la richiesta di un quadretto ritraente il Domine, quo vadis?, nel 1601, pagato 200 scudi, sempre nei primissimi anni del Seicento Annibale Carracci ricevette l'incarico di realizzare sei dipinti per decorare le pareti interne della cappella privata del palazzo Aldobrandini al Corso, le cosiddette Lunette Aldobrandini.[2]
Annibale, tuttavia, delegò questo cantiere alla bottega probabilmente a causa dell'insorgere nel 1605 della malattia che lo afflisse negli ultimi anni della sua vita, ma forse anche perché in quegli anni, essendo pittore di corte di casa Farnese, non poteva figurare a busta paga di un'altra famiglia (a maggior ragione gli Aldobrandini che, nonostante il matrimonio di Margherita Aldobrandini con Ranuccio I Farnese, erano in rapporti freddi con i Farnese, ancorché papa Clemente VIII richiese la copertura nel 1593 delle nudità di due sculture facenti parte del monumento funebre a Paolo III nella basilica di San Pietro).[7] Ad ogni modo, dopo che Annibale realizzò le prime due lunette (il Paesaggio con la fuga in Egitto e quello con la sepoltura di Cristo), la prosecuzione di questa impresa decorativa fu merito soprattutto di Francesco Albani che sostituì il maestro nella titolarità delle opere, compiendo quindi il Paesaggio con l'Assunzione della Vergine, il Paesaggio con la Visitazione (assieme a Sisto Badalocchio), il Paesaggio con l'adorazione dei Pastori (seppur solo in qualità di supervisore, poiché materialmente la scena la realizzò il Badalocchio) e il Paesaggio con l'Adorazione dei Magi (assieme a Giovanni Lanfranco e al Badalocchio).[7] Albani fu il destinatario dell'ultimo pagamento ricevuto per il ciclo, avvenuto in un momento in cui Annibale Carracci era già morto da alcuni anni.[7]
Un viaggio fatto a Venezia da Pietro Aldobrandini ai primi del secolo, al cui seguito andò in qualità di consulente d'arte per gli acquisti il Cavalier d'Arpino, consentì l'immissione nella collezione di alcune opere locali, tra cui, verosimilmente, anche la Salomè con la testa del Battista di Tiziano (oggi alla Galleria Doria Pamphilj di Roma), che infatti non è citata tra le opere provenienti dalla collezione d'Este. Il Cavalier d'Arpino, intanto, consacrò sotto il pontificato di Clemente VIII la propria affermazione professionale divenendo uno dei pittori più conosciuti e richiesti a Roma, specialmente per le grandi imprese decorative.[8] Fu particolarmente apprezzato dagli Aldobrandini al punto da diventarne pittore di casa: a lui furono infatti affidati i due dipinti nella cappella gentilizia della chiesa di Santa Maria in Via a Roma[9] nonché i cicli di affreschi a tema biblico nella villa Aldobrandini di Frascati.
Durante l'arcivescovato di Pietro a Ravenna, nel 1604, questi fece invece incetta di opere di matrice emiliana che vedeva di volta in volta nei mercati d'arte o nelle collezioni private del territorio, e più nello specifico a Bologna, come avvenne per il Noli me tangere del Correggio, dove l'Aldobrandini sborsò una cifra altissima per prelevarla dalla collezione Ercolani dov'era. L'avvicinamento alla pittura emiliana vide l'apice l'anno seguente, quando commissionò a Guido Reni l'opera pubblica della Crocifissione di San Pietro da destinare alla chiesa di San Paolo alle Tre Fontane a Roma, pagata 100 ducati in due tranche, una metà a titolo di acconto sborsata il 27 novembre del 1604 e una seconda a saldo il 31 agosto 1605.[10]
Al 1617 circa risalgono invece le commesse al Domenichino della Caccia di Diana e della Sibilla Cumana, che, tuttavia, non entrarono mai a far parte concretamente del catalogo Aldobrandini, in quanto vennero immediatamente sottratte dal cardinale Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V, in carica già dal 1605, dopo aver trattenuto forzatamente il pittore in carcere.[11][12] Il Domenichino fu chiamato a corte dal cardinale Pietro intorno al 1616-1618 anche per realizzare alcuni cicli di affreschi a tema paesaggista e mitologico riprendenti le storie di Apollo tratte da Le Metamorfosi di Ovidio nella stanza omonima della villa Aldobrandini di Frascati (di cui otto staccati e conservati oggi alla National Gallery di Londra, mentre due restano ancora in situ),[13] nel cui cantiere lavorò anche il Pomarancio, che intanto decorò altre sale. Sempre per il cardinale e sempre nel 1617 Domenichino realizza per il soffitto della chiesa di Santa Maria in Trastevere la tela dell'Assunta, collocata al centro della volta cassettonata, di cui l'artista ne fu anche esecutore del progetto.[14]
Al finire del secondo decennio del Seicento, la collezione Aldobrandini era composta prevalentemente da opere derivanti dalla raccolta d'Este ereditata sul finire del secolo precedente e da altre commissionate da lui stesso in linea con i suoi gusti personali, quindi del Seicento emiliano (Carracci, Domenichino e Albani). Figuravano tuttavia anche due opere del Caravaggio, un Riposo durante la fuga in Egitto e una Marta e Maria Maddalena, forse tre se si aggiunge anche una Maddalena penitente che tuttavia era indicata negli inventari senza autore; tutte e tre le tele erano però registrate presso la residenza della sorella di Pietro, Olimpia Aldobrandini.[15]
Pietro Aldobrandini muore nello stesso 1621: tutta la collezione viene lasciata dunque al nipote, Giovan Giorgio Aldobrandini, da qui al fratello di questi, il cardinale Ippolito, entrambi figli di Olimpia senior (portavano il cognome Aldobrandini in quanto la donna era sposata con un suo parente del ramo fiorentino, Giovanni Francesco, I principe di Meldola e Sarsina).[2] In questa fase assunse un ruolo più incisivo Olimpia Aldobrandini, nipote del cardinale Pietro e figlia di Giovan Giorgio, che sostanzialmente determinò le sorti della collezione. Nel 1621 con la nomina a cardinale di Ludovico Ludovisi, zio dal lato materno di Olimpia, in quanto fratello della madre Ippolita, la donna donò al prelato alcune opere della collezione, tra cui svariati capolavori assoluti come la Madonna del Passeggio di Raffaello (oggi alla National di Edimburgo)[16] il Noli me tangere del Correggio e due dei quattro Baccanali già del camerino d'Este, entrambi di Tiziano (Baccanale degli Andrii e Baccanale con la festa di Venere).[6] I due dipinti saranno poi successivamente donati a loro volta, intorno al 1639, dal Ludovisi al re Filippo II di Spagna (infatti sono oggi entrambi al Prado di Madrid), tramite l'intercessione del viceré di Napoli, come parte del pagamento per l'ottenimento del Principato di Piombino.[6][17]
Alla morte del cardinal Ippolito Aldobrandini junior nel 1638, al quale era andata l'eredità dello zio cardinale Pietro, questa andò a Olimpiajunior, che sarà l'ultima esponente del casato.[2]
La collezione sotto Olimpia Aldobrandini (1638-1681)
Olimpia Aldobrandini fu una delle donne più influenti e rilevanti della Roma del Seicento nonché l'ultima erede e proprietaria della collezione e dei beni Aldobrandini a Roma.
Era abitudine per Olimpia donare i propri quadri in segno di rappresentanza diplomatica: avvennero durante la sua gestione della collezione diversi trasferimenti (tra cui opere del Mantegna, del Bellini, di Tiziano, di Jacopo Bassano) che giunsero ai cardinali Flavio Chigi, Cybo, Odescalchi e soprattutto all'uomo in quegli anni più potente a Roma, Ludovico Ludovisi, cardinal nipote del papa in carica, Gregorio XV.[18]
Al 1626 intanto venne redatto un altro inventario della collezione che registra tra le altre cose i primi spostamenti delle opere dal palazzo di Magnanapoli a quello al Corso (sono questi i casi del San Sebastiano di Marco Baisati e i rimanenti due Baccanali di Tiziano), spostamenti che poi ripresero intorno al 1646 in senso inverso tant'è negli anni Settanta le opere sono nuovamente segnalate dal Bellori entro le stanze della residenza sul Quirinale.[6]
Già moglie di Paolo Borghese dal 1638 al 1641 (fino alla morte dell'uomo), dopo un periodo di forte conflittualità col suocero Marcantonio II per non aver consentito al figlio di inserire la moglie tra i beneficiari del suo testamento (in una lettera del 1646 riferita alla donna, si riporta: « [...] ha portato a Montemagna Napoli tutta la sua guardarobba et tutti li suoi argenti et vuol far vita da sé senza punto dipendere da Borghese [...]»)[6] Olimpia sposò in seconde nozze Camillo Francesco Maria Pamphilj (cui rimase legata dal 1647 fino alla morte di lei, nel 1681), dove l'allora cardinal nipote del papa reggente Innocenzo X Pamphilj dovette spogliarsi degli abiti clericali per poter prendere in sposa la nobile.[6]
Dispersa in gran parte tra le collezioni Borghese e, soprattutto, quella Pamphilj, questi che intanto ottennero anche il titolo Aldobrandini, ciò che proveniva dal catalogo originario fu ulteriormente smembrato nei secoli successivi dagli eredi.[28][29]
Estinti nel 1760 anche i Pamphilj, i successi Aldobrandini furono rivendicati dai Borghese in quanto discendenti anche loro da Olimpia Aldobrandini, che si ricorda essere l'ultima esponente del casato, i quali chiesero l'istituzione di un fedecommesso di secondogenitura per mezzo del quale il secondo figlio maschio avrebbe portato i titoli Aldobrandini.[28] Con questa mossa i Borghese ritornarono in possesso di un cospicuo numero di opere già delle collezioni Aldobrandini e poi Pamphilj (tra cui i due Baccanali superstiti, quelli di Tiziano e del Bellini, l'Adorazione dei pastori del Mantegna, la Santa Caterina d'Alessandria[30] di Raffaello e il Concerto[31] di Lionello Spada), nonché della villa di Frascati, mentre il palazzo al Corso rimase di proprietà della neocostituita casata Doria Landi Pamphilj.
Grazie al fidecommesso Borghese, nel 1816 con Camillo Aldobrandini, I principe di Meldola, nato Borghese, figlio di Francesco, VII principe di Sulmona, si ripristinò nel ramo fiorentino il nome Aldobrandini. Intorno al terzo decennio dell'Ottocento la famiglia si inizia a disfare di alcuni dipinti,[32] di cui un catalogo di vendita è segnalato a Londra nel 1829,[33] e di alcune opere di antichità già nel giardino di Magnanapoli, che furono acquistate per le collezioni prussiane e sono oggi ricollocate in svariati musei berlinesi. Nel 1837, invece, la villa Aldobrandini di Frascati ritornò quindi nuovamente in mano a nobili che portavano il nome degli antichi proprietari e della villa stessa.
La villa di Magnanapoli fu acquistata nel 1929 dallo Stato italiano, aprendone al pubblico il giardino, mentre il palazzo padronale fu invece concesso in uso all'UNIDROIT, che tuttora vi ha sede. La villa di Frascati è oggi ancora in mano agli eredi Aldobrandini, mentre il palazzo al Corso dopo diversi passaggi di eredità costituisce la Galleria Doria Pamphilj di proprietà della medesima famiglia.
Elenco delle opere (non completo)
Archeologia
Afrodite tipo Capitolina, II secolo d.C., marmo bianco, h. 137 cm, Pergamonmuseum, Berlino
Domenichino, Apollo e Nettuno consigliano a Laomedonte la costruzione di Troia, affresco staccato trasportato su tela, 1616-1618, National Gallery, Londra
Niccolò Pisano, Madonna col Bambino in trono tra san Francesco, sant'Antonio e due donatori, olio su tela, 200 × 112 cm, XVI secolo, Musée Condé, Chantilly
Segue un sommario albero genealogico degli eredi della collezione Aldobrandini, dove sono evidenziati in grassetto gli esponenti della famiglia che hanno ereditato, custodito, o che comunque sono risultati influenti nelle dinamiche inerenti alla collezione d'arte. Per semplicità, il cognome Aldobrandini viene abbreviato a "A.".
Olimpia A. (1623-1681) (ultimo esponente del casato, sposò in prime nozze Paolo Borghese e in seconde Camillo Francesco Pamphilj; alla sua morte la collezione fu divisa tra i figli dei due matrimoni, Giovan Battista Borghese e Giovan Battista e Benedetto Pamphilj)
Collezione Borghese (vi confluì un numero contenuto di opere della collezione A. di Olimpia)
Collezione Pamphilj (vi confluirono gran parte delle opere della collezione A., i titoli e successi del casato nonché le proprietà di Olimpia)
Con l'estinzione della famiglia nel 1760, i successi A. furono rivendicati dalla famiglia Borghese; nel 1769 questi acquisirono un altro importante numero di opere già in collezione A. nonché la villa di Frascati. Nel 1816 Camillo A., nato Borghese, ricostituì il ramo.
^abcdefghijkl L. Finocchi Ghersi, La collezione del cardinale Pietro Aldobrandini nella villa a Monte Magnanapoli, collana Arte in Friuli Arte a Trieste, Edizioni della Laguna, 2014, pp. 55-70.
^abcdef L. Lorizzo, Fare e disfare, Studi sulla dispersione delle opere d’arte in Italia tra XVI e XIX secolo, collana Saggi di storia dell’arte, Roma, Campisano Editore Srl, 2011, pp. 34-44, ISBN978-88-88168-86-9.
^ AA. VV., Guido Reni 1575 - 1642, catalogo della mostra tenutasi a Bologna dal 5 settembre al 10 novembre 1988, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1988, pp. 31-32, ISBN88-7779-047-4..
^abcNon si ha certezza se l'opera oggi alla Galleria Doria Pamphilj sia quella di provenienza Aldobrandini in quanto già nel 1650 la famiglia Pamphilj acquistò dalla collezione Vittrice un'opera del Caravaggio col medesimo titolo.
^TIZIANO VECELLIO, su Doria Pamphilj - da 500 anni contemporanei all'arte. URL consultato il 18 settembre 2021.
^Emiliani A., La leggenda del collezionismo, in Ferrara, voci di una città, n. 3, 1995
^The Feast of the Gods - Provenance, su web.archive.org, 9 novembre 2010. URL consultato il 7 gennaio 2022 (archiviato dall'url originale il 9 novembre 2010).
^Come il dipinto di Niccolò Pisano della Madonna col Bambino in trono tra san Francesco, sant'Antonio e due donatori, dov'era registrato nella villa Aldobrandini di Magnanapoli, o come la Madonna Garvagh di Raffaello.
^ab AA. VV., Il Guercino, Nuova Alfa Editoriale, 1991, p. 44.
A.G. De Marchi, Collezione Doria Pamphilj, Catalogo generale dei dipinti, Roma, Silvana Editoriale, 2016, ISBN978-88-366-3296-1.
Francis Haskell e Tomaso Montanari, Mecenati e pittori. L'arte e la società italiana nell'epoca barocca, Einaudi, Torino, 2019, ISBN 978-88-062-4215-2.