Brinzio
Brinzio (AFI: /ˈbrinʦjo/[6] ; Brin-sc o Brinš[7][8], /ˈbrĩːʃ/ in dialetto varesotto) è un comune italiano di 770 abitanti[3] della provincia di Varese in Lombardia. È situato a 11 chilometri dal centro di Varese, nella valle che separa i massicci montuosi prealpini del Campo dei Fiori e della Martica; l'altitudine media del territorio comunale è di 510 metri s.l.m.[9] Il toponimo è a volte citato accompagnato dall'articolo determinativo, sicché ci si può riferire al paese come Il Brinzio (Ul Brinsc nel vernacolo varesotto)[10]. L'esistenza del borgo è attestata dal 979 d.C., mentre il territorio dove è situato risulta essere abitato fin dalla Preistoria[11]; è amministrativamente un comune autonomo da prima del XIV secolo[12] e tale è rimasto nelle epoche successive, con solo una parentesi di accorpamento a borghi limitrofi tra il 1809 e il 1816[13][14]. Brinzio, il cui territorio è interamente compreso nel Parco regionale Campo dei Fiori, ha conservato nel tempo le proprie caratteristiche di borgo rurale, inserito nel peculiare ambiente naturale della fascia prealpina del Varesotto[15]. Geografia fisicaTerritorioLa vallata in cui è situato il paese si apre a sud-est, tramite il passo della Motta Rossa, verso la Val di Rasa (e quindi verso Varese) e a nord-ovest verso la Valganna[16] e la Valcuvia; alcune fonti la considerano parte integrante di quest'ultima[17], mentre per altre essa costituirebbe un tutt'uno anche con la Val di Rasa e con tutta la vallata segnata dall'alto corso del fiume Olona, ossia dal passo della Motta Rossa fino alla località Robarello nel comune di Varese. Ulteriori fonti ottocentesche e finanche anteriori[18] designano come val Brinci addirittura tutto il territorio vallivo che va dalle porte di Varese (al di sotto della prima cappella del Sacro Monte) fino a Luino (Luvino) e al lago Maggiore[19]; Giulio Cesare Bizzozero, nell'opera Varese e il suo territorio, ricomprende la val Brinzio tra Ferrera e Fogliaro passando per Rancio[20]. L'altitudine del territorio comunale è compresa fra una quota minima di 400 metri s.l.m. e una quota massima di 1 032 metri s.l.m.[16] Il comune confina a nord con il territorio di Bedero Valcuvia, a est con Valganna e Induno Olona, a sud con Varese, a ovest con Castello Cabiaglio e Rancio Valcuvia[21]. Dal punto di vista sismico il territorio comunale si trova, stando alla classificazione della protezione civile, in zona 4 (soggetta a sismicità molto bassa)[22]. IdrografiaNel territorio comunale si trovano il laghetto di Brinzio (dichiarato riserva naturale orientata) e numerosi torrenti. Confluiscono nel laghetto, alimentato anche da sorgenti perenni insite nel relativo bacino, i torrenti Rio di Brinzio, Intrino e Buragona. Unico emissario del laghetto è il torrente Brivola. Il torrente più importante del paese (a livello di portata e alveo) è il Valmolina, che nasce dall'unione di alcuni ruscelli sulla Martica in località Pianco, quindi scende dalla montagna, scorre nel centro del paese e poi a ovest verso la Valcuvia, raccogliendo le acque dei torrenti Brivola e Riazzo (che nasce sul Campo dei Fiori, in territorio di Varese). Poco dopo la confluenza, il Valmolina compie un salto di 27 metri, detto cascata del Pesegh o Pesech, per poi raccogliere anche le acque del torrente Pardomo e infine sfociare nel Rancina, affluente del Margorabbia e, in ultima istanza, del lago Maggiore. Lo sbarramento morenico costituito dal passo della Motta Rossa, originatosi a seguito della glaciazione Würm tra i massicci del Campo dei Fiori e della Martica, separa Brinzio dal bacino idrografico dell'Olona. Fino circa ai primi anni del XX secolo il paese fu interessato con regolarità da problemi idrogeologici: le piogge abbondanti causavano infatti l'esondazione dei torrenti che discendevano in valle, in particolar modo all'originaria confluenza tra Intrino e Brivola, non troppo discosta dalla chiesa. Piene particolarmente consistenti potevano invadere le vie dell'abitato e causare gravi danni a persone e cose; su alcune case sono apposte targhette che segnano il livello raggiunto dalle piene[23]. Alcuni interventi sull'idrografia locale (quali la deviazione dell'Intrino nel laghetto, l'allargamento e l'approfondimento degli alvei, il consolidamento degli argini)[24] hanno notevolmente ridotto il problema, consentendo alle acque torrentizie di scaricarsi ordinatamente a valle nel "collettore naturale" costituito dalla cascata del Pesegh e dal Rancina[25]. Problemi di natura alluvionale si sono però ripresentati verso il terzo millennio, laddove piogge torrenziali hanno saturato torrenti e ruscelli, portando anche a valle consistenti quantità di detriti, con effetti deleteri in particolare per il laghetto[26][27]. Altre importanti zone umide sono le torbiere; nella zona nord del territorio comunale se ne trovano varie, delle quali il Pau Majur è la principale, dichiarata riserva naturale orientata[16]. ClimaData la posizione del paese, adagiato in fondo a una valle non molto larga e circondata da creste montuose alte anche più di 1 000 m sul livello del mare, il microclima locale non beneficia dell'influenza mitigatrice del lago Maggiore e degli altri bacini lacustri minori della provincia. Per la stessa ragione, nonché per il contesto agro-silvestre che circonda l'abitato, il territorio comunale è soggetto a un'isola climatica, per effetto della quale nei comuni limitrofi il tempo atmosferico e/o le temperature possono essere anche sensibilmente diverse da quelle brinziesi[16]. Le temperature minime tardo-autunnali e invernali scendono spesso sotto lo zero (la minima storica è di -18 °C, registrata l'11 febbraio 1929[28]), anche a causa della scarsa esposizione al sole del territorio. La piovosità è tra le più alte d'Italia, con oltre 1 500 mm di media all'anno, concentrati soprattutto nei periodi marzo - maggio e settembre - ottobre. In inverno la neve cade molto frequentemente tra novembre e marzo, con un accumulo medio di oltre 60 cm annui[29].
Origini del nomeDue sono le ipotesi sull'origine del nome Brinzio[30]. La prima[30] lo lega al nome degli Insubri, la prima popolazione che si stanziò nel Varesotto, che a sua volta ha origine dal termine gallico n-so-Bri (o briae), che indicherebbe i ponti o le palafitte: i ritrovamenti archeologici sembrano infatti indicare che la prima colonizzazione della vallata, piuttosto acquitrinosa, sia avvenuta con questo tipo di insediamenti. La seconda[31] lo associa all'antroponimo, o nome di famiglia, Berentius[32]. Il toponimo è altresì attestato con varie grafie arcaiche, quali Brincio (che appare negli Statuti delle strade ed acque del contado di Milano fatti nel 1346, raccolti da Giulio Porro Lambertenghi nel 1868), Brinci o Brenci[17]; degna di nota è anche la presenza dell'indicazione Brino sulla mappa del Ducato di Milano nella Galleria delle carte geografiche dei Musei Vaticani, affrescata sotto la direzione di Ignazio Danti nel 1581. StoriaSecondo tradizioni locali, il paese fu fondato da pastori provenienti da Castello Cabiaglio, che si stabilirono nella località nota come Casée (considerato il nucleo più antico del borgo); nella realtà dei fatti è stato accertato che la presenza di un insediamento umano nella zona risale già alla Preistoria. Successivamente, la zona continuò a essere abitata anche in epoca romana[33]. La prima fonte scritta su Brinzio è un documento del 979[34], conservato presso il Sacro Monte di Varese, nel quale si attestano alcune permute di terreni[35]. In un'altra carta, rogata l'8 settembre 1197, compaiono gli organi e le persone preposte al governo della comunità[36]. L'atto annota la seguente transazione: Marcius de Vivencis e Giovanni detto Lei, consoli, Guido Sartor, decano, e i deputati Spinacius, Giovanni de Flumine, Pietro Bonacosa, Lanfranco Dodonus, Giovanni Arnaldi, Ambrogio Corda e Pietro Lixia vendono alla chiesa di Santa Maria del Monte numerosi appezzamenti di terreno, da tempo affittati dalla stessa[37]. Da ciò si deduce che il paese è governato da due consoli, un decano e alcuni deputati, più propriamente detti "vicini". Il permanere dell'ordinamento consolare e della vicinia è documentato in ulteriori carteggi risalenti alla fine del XVI secolo e ai primi del XVII secolo; in particolare, il 6 aprile 1645 è attestata la presenza a Cuvio del console Giovanni Maria de Vanino, che presenziò alla presa di possesso del feudo della Valcuvia da parte di Stefano e Pietro Cotta[38]. Nel 1751 il paese fu inserito nel compartimento del Ducato di Milano, XVII distretto della Pieve di Val Cuvia[39]. Con la Rivoluzione francese e la successiva ascesa di Napoleone Bonaparte, l'assetto amministrativo del comune mutò[39]. Durante la Repubblica Cisalpina le municipalità furono sottoposte ai dipartimenti (costituzione del 9 luglio 1797), si istituirono prefetture e vice-prefetture (6 maggio 1802), si divisero i comuni in tre classi sulla base della popolazione (24 luglio 1802) e per i comuni di terza classe (come appunto Brinzio) si istituì per la prima volta la figura del sindaco, capo dell'amministrazione comunale, nominato dal re e sottoposto al controllo del prefetto di competenza (nella fattispecie quello di Cuvio). Brinzio venne inserito nel dipartimento del Verbano, poi conglobato in quello dell'Olona, e infine nel IX distretto di Cuvio. Nel 1800 passò sotto il dipartimento del Lario, e nel 1805 venne inserito nel cantone di Cuvio[39]. Nel 1809 Brinzio perse l'autonomia comunale e fu amministrativamente accorpato (insieme ad altri borghi limitrofi) sotto la giurisdizione di Cuvio, per poi passare nel 1812 sotto Rancio[13]. Il Congresso di Vienna produsse ancora modificazioni. La Lombardia tornò sotto il controllo degli Asburgo, sancendo il sostanziale ritorno al sistema amministrativo in uso al tempo dell'imperatrice Maria Teresa: il 12 febbraio 1816 Brinzio fu ricostituito in comune autonomo[14] e assegnato alla provincia di Como e, sotto di essa, al distretto XVIII di Cuvio. Il successivo 12 aprile venne introdotto come organo di governo locale il consiglio degli estimati (erede della vicinia, formato dai proprietari terrieri di maggior rilevanza), che eleggeva tre deputati, il cancelliere del censo e l'agente comunale[40]. Per quanto riguarda l'istruzione pubblica, già nel 1822, per iniziativa del parroco don Luigi Giacometti, fu creata una scuola pubblica maschile, le cui lezioni si svolgevano all'interno della casa del presbitero. Nel 1853 essa venne aperta anche alle ragazze[41]. Nello stesso anno una riforma dei distretti della provincia comense fece passare Brinzio nella XVI ripartizione, facente capo a Varese[14]. Con l'Unità d'Italia, il paese venne poi inquadrato nel III mandamento di Cuvio, in provincia di Como[42]. Con la promulgazione della legge Rattazzi (23 ottobre 1859), la popolazione maschile di Brinzio fu chiamata alle urne per eleggere un consiglio comunale. Il 20 gennaio 1860, su 78 aventi diritto votarono in 43 ed elessero 15 consiglieri. Nel 1860 il Re nominò il primo sindaco del paese: il cav. Pietro Vanini[43]. Pochi anni dopo la fine della prima guerra mondiale, con l'avvento del fascismo, il sindaco fu sostituito dal podestà, di nomina governativa. Primo podestà fu l'avv. Franco Piccinelli. Nel 1927 il paese passò dalla provincia di Como alla nuova provincia di Varese[44]. Durante la seconda guerra mondiale centinaia di persone, sfollate dalle città, si rifugiarono a Brinzio[45]. Nel referendum istituzionale del 1946 i cittadini brinziesi si espressero a larga maggioranza per la monarchia e nelle contemporanee elezioni politiche diedero la maggioranza alla Democrazia Cristiana[46]. Negli anni cinquanta la Società Astronomica Varesina, presieduta da Salvatore Furia, installò in località Casée una stazione di rilevamento meteorologico, al terzo millennio ancora attiva[47]. Nel 1973 la comunità dibatté per la chiusura della cava di porfido sita sul monte Martica, accusata di provocare un impatto eccessivo sull'ambiente montano, oltre che a contribuire all'interramento del laghetto (le piogge causano un imponente dilavamento di detriti, che si riversano nel bacino lacustre). La cava fu chiusa all'attività estrattiva nel 1993[48][49][50] e sottoposta a bonifica statica nel 2000[51]; negli anni 2020, a seguito di una vertenza tra istituzioni locali e proprietari, il sito verrà infine stralciato dal piano cave della provincia di Varese[52]. Nel 1974, sempre su impulso del prof. Furia, si iniziò a discutere sull'opportunità di istituire un parco naturale a tutela del territorio del massiccio del Campo dei Fiori; il progetto si concretizzò dieci anni dopo, nel 1984, con l'istituzione del parco regionale Campo dei Fiori, avente sede proprio a Brinzio. SimboliStemma e gonfalone attualmente in uso sono stati concessi con decreto del Presidente della Repubblica n. 1597 del 20 marzo 1984[53][54].
«D'oro, a due castagni di verde, fruttati del campo, nodriti sulla pianura di verde, con due sfondi montuosi, il primo, più vicino, costituito dalla catena delle Prealpi Varesine e Valcuviane, di verde, il secondo dalla catena del Monte Rosa, d'argento. Coronamenti esteriori da Comune.[55]»
«Drappo troncato di verde e di giallo riccamente ornato di ricami d'argento e caricato dello stemma sopra descritto con l'iscrizione centrata in argento: "Comune di Brinzio". Le parti di metallo ed i cordoni saranno argentati. L'asta verticale sarà ricoperta di velluto verde e oro con bullette argentate poste a spirale. Nella freccia sarà rappresentato lo stemma del comune e sul gambo inciso il nome. Cravatta e nastri tricolorati dai colori nazionali frangiati d'argento.[55]»
Non è ufficialmente disciplinata, ma risulta in uso anche una bandiera comunale, con la medesima struttura cromatica del gonfalone e lo stemma ricamato in posizione centrale, senza iscrizioni. Simboli desuetiPrima di adottare i suddetti simboli, il comune impiegava come emblema araldico (in via non ufficiale) uno scudetto raffigurante un castagno stilizzato dai rami ritorti, verosimilmente al naturale. Tale emblema è riprodotto in bassorilievo sulla facciata del municipio, nonché all'interno del vecchio palazzo comunale accanto alla chiesa. Non essendo tale simbolo riconosciuto a termini normativi, nel 1933 il comune avviò l'iter legale per dotarsi di un'arma regolare. Questa fu la blasonatura proposta[55]: «D'azzurro, al lupo di nero, tendente al lago dalle naturali montagne boscose di castagni fruttati d'oro.» E questo il gonfalone[55]: «Partito d'azzurro e di verde caricato dell'arma sopra descritta.» Dai documenti dell'Ufficio Araldico dell'Archivio Centrale dello Stato risulta che siffatti stemma e gonfalone (da integrarsi, come da norme vigenti, col capo del Littorio) vennero ratificati con regio decreto del 5 settembre 1942[53]; a causa della guerra in corso e dei successivi avvenimenti, che causarono gravi difficoltà nelle comunicazioni in tutta Italia, l'atto non venne probabilmente mai notificato all'amministrazione comunale e tali simboli non poterono dunque mai entrare in uso.[56] Monumenti e luoghi d'interesseArchitetture religiose
Architetture civiliPer quanto concerne l'architettura civile, nell'abitato di Brinzio si osservano diversi tipi di edilizia. Il più diffuso è quello delle case a cortile, che consentiva di concentrare in un'unica costruzione abitazioni (spesso plurifamiliari), stalla, fienile e granaio, tutti quanti raggruppati attorno a cortili quadrangolari. Se ne osservano due tipi: il cortile aperto, ovvero con un lato che si apre direttamente sulla via più vicina, e il cortile chiuso, murato su tutti i lati e accessibile solo attraverso uno o più portoni. Un esempio di cortile aperto è costituito dalla Curt di Badoll, sita in via Vittorio Veneto, mentre un esempio di cortile chiuso è invece il Cantunasc, in via Monte Grappa. In entrambi i casi si osserva la medesima ripartizione degli spazi: a nord è posizionata l'abitazione (per beneficiare della miglior insolazione possibile), a sud la stalla e sugli altri lati il fienile e/o magazzini per diversi usi[73]. I cortili chiusi hanno normalmente almeno due varchi d'accesso, con la sola eccezione della Curt dur Ghètt, che dispone di un unico portone su via Montello. Un altro esempio di edilizia "povera" è costituito dalle case isolate: questi edifici consistevano solo in abitazioni con annesso granaio, senza stalla (che però spesso veniva aggiunta in seguito riattando un locale del pianterreno). Ne è un esempio la Ca' di Architt ("casa degli archetti"), sita in via Trento[73]. In alcuni casi si osserva anche la tendenza a unire più edifici, originariamente separati, per formare dei cortili che risultano di forma irregolare. Ne è un esempio quello che viene ritenuto il nucleo più antico del paese, Casée, in via Trieste[74]. Appartiene a questa tipologia edilizia anche la Curt di Lobi ("cortile delle logge"), sita in via Monte Grappa, la cui antichità (si stima possa risalire al XVII secolo) è testimoniata dalla copertura del tetto di uno degli edifici, realizzata in beola, in luogo delle più comuni tegole in cotto. In questo cortile si trova anche un esempio di antica bottega artigiana: la fucina in cui, per circa due secoli, (dal XVIII secolo fino al 1970) operò il fabbro del paese[73].
Tutti e tre gli esempi edilizi di cui sopra presentano la stessa tecnica costruttiva: i muri sono realizzati con ciottoli di fiume, legati da malta e calce a base di sabbia di fiume. Ovunque domina il colore rosso/rosato del porfido. Molto limitato è invece l'uso di laterizi[73]. Del tutto diversa è l'edilizia "ricca", sviluppatasi a partire dai primi del XIX secolo, allorché alcune famiglie di industriali iniziarono a scegliere Brinzio come località di villeggiatura estiva. A tal scopo fecero costruire alcune ville, perlopiù in stile eclettico. L'esempio più importante (e antico) è Villa Ranchet, sita in viale Cadorna, edificata nel 1816 per iniziativa di Luigi Configliacchi, professore di storia naturale ed economia rurale presso l'Università degli Studi di Padova (di cui fu anche rettore), fiduciario dell'imperatore d'Austria e fondatore dell'Istituto per i ciechi patavino, successivamente acquistata da Leopoldo Ranchet, industriale originario di Gallarate (città di cui fu anche sindaco), proprietario della filanda sita nel territorio brinziese, presso la cascata del Pesegh[73]; egli provvide ad ampliarla e a conferirle un impianto architettonico d'impronta palladiana. Altro
«A Enrico Riziero Galvaligi, generale dei Carabinieri, 1920 - 1980»
«Dalla terra che amasti»
Commissionato originariamente allo scultore Pierino Quigliatti di Ganna e finanziato con una raccolta fondi tra la popolazione, fu inaugurato il 27 maggio 1923. La parte bronzea fu requisita durante la seconda guerra mondiale per essere rifusa e utilizzato per fabbricare armi. Nel 1956 il Comune contattò il fratello dell'autore, Luigi Quigliatti, che provvide a rifonderlo così com'era. Il monumento fu così re-inaugurato il 29 aprile dello stesso anno alla presenza del generale Guglielmo Orengo, eroe della Resistenza dopo l'armistizio del 1943[76]. Sul basamento vi è questa iscrizione: «Dei figli caduti per il compimento del voto dei padri, per la libertà ed il diritto dei popoli, Brinzio nel bronzo eterna il valore ed il sacrificio»
Aree naturali
SocietàEvoluzione demograficaAbitanti censiti[81] Prima del 1861 sono accertate le seguenti rilevazioni demografiche:
Etnie e minoranze straniereI cittadini stranieri residenti a Brinzio (ovvero soggetti di cittadinanza non italiana aventi dimora abituale nel territorio comunale) al 1º gennaio 2023 sono 32, pari a poco più del 4% della popolazione totale; più della metà di essi proviene dall'Europa orientale[84]. Lingue e dialettiOltre alla lingua italiana, a Brinzio è utilizzato il locale dialetto varesotto, una variante della lingua lombarda. Vi sono però alcune differenze dal dialetto parlato a Varese città, essendo la località di Brinzio influenzata dalle parlate locali della vicina Valcuvia e anche del Canton Ticino. Come tutti i dialetti lombardi occidentali, anche il varesotto è sostanzialmente una lingua romanza derivata dal latino[85]. L'uso del varesotto sta lentamente regredendo, anche se in maniera meno marcata di altri dialetti lombardi[86]. ReligioneNell'ambito della popolazione brinziese, i credenti professano per la loro quasi totalità la religione cristiana cattolica, unica confessione ad avere propri luoghi consacrati al culto e relativi ministri nel territorio comunale[87]. La cura d'anime è affidata alla parrocchia dei Santi Pietro e Paolo di Brinzio, costituita ufficialmente come tale il 17 novembre 1886 con decreto di mons. Pietro Carsana; in precedenza lo status dell'entità religiosa era incerto, venendo indicata nei documenti dapprima come chiesa "separata dalla matrice di San Lorenzo" a Canonica di Cuveglio[65], poi come viceparrocchia alle dipendenze della prepositura di Cuvio, senza che però fosse chiaro quale fosse (se vi fosse) la parrocchia soprastante. Al di là degli inquadramenti, il territorio brinziese è storicamente sottoposto alla giurisdizione della diocesi di Como e pertanto il culto viene officiato secondo il rito romano. L'attività pastorale dal 1167 al 1798 fu inquadrata nella Pieve di Val Cuvia, poi ridotta a vicariato foraneo di Cuvio; nel 1968 passò al vicariato di Canonica[88], che nel 1984 fu ulteriormente ricompreso nel vicariato foraneo B delle Valli Varesine, sempre sotto la sede episcopale lariana[82]. Brinzio insiste inoltre sul confine settentrionale dell’arcidiocesi di Milano, cui appartengono i comuni limitrofi di Induno Olona, Valganna e Varese. La prima attestazione di un sacerdote prestante servizio nel territorio brinziese risale al 1473; la serie dei rettori[65], viceparroci e parroci di Brinzio è poi nota quasi senza lacune dalla fine del XVI secolo[89]. Molti sono poi stati i sacerdoti originari di Brinzio, che hanno perlopiù prestato il loro servizio nel territorio della diocesi di riferimento o nel vicino Piemonte orientale: tra di essi spicca, per prestigio di carriera, monsignor Stefano Piccinelli (1860-1941), dal 1899 alla morte priore della chiesa di San Bartolomeo a Como e unico religioso brinziese a essere stato insignito della dignità episcopale. Dal 2006 la parrocchia di Brinzio è stata accorpata in una comunità pastorale con la parrocchia di Sant'Appiano di Castello Cabiaglio, mantenendo tuttavia il rango di sede prevostale[90][91]. Il giuspatronatoLa peculiare natura della comunità cattolica di Brinzio (a lungo priva della dignità parrocchiale) fu alla base del giuspatronato che per oltre quattro secoli disciplinò la scelta del sacerdote incaricato di amministrare il culto in paese[92]. Tale diritto ebbe origine e fondamento giuridico, con buona probabilità, a partire da un contratto rogato il 23 agosto 1493 tra il sacerdote che prestava pro tempore la cura d'anime nel paese, messer Andrea Cavona, e il Console et huomini de la Comunità di Brincio, al fine di appianare le divergenze sull'amministrazione dei beni della chiesa. In virtù di tale accordo, l'edificio ecclesiastico comunitario e le relative proprietà mobili e immobili venivano rimesse al patronato del locale monastero femminile (esistito tra il XV e il XVI secolo), le cui religiose, dal canto loro, si impegnavano a provvedere al mantenimento dello stesso don Cavona e dei preti che gli sarebbero succeduti, al fine di consentire la celebrazione settimanale di almeno tre messe per la comunità di Brinzio. Una clausola conclusiva di tale patto postillava che, qualora le monache fossero venute meno alle loro obbligazioni, dopo tre anni i beni legati alla chiesa sarebbero tornati nelle mani dei brinziesi, che in quanto nuovi patroni avrebbero avuto licenza di scegliersi il proprio prete in totale indipendenza[63]. Allorché le suore lasciarono Brinzio, attorno al 1540, cessando di provvedere alle obbliganze del patronato, i brinziesi fecero dunque scattare tale clausola e iniziarono a scegliere autonomamente il sacerdote cui affidare la cura d'anime; la particolare povertà della comunità locale per diverso tempo però non permise di mantenere un ministro del culto in residenza, pertanto l'incarico era conferito per modum provisionis da parte degli abitanti più facoltosi, i quali sceglievano in autonomia chi nominare e si facevano collettivamente carico della relativa remunerazione[65]. Solo in un secondo momento, probabilmente col passaggio al XVII secolo, il prevosto iniziò a risiedere nel paese e poté quindi essere considerato parocus: a quel punto la sua nomina venne sottoposta a un meccanismo elettivo, che rimase in vigore anche dopo l'erezione della chiesa in viceparrocchia e quindi in parrocchia[63]. In virtù di ciò, quando un sacerdote esauriva l'incarico (per decesso o dimissione), veniva convocata presso la chiesa un'assemblea maschile (inizialmente composta dagli abitanti più benestanti, in seguito da tutti i capifamiglia paesani, con l'aggiunta di eventuali delegati esterni, per un totale di circa 80/90 individui), la quale era chiamata a votare a suffragio diretto su una rosa di candidati presentata dal vescovo di Como: il candidato che superava un certo quorum di consensi, fissato di volta in volta proporzionalmente al numero dei delegati con diritto di voto, otteneva la nomina a parroco. All'occorrenza i deputati potevano altresì votare il rifiuto delle candidature, chiedendo alla sede episcopale di modificarle del tutto o in parte[89]. Tale sistema fece sì che in taluni lassi di tempo (protrattisi anche per diversi mesi) il paese rimase senza prevosto, laddove nessuno dei candidati riusciva a superare il quorum di elezione, oppure le liste presentate dall'ordinario venivano bocciate. Poteva quindi accadere che l'impasse andasse a esacerbare l'animo dei votanti: le cronache locali danno talora conto di comizi elettorali risoltisi in colluttazioni tra i delegati[89]. Per scongiurare tale eventualità, la procedura era disciplinata da un apposito regolamento, controfirmato anche dalle autorità civili: l'ultima revisione rimasta in vigore (approvata dalla corte imperiale di Vienna il 28 novembre 1828) stabiliva che a presiedere l'assise elettiva vi fosse colui che ricopriva la massima autorità civile del paese (sindaco, podestà o equivalente), coadiuvato da un delegato del livello amministrativo immediatamente superiore al comune (prefettura o equivalente). A titolo d'esempio, l'elezione del 3 dicembre 1933 fu presieduta dal podestà Franco Piccinelli e dal legato prefettizio di Varese Luigi Curti[92]. Nel 1917 la revisione del codice di diritto canonico proibì al canone 1450 la costituzione di nuovi patronati, mentre il canone 1451 raccomandò agli ordinari di esortare i patroni (in modo però non vincolante) a rinunciare al proprio diritto in cambio di suffragi spirituali. I brinziesi tuttavia continuarono ad avocarsi ed esercitare il giuspatronato per altri tre decenni: l'ultima elezione si celebrò nel 1943 e la rinuncia formale venne presentata nel 1947. Cessato il privilegio, la nomina dell'amministratore parrocchiale è passata direttamente in capo alla sede vescovile di Como[89]. Le missioni popolariUn momento importante della vita religiosa paesana fu costituito per secoli dalle cosiddette missioni popolari, momenti di preghiera collettiva "intensiva" coadiuvati dall'attività predicatoria di chierici regolari, perlopiù passionisti, allo scopo di rinforzare la devozione comunitaria e acquistare l'indulgenza plenaria o parziale. Si ha notizia delle prime missioni a Brinzio nel XIX secolo (nel 1886 e nel 1891[93]): avevano una durata settimanale e a predicarle erano alcuni frati inviati da Rho, che nei loro sermoni (il cui stile viene tramandato come alquanto spiccio e grossolano, con un non infrequente ricorso a urla ed espressioni triviali) si scagliavano contro la corruzione dei costumi, mostrando particolare astio nel condannare la pratica del ballo[94]. Altre missioni vennero predicate dai comboniani e non mancò chi, tra i brinziesi, ne fu ispirato al punto da intraprendere a sua volta la strada missionaria[95]. Nel XX secolo la cadenza delle missioni passionistiche si fece pressappoco decennale: ne vennero celebrate altre cinque (nel 1902, nel 1912, nel 1933, nel 1949 e infine nel 1960), alcune delle quali vennero commemorate con la posa, ai margini del centro abitato, di croci votive, provviste di autorizzazione vescovile all'ottenimento di un'indulgenza per la remissione dei peccati a coloro che avessero recitato una preghiera di contrizione al loro cospetto[93]. Tradizioni e folcloreTra le tradizioni ricorrenti e maggiormente rappresentative del folklore locale vi sono le processioni religiose in occasione della festa patronale dei santi Pietro e Paolo, che si svolge usualmente la domenica più vicina al 29 giugno, e l'analoga solennità in onore della Madonna del Rosario, la prima domenica di settembre: in entrambi i casi, viene celebrata una funzione pomeridiana, durante la quale i fedeli muovono in corteo per le vie del centro storico, portando a spalla la statua con l'effigie del patrono o della Vergine, scortata sia dal gonfalone parrocchiale sia da quello comunale. Un'ulteriore processione viene officiata in concomitanza con la festa del Corpus Domini, nel mese di giugno: in questo caso il sacerdote porta in corteo il Santissimo Sacramento dentro un ostensorio, scortato da un baldacchino retto da quattro ministranti[96]. A carattere laico e/o goliardico sono invece la cosiddetta Befana del Fondista, consistente in una fiaccolata lungo la locale pista di sci di fondo con successivo falò[96], e la Cavagna di oeuv (letteralmente in dialetto locale "cesto di uova"), sorta di gara di bocce che si snoda tra le vie del centro storico per festeggiare il Lunedì dell'Angelo e il ritorno della primavera[97]. Elemento caratteristico della tradizione locale è inoltre il "mito della balena", legato a una storia inerente la supposta presenza di un cetaceo nel laghetto di Brinzio, attestata pare fin dal XVIII secolo; la balena è così divenuta un simbolo identitario del paese[98]. CulturaMusicaA Brinzio ebbero sede, in alterni decenni del XX secolo, una banda musicale (la "società filarmonica")[99] e un coro a cappella (il "coro Valmolina", dal nome di uno dei torrenti che bagnano il comune)[47]. IstruzioneA Brinzio hanno sede due istituti scolastici, entrambi pubblici: una scuola dell'infanzia, fondata nel 1889, e una scuola primaria. Ambedue gli istituti sono posti sotto la direzione di un istituto comprensivo avente come capofila una scuola media della città di Varese. La scuola primaria serve altresì i comuni di Bedero Valcuvia e Castello Cabiaglio, sprovvisti di plesso scolastico equivalente[100][101][102]. Dal 1975 è attiva la biblioteca comunale, che dal 2007 ha sede nell'ex casa comunale[75]. Nel 2008 è stato aperto, in un antico casolare nel centro del paese, il Museo della Cultura Rurale Prealpina, che, attraverso un'ampia esposizione di attrezzi da lavoro e oggetti di uso comune, offre un'esaustiva ricostruzione della vita quotidiana del paese a vocazione agricola e contadina[103]. CucinaLa cucina brinziese è tipica dell'Insubria, legata a tradizioni contadine e al legame culinario con le zone vicine, soprattutto con la cucina milanese e altomilanese. Alcuni piatti caratteristici sono la cassœula (che in dialetto varesotto è detta anche cassoeura o casöra) e la polenta di granoturco (abbinata a vari ingredienti)[104]. Nel 1931 la Guida gastronomica d'Italia del Touring Club Italiano segnalava altresì come pietanze tipiche del paese il parò (frittata d'uova e farina bianca), il macchit (insalata di fagioli e rape) e ancora la mortadella di fegato di maiale[105]. Di grande importanza sono anche le castagne, principale prodotto dei boschi del territorio[106]. Esse vengono consumate cotte (mondelle), essiccate, trasformate in farina, o abbinate ad altri ingredienti. Tra i piatti principali vi è il macch (specie di zuppa a base di castagne secche, riso, acqua, latte e sale), la zuppa di castagne e, tra i dolci, una variante locale del castagnaccio[107]. Geografia antropicaUrbanisticaIl centro storico del paese, che conserva lo stile architettonico tipico dei villaggi agricoli lombardi, si sviluppa in modo piuttosto irregolare, con strade tortuose e talvolta strette, in larga parte pavimentate con caratteristico acciottolato (la cosiddetta rizzada). Il cuore dell'abitato è la piazza Galvaligi, sulla quale si affacciano la chiesa e il vecchio municipio trasformato in biblioteca, ed è attraversata dalla strada provinciale per Varese, la Valcuvia e la Valganna. Piazza Galvaligi è altresì il punto di partenza di via Roma, “strada di spina” del paese, dalla quale si ramificano pressoché tutte le vie del centro[108]. La morfologia urbana del centro storico evidenzia come il suo sviluppo avvenne senza una regolamentazione precisa, sebbene non caoticamente: il nucleo più antico del paese, il già citato Casée, sorse nella zona settentrionale della vallata, alle pendici della collina del Runchétt (propaggine del monte Martica), allo scopo di beneficiare del maggior numero di ore di sole possibili. Attorno a esso si raccolsero via via tutte le costruzioni che costituiscono il borgo antico, con una tendenza "a onda" (da nord verso sud) fino ad arrivare all'attuale tracciato della strada provinciale n. 62. Nella prima metà del XIX secolo con buona probabilità lo sviluppo del centro storico era concluso; gli edifici non si spingevano più a meridione per non ricadere sotto l'ombreggiatura del Campo dei Fiori che (specialmente nei mesi invernali) li avrebbe schermati dal sole per parti importanti della giornata. Per la stessa ragione, fino agli anni trenta il campanile presentò l'orologio solo sul lato nord, giacché solo in tale posizione risultava utile a servire il centro abitato. Complice un progressivo calo della popolazione (che ai primi del XX secolo tendeva a emigrare in cerca di maggiori opportunità di lavoro) e il sopraggiungere delle due guerre mondiali, lo sviluppo urbanistico del paese rimase praticamente fermo fino alla fine degli anni quaranta. Solo successivamente, complice la costruzione della strada provinciale Varese-Gemonio, la nuova e migliorata situazione economica e la de-ruralizzazione della popolazione brinziese, che riprese ad aumentare (una tendenza proseguita fino alla metà degli anni 2010, per poi invertire leggermente), la costruzione di nuovi edifici ripartì. Da quel momento, in poi, sempre più appezzamenti prima destinati a uso agricolo e silvicolo furono (non senza abusi) soggetti a inurbamento. Proprio per contenere gli abusi, dal 1970 il comune introdusse il sistema del piano regolatore generale (in seguito Piano di governo del territorio), per meglio controllare lo sviluppo dell'edilizia sul territorio municipale (che, dal 1984, è soggetto al Parco regionale Campo dei Fiori)[108]. Località minoriIl comune non riconosce frazioni entro il proprio territorio. Sono tuttavia attestate dodici località minori, tutte caratterizzate da bassissima antropizzazione e vegetazione mista prativa e boschiva[109][110]:
EconomiaAgricolturaPer secoli l'economia locale è stata prettamente agricola, votata principalmente alla sussistenza: gli abitanti del paese lavoravano in gran parte nei campi e nei pascoli (ricavati perlopiù nell'ampio spazio erboso a sud del villaggio o lungo la strada per Varese) e molte famiglie allevavano bestie da cortile[112]. Tra le poche attività agricole capaci di generale un qualche profitto vi era la castanicoltura: alcuni appezzamenti boschivi periferici (non troppo distanti dal centro abitato) vennero infatti progressivamente adibiti a veri e propri frutteti, sopprimendo le altre specie arboree e curando in maniera particolare le piante di Castanea sativa. La produzione si fece tanto rilevante da superare il fabbisogno locale, sicché fino circa agli anni settanta del XX secolo fu prassi comune per alcune grandi aziende dolciarie (quale, a titolo d'esempio, la Zuegg) acquistare castagne a Brinzio[107]. Tale frutto occupò per secoli un ruolo centrale nella povera alimentazione delle genti brinziesi e i raccolti andati male (dovute ad esempio ad avverse condizioni meteorologiche) si risolvevano in carestia[23] Altra attività redditizia fu, tra il Medioevo e gli anni 1960, il commercio di legnami sia a uso costruttivo/artigianale sia come combustibile[112]. Col miracolo economico e soprattutto verso la fine del XX secolo si assistette alla de-ruralizzazione della popolazione del paese, che portò sia maggior benessere, sia il progressivo abbandono delle professioni agricole: di conseguenza i pascoli sono stati lasciati incolti, i campi sono stati abbandonati e le selve castanili sono pressoché scomparse. Per far fronte a tale situazione, a partire dai primi anni 2000, per interesse del parco regionale Campo dei Fiori e di altre istituzioni, nel territorio comunale è stata attuata una massiccia campagna di recupero e di promozione della coltivazione del castagno. Tra le iniziative di maggior rilievo, si annovera il progetto interreg IIIA, noto come La città del Castagno, realizzato in collaborazione con l'amministrazione locale del Canton Ticino e con fondi dell'Unione europea; in questo quadro sono stati attuati progetti di recupero della castanicoltura ed è stato creato di un percorso museale, all'interno del centro abitato e nei boschi circostanti, volto a evidenziare luoghi e mestieri afferenti a questa attività, e a perpetuarne la memoria[113][114]. A coronamento di questo percorso, nel 2010, per iniziativa di alcuni agricoltori e piccoli proprietari terrieri, è nato un consorzio di castanicoltori con i comuni di Orino e Castello Cabiaglio[106]. EmigrazioneForte fu per secoli l'emigrazione: dal XVI secolo ai primi del XX decine di abitanti lasciarono il paese, sia stagionalmente sia permanentemente, per stabilirsi nei centri urbani del Nord Italia o all'estero (soprattutto in Svizzera e Francia) in cerca di migliori possibilità di lavoro, in gran parte nell'edilizia[115]. Il fenomeno faceva peraltro affluire a Brinzio sostanziose rimesse di denaro, che cooperavano a sostenere l'economia locale. Il flusso si ridusse negli anni 1930 e cessò di fatto completamente nel secondo dopoguerra. IndustriaVerso la metà del XIX secolo, in piena seconda rivoluzione industriale, la famiglia gallaratese di industriali tessili Ranchet impiantò un proprio opificio presso la cascata del Pesegh. Divenuta impropriamente nota come filanda, la fabbrica si specializzò nella tessitura del cotone; per azionare i telai si provvide a incanalare in una condotta forzata le acque della cascata, convogliandole fino a una turbina che (per mezzo di cinghie) metteva in moto tutti i macchinari. In un secondo tempo la turbina venne collegata a un alternatore, permettendo di generare energia elettrica[116]. Stando ai documenti conservati presso l’archivio comunale di Brinzio si apprende che nel 1898 lo stabilimento aveva a libro paga circa 140 operai, in larga parte giovani donne di età compresa tra i 13 e i 26 anni, che provenivano anche dai comuni limitrofi[116]. Alla fine della seconda guerra mondiale la crisi del settore tessile portò all'interruzione della produzione: la fabbrica fu dapprima convertita in allevamento avicolo e infine definitivamente abbandonata e lasciata cadere in rovina[112]. TurismoLa vocazione turistica di Brinzio ha le sue radici già nella seconda metà del XIX secolo, allorché alcune facoltose famiglie provenienti dalle città limitrofe scelsero il comune per costruirvi una seconda casa[73]; molte erano altresì le famiglie brinziesi che, per integrare i modesti introiti della vita contadina o operaia, affittavano camere a villeggianti forestieri. Nell'agosto 1958 il Corriere d'Informazione stimava che il flusso turistico estivo portasse a Brinzio fino a 300 persone, che si aggiungevano alla normale popolazione, all'epoca di circa 500 anime: ciò avrebbe causato, tra l'altro, momentanei disseccamenti della falda che alimentava l'acquedotto comunale[117]. Tra la fine del XX secolo e l'inizio del XXI il flusso turistico ha iniziato a fondarsi su aspetti più specifici della realtà locale, segnatamente l'attivazione della pista per lo sci nordico e la valorizzazione architettonico-paesaggistica del territorio, ove la collocazione agreste e l'originaria vocazione contadina sono state storicizzate e rese fruibili ai visitatori, nonché protetta con normative di tutela[118]. Il paese non ha comunque mai conosciuto un vero e proprio sviluppo antropo-urbanistico in chiave turistica: le strutture a carattere puramente ricettivo (alberghi, ristoranti, bar et similia) sono sempre rimaste di ridotte dimensioni e capacità. Infrastrutture e trasportiStradeIl comune è attraversato dalle strade provinciali n. 45 del Campo dei Fiori (che collega Brinzio a Gemonio) e n. 62 del Sasso Marée (altrimenti detta "del Brinzio", che collega Varese a Rancio Valcuvia). Mobilità urbanaI trasporti interurbani di Brinzio vengono svolti con autoservizi di linea gestiti dalla società Autolinee Castano per conto del CTPI - Consorzio Trasporti Pubblici Insubria[119]. AmministrazioneDi seguito è riportato l'elenco dei primi cittadini di Brinzio dall'Unità d'Italia in poi[120]. Tolte particolari circostanze (ad esempio l'epoca fascista, nella quale il podestà veniva nominato senza passare da una consultazione elettorale), la politica locale è sempre stata egemonizzata da candidati puramente civici, non direttamente riconducibili ad appartenenze partitiche. I tentativi di presentazione di liste comunali attuati da formazioni politiche sovraterritoriali o nazionali si sono sempre risolti in insuccessi[121][122]. Le fonti disponibili per ricostruire la cronotassi degli amministratori locali sono a tratti in contraddizione e contemplano occasionali lacune[120][123].
GemellaggiAltre informazioni amministrativeIl comune ospita dal 1984 la sede del consorzio di gestione del parco regionale Campo dei Fiori, che nella fase istitutiva dell'ente era stata precedentemente situata a Luvinate. Brinzio è altresì, insieme a Masciago Primo, l'unico paese il cui territorio risulta incluso integralmente nel suddetto parco. Brinzio ha inoltre fatto parte fino al 2009 della Comunità montana della Valcuvia, poi confluita nella nuova Comunità montana Valli del Verbano. SportCalcioCirca dagli anni 1970 nel comune ha sede una squadra di calcio a 7, la cui attività si è sempre dipanata nei tornei a carattere amatoriale organizzati dalla sezione di Varese del Centro Sportivo Italiano[125]. Ciclismo su stradaDal 1963 Brinzio annualmente ospita, nel mese di maggio, il traguardo dei campionati provinciali giovanili di ciclismo su strada per le categorie "giovanissimi", "esordienti" e "allievi", nell'ambito della cosiddetta Sagra della Madonnina del Brinzio[126][127]. Il paese è inoltre stato incluso per due volte nei tracciati di gara dei campionati mondiali di ciclismo su strada: nell'edizione del 1951 (per tutte le prove) e nel 2008 (per le prove a cronometro delle categorie élite donne e under 23 uomini)[128]. Per quanto concerne le gare professionistiche, da Brinzio sono più volte transitati il Giro d'Italia[129], la Tre Valli Varesine[130], il Giro di Lombardia[131], la Coppa Città di Busto Arsizio[132] e (nel settore femminile) il Trofeo Alfredo Binda[133]. Altri sportNel luglio 2023 Brinzio ha ospitato la cinquantesima edizione dei campionati di corsa in montagna individuale dell'Associazione Nazionale Alpini[134]. Impianti sportiviSulle distese erbose ubicate a sud del centro abitato, esattamente alle pendici del monte Campo dei Fiori, nei mesi invernali viene battuta una pista per la pratica dello sci di fondo che si sviluppa su due anelli coprenti una distanza rispettivamente di 3 e 5 km, a un'altitudine compresa tra i 497 e i 530 m s.l.m. La pista, gestita dal Centro Fondo Brinzio e dallo Sci Nordico Varese, si presta alla pratica di entrambe le tecniche dello sci nordico (classica e pattinaggio) e dispone di un anello di 2,5 km dotato di illuminazione[135]. Non è dotata di sistemi di innevamento artificiale[136]. Nel territorio comunale sono altresì esistite piccole piste per la pratica dello sci alpino, la cui gestione era a cura dello Sci Club Brinzio/Sci Club Sette Termini: il primo "impianto" venne ricavato negli anni 1960 in località Pardomo, presso il confine comunale con Castello Cabiaglio, il secondo sul prato dei Pregambarit, sul versante meridionale del monte Martica[137].
Note
Bibliografia
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