La famiglia Maramonte ha fatto parte delle protagoniste delle vicende di Terra d'Otranto. Inizialmente cavalieri, divennero feudatari e "famigli" di sovrani.
Dalla numerazioni dei fuochi (fuoco = nucleo familiare) del 1508 si evince che membri della famiglia Maramonte abitavano a Lecce nel quartiere denominato Portaggio di San Martino; un Antonio nell'isola di San Demetrio e un Belisario nell'isola di San Salvatore.[7] Tra il 1757 e il 1760 i Maramonti abitavano "dove sono i Palazzi Chillino già Maramonte e Ruggieri già Giugni in via Principi di Savoia, N. 67".[8][9]
Stemma
Lo stemma della famiglia Maramonte è d'azzurro, a tre fasce ondate d'argento; col capo cucito del campo e caricato di un monte di tre cime d'oro.[3]
Periodo normanno
Le prime notizie della famiglia Maramonte in Italia si hanno dai tempi di Tancredi d'Altavilla, conte di Lecce dal 1141 al 1189, quando Tarquinio Maramonte fu "Cavaliere e prode presso Tancredi".[10]
Nel 1239, durante il regno di Federico II di Svevia, viene citato "Maramőte di Maramőte" come barone e giustiziero della provincia di Terra d'Otranto.[4]
Nel 1257, durante il regno di Corrado di Hohenstaufen, re di Sicilia dal 1254 al 1258, troviamo Tommasso Maramonte che possedeva tra l'altro "lo Spineto, le Celle, e la metà di Colle d'Anchise nel Contado di Molise" con il titolo di principe.[4]
Sotto Carlo I d'Angiò, re di Sicilia dal 1266 al 1285, "Roggiero" I Maramonte ebbe i feudi di Spigno, San Marco e San Nicola con il titolo di Signore. Roggiero era sposato con Margherita, che portò in dote "Castrignano, Pluzano e Curla di Minorbino". Roggiero ebbe due figli legittimi (Filippo e Roberto) e tre figli naturali (Roggiero II, Simone e Adimaro).[13]
Filippo fu armato cavaliere di Carlo I d'Angiò nel 1276 ed ebbe da Carlo II d'Angiò i feudi di Patrinio, Castrignano e Casamassella.[13]
Prima del 1343, Gualtieri VI di Brienne mandò 1 000 fanti comandati da Ludovico Maramonte e da Nicola Prato, per presidiare Atene.[14] Ludovico rimase ad Atene fino alla morte di Gualtieri VI di Brienne (19 settembre 1356) consegnando poi il ducato a Giovanna I di Napoli che spedì il capitano Niccolò Acciaiuoli come governatore e vicario.[15]
Periodo Angiò-Durazzo
Nel 1352 Maramonte di Maramonti, figlio di Giannotto, signore di Cutrufiano, sposò Isabella Antoglietta, che portò in dote il feudo di Matino; Costanza Maramonte, sorella di Maramonte di Maramonti, sposò Filippo Antoglietta (figlio di Nicolò).[16][17]
Palazzo Marchesale di Botrugno
Maramonte Maramonti e Isabella Antoglietta ebbero i figli Filippo, Carlo e altri. Mentre Carlo, signore di Campi e di altri feudi, nel 1400 fu ciambellano di re Ladislao d'Angiò-Durazzo,[18] su fratello Filippo[19], nello stesso anno, era "Cauvaliere Napoletano[20], consigliere[21], gran guerriero e maresciallo[22]" di re Ladislao d'Angiò-Durazzo.[20]
Nel 1378, Giovanni d'Enghien, duca di Lecce dal 1375 al 1380, per difendere la città di Lecce contro i brettoni della Compagnia Bianca guidati da John Hawckwood, assoldato da Francesco del Balzo, duca di Andria, nominò Ludovico Maramonte "capitano a guerra" mentre a Nicola Prato con 400 lance affidò il comando del castello della città. Il primo dicembre 1378, nella battaglia nei pressi dell'Abbazia dei Santi Niccolò e Cataldo Francesco del Balzo "fuggì camuffato da frate", mentre Ludovico Maramonte e suo figlio Carlo ritornarono vittoriosi in città "con molti prigionieri, e le nimiche insegne" donandogli alla Chiesa di Sant'Eligio.[29] Ludovico Maramonte viene ricordato nell'omonima via a Lecce.
Nel 1399 si trovarono prigionieri di Raimondo Orsini del Balzo a Nardò Roggiero II Maramonte e suo figlio Gianotto; evidentemente erano di contraria fazione.[20]
Raimondo Orsini del Balzo, il quale nel 1405 si era ribellato a re Ladislao d'Angiò-Durazzo, morì il 17 gennaio 1406 e re Ladislao cercò di impadronirsi del grande Principato di Taranto, assediando la città di Taranto il 14 aprile 1406. Alla vedova di Raimondo, Maria d'Enghien, barricata nella città, vennero in aiuto "i suoi bravi e fedeli Leccesi capitanati da Ludovico e Carlo Maramante".[30] Maria d'Enghien, rendendosi conto che senza aiuti stranieri sarebbe stata costretta a cedere, spedì Niccolò Messana e Roggiero Maramonte, "stretto congiunto di Ludovico Maramonte" dal re di Sicilia, Martino I d'Aragona per ottenere soccorsi. Il re di Sicilia, che accolse la richiesta, mandò sei navi cariche di truppe e altre navi con provviste e munizioni comandate dal Marchese di Crotone. Al momento dello sbarco a Taranto, i soldati caddero in un'imboscata e molti furono massacrati;[31] comunque sia, Ladislao, dopo quasi due mesi di assedio senza grandi risultati dovette interrompere l'assedio.[32]
Periodo d'Aragona
Nel giugno 1456, Francesco Maramonte, figlio di Landolfo, si recò come inviato di Scanderbeg alla corte del duca di Milano Francesco Sforza, per riferire "della terribile situazione nelle sue [di Scanderbeg] zone e della sua angoscia di fronte al turco".[33] L'8 luglio dello stesso anno, il duca scrisse una lettera ai suoi ambasciatori a Roma e a Napoli per informarli che "il Maramonte si presenterà pure al Papa e al re".[34] Infatti, nel 1666 si recò alla Curia di Roma[33] e il re Ferdinando I di Napoli gli diede il permesso "di recarsi in Albania con 15 cavalli".[35]
Periodo Asburgo
A fine luglio del 1537, durante la terza guerra turco-veneziana, le truppe ottomane alleate dei francesi, comandate dall'ammiraglioKhayr al-Dīn Barbarossa sbarcarono a Castro (situata a sud di Otranto), che si arrese subito, facendo un gran numero di prigionieri. Alcune delle milizie sbarcate assalirono e devastavano le terre circostanti sino a Racale e Ugento. Fra esse fu il casale di Marittima "abrusciato et spianato".[36]Tricase, assediata, venne liberata da una compagnia di fanti comandata da Spiretto [Spinetto] Maremonte.[37]
La discendenza
Monumento a Belisario Maramonte nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Campi Salentina
Beatrice - sp. Ferrante Orsini († 6 dicembre 1549, Napoli), 5º Conte di Gravina in Puglia; alla morte del padre ereditò il contado di Muro con Acerenza ecc.[49]
Giannicola, detto Conte di Matera, Nobile Romano e Patrizio Napoletano - sp. sua zia Isabella Ferrillo, figlia ed erede di Giovanni Alfonso Conte di Muro Lucano ecc. e di Maria Balšić.[49]
Livia - sp. Jacopo Vitelli, Signore di Amatrice.[49]
Giovanna - sp. Ludovico IV Martino di Capua, 10º Conte d’Altavilla.[49]
Antonio (+ 1553), 6º Duca di Gravina, 2º Conte di Matera, Signore di Sant’Agata, Vaglio, Ruoti, Spinazzola e Acerenza - sp. Felicia Sanseverino d’Aragona, figlia di Pietro Antonio, 4º Principe di Bisignano e di Giulia Orsini dei Signori di Bracciano.[49]
Flavio († Napoli 17 luglio 1581), Vescovo di Muro Lucano dal 1560.[49]
Ostilio (* 1543; † 1579), Signore di Solofra dal 1558 - sp. 1° Eleonora (o Dianora) Caracciolo, figlia di Ferdinando, 1º Duca di Feroleto; 2° Diana del Tufo, figlia di Paolo, Barone di Vallata e Vietri.[49]
Virginio († testamento: 1º marzo 1573), Signore di Montelibretti - sp. 1° Ersilia Orsini, figlia di Ludovico, 7º Conte di Pitigliano; 2° Giovanna Caetani, figlia di Bonifazio I, 4º Duca di Sermoneta[49]
Flaminio († 29 gennaio 1582), autorizzato a comprare Muro Lucano e Solofro dalla madre con Regio Assenso dato a Madrid il 4 marzo 1580 - sp. Lucrezia del Tufo, figlia di Paolo, 1º Barone di Vallata.[49]
Sveva o Severa (* Napoli 1535; † Napoli 22 febbraio 1603) - sp. 1° 1554 Pietro Antonio Carafa dei Conti di Policastro; 2° 1559 Carlo d’Avalos d’Aquino d’Aragona, Principe di Montesarchio.[50]
Fabrizio II, 2º Principe di Venosa - sp. 1562 Geronima Borromeo, figlia di Giberto.[50]
Ivan (alb. Gjon) Strez (conosciuta come Balšić; † dopo il 24 marzo 1469[47]), Signore di Misia, una terra costiera "tra regio inter promontorium Rodoni, Croya et Alessium".[44][45][46]
Carlo († prima del 1410), signore di Campi e ciambellano di re Ladislao d'Angiò-Durazzo - sp. Cizzola della Marra, figlia di Gianotto, signore di Racle.[20]
Raffaele I, signore di Campi, Castromanno, Cursa e Minorbino dal 1410.[20]
Carlo, Signore di Apre, Bagnera e Agliolo - sp. Antonia.[35]
Filippo Antonio, 1º barone di Campi "cum feudis Balneariae, Aglioli, Afrae, Firmiliani" dal 20 maggio 1476 - sp. Maria dell'Acaia[35][41][42]
Belisario, "armis et fide" († 1403) - sp. Giulia Paladina, figlia di Luigi[35]
Simone (figlio naturale), signore di Cuma, adiutore di Simone del Tufo alla difesa dei mari in Terra di Lavoro, Principato e Abruzzo.[13][54]
Adimaro (figlio naturale; † prima del 1312), Signor d'Atena - sp. Margherita Corbano, figlia di Amelio, signore di Corbano.[20]
Ludovico, al servizio di Gualtieri VI di Brienne ad Atene (1343 ca.), signore di Andrano, Castiglione, Puzzano, Soranello, Orsella, Castromanno de' Greci - sp. ?[20]
Margherita - sp. Ricciardo Caracciolo, detto Ugot[20]
Luoghi e architetture
Le vie dedicate a Ludovico Maramonte (Lecce) e a Belisario Maremonti (Campi Salentina).
Il Palazzo marchesale di Botrugno, molto probabilmente venne costruito dai Maramonte nel 1500 e restaurato dai Branai Castriota nel 1725.
Il Palazzo Maramonte di Cursi, con molta probabilità, fu costruito dal barone Filippo Antonio Maramonte verso la seconda metà del secolo XV.
^Intorno al 1384, Filippo Maramonte, esercitando "qualche commercio" nei Balcani, fu "protovestiario (Il titolo di protovestiario esisteva nella Serbia medievale dai tempi di Stefano Uroš II Milutin (1282-1321), re dei serbi, e il suo ruolo era quello di occuparsi delle finanze statali. Questa posizione veniva spesso assegnata a mercanti di Cattaro o Ragusa che avevano esperienza nella gestione delle finanze. Il titolo di protovestiario andò in disuso nel 1435 e le sue precedenti funzioni furono trasferite ai Kaznac.) di Đurađ II Stracimirović Balšić" (Giuseppe Gelcich, 1899, p. 317), Signore di Zeta (territorio in parte sovrapponibile a quello dell'attuale Montenegro) dal 1385 al 1403, data della morte di Đurađ II Stracimirović Balšić.
^Carlo Thopia era sposato con Voisava Balšić, figlia di Balša I (nonno di Đurađ II Stracimirović Balšić), Principe di Zeta. (Giuseppe Gelcich, 1899, pp. 316.)
^"Prima del 1427 fu [Stefano Maramonte] al servizio dei Veneziani in Lombardia, [...]." (Giuseppe Gelcich, 1899, p. 318.)
^Nella città fortificata "i Subfeudatarj della Contea entrarono co’ loro uomini armati a difesa, giusta l’obbligo che loro incombeva per le leggi della giurata fedeltà al loro signore. Il Balzo [Francesco del Balzo], giunto ne’dintorni di Lecce, pensò assediarla, e posto il campo presso l'Abbazia de’ SS. Nicolò e Cataldo, cominciò a molestare gli assediati con alcuni colpi di bombarda. Il Maramonte mal sofferendo di rimanere in sulle difese, spedi nel campo nimico un suo fido, il quale, fingendosi fuggitivo, fu da’ Brettoni fatto prigioniero. Costui riferì, giusta il convenuto, al nimico come dovessero i leccesi tentare una sortita per vettovagliare la piazza. Il Muntegu [Giovanni Acuto] cadde nel laccio, e s’imboscò in luogo detto ancor oggi Tafagnano [oggi contrada di Cavallino], pel quale il prigioniero aveva detto dovessero passare gli assediati. Maramonte, ottenuto avendo lo scopo di dividere le forze dei nimico, spinse uno squadrone di cavalli, comandato da un suo figliuolo, nomato Carlo, contro l'accampamento all’Abbazia, e i Brettoni lasciaronli venire, credendo fossero i loro compagni che tornavano dall’imboscata; [..] Ludovico e Carlo entrarono sull’annottare in città, con molti prigionieri, e le nimiche insegne [stendardi], che alla Chiesa di S. Eligio donavano; poiché in quel giorno correva la festa di quel santo (era il 1.° Dicemb.). Lacere e consumate dal tempo conservaronsi per lunghi anni, finché venne il giorno in cui le bandiere Balzesche e Brettone furon distrutte; solo a memoria furono dalla Città fatte dipingere sulle mura della Chiesa anzidetta, e poi fu qualcuno che fece scomparire la pittura coll’acqua di calce." (Luigi Giuseppe de Simone, 1874, pp. 180).
^"Notevole è sopratutto il monumento sepolcrale a Belisario Maramonte, barone di Campi. Resta a dritta di chi entra nella chiesa per la porta maggiore, ed è scolpito in pietra leccese e colorato in nero. Il corpo del prode guerriero, vestito colla sua intera armatura e colla sua brava spada al fianco sinistro, riposa sopra un sarcofago sorretto da due brutti leoni; e in mezzo a questi vi è un puttino che piange, e regge colla mano sinistra un teschio ben lavorato. Il volto
del Maramonte è scoperto e ne lascia vedere le maschie e gentili fattezze. Sul muro vi è poi una lapide sostenuta da due angioli, nella quale si legge la seguente iscrizione: R. C. O. V. / BELLISARIO MAREMONTI PRO / CERI CAMPIORVM NOBILITATE / ARMIS ET FIDE PRESTANTI / OBIIT AN. A. CR. NAT. / M. D. XV. III. ID. MART." (Cosimo De Giorgi, 1884, p. 104.)
^"Vi troveremo allato all’altare maggiore, in cornu epistolæ, il sarcofago di Raffaele Maramonte, sulla copertura del quale è disteso questo guerriero, modellato a stucco colla sua armadura di acciajo e colla sciabola al fianco sinistro, simile a quello di Belisario Maramonte che vedemmo nella parrocchiale di Campi salentino. Due angeli reggono una lapide confitta nel muro, sulla quale si legge questa iscrizione: EN FRANCISCELLI GEN IT VS: MAREMONTIVS HEROS / VICTVS MORTE JACET : SOLAQVE MORS POTVIT. / EGREGIVS PIETATE, ET BELLO INSIGNIS ET ARMIS / ÆQVAVIT MERITO NOMINA PRISCA VIRVM. / hIC DECVS, HIC SPLE(n)DOR, SPES HIC MAREMO(n)TIA CECV(m) / EST MORIENS VNA; TOTA SEPVLTA DOMVS. / NOMEN FAMA CANIT GESTORV(m) FAMA PERENNIS / HIC TEGIT OSSA LAPIS: SPIRITVS ASTRA COLIT. e sul fregio della cornice si legge: V. AN. XLVI. M. I. — A. D. MCCCCCLXIIII. ( Da Scorrano a Lugunano (PDF), su docartis.com.
Francisc Pall, I rapporti italo-albanesi intorno alla metà del secolo XV, in Archivio storico per le Province napoletane, IV, Napoli, Società napoletana di storia patria, 1966, pp. 123-226.
Oliver Jens Schmitt, Actes inédits concernant Venise, ses possession albanaises et ses relations ovec Skanderbeg entre 1464 et 1468 in: Turcica, vol. 31, Venezia, 1999.
Oliver Jens Schmitt, Skanderbeg - Der neue Alexander auf dem Balkan, Regensburg, Friedrich Pustet, 2009, ISBN978-3-7917 -2229-0.