Fino al XVIII secolo nella cattedrale vercellese si potevano ammirare i dipinti, accompagnati dai nomi, dei primi quaranta vescovi della diocesi, in ordine cronologico da sant'Eusebio a Nottingo nel IX secolo. Secondo Lanzoni, questa serie, degna di fede, ripeteva in immagini i dittici diocesani.
Nell'Alto Medioevo il territorio della diocesi era molto vasto e comprendeva anche Biella, Casale Monferrato e parte della Lomellina fino a Robbio. Ricevette da Carlo Magno numerosi diritti e privilegi, in cui si può ravvisare l'inizio del potere temporale.
Il 13 dicembre 899 gli ungari, pagani, saccheggiarono la città e fecero strage del clero locale.
Nel 1014 i vescovi di Vercelli ricevettero ampie donazioni da parte dell'imperatore Arrigo II, che sono alla base del potere civile che i vescovi eserciteranno nei secoli successivi come vescovi-conti.
Nel 1160 il vescovo Uguccione eresse a Biella il castello del Piazzo, origine del borgo medievale.
A cavallo tra XII e XIII secolo, fu presente in diocesi il beato Oglerio, abate di Lucedio, che appianò alcune controversie tra il Comune e la diocesi. Il culto sarà confermato nel 1875: le sue reliquie sono tuttora venerate a Trino.[2]
Agli inizi del XIII secolo il vescovo sant'Alberto Avogadro ottenne per sé e per i suoi successori l'uso della porpora, normalmente riservata ai cardinali, in alcuni giorni dell'anno, diritto che hanno tuttora gli arcivescovi vercellesi, purché entro i confini della propria sede.
Negli anni trenta del XIII secolo il vescovo Jacopo fu costretto all'esilio dalla fazione ghibellina e trovò rifugio nel castello di Santhià. Con l'atto del 24 aprile 1243 e il cardinaleGregorio da Montelongo, legato pontificio, aveva ceduto al Comune la giurisdizione su tutti i territori appartenenti alla diocesi di Vercelli, in quel momento vacante, conservando a quest'ultima la giurisdizione minore; la cessione, di considerevole entità, fu impugnata dai vescovi successivi, con alterno successo.
Il diritto di elezione del vescovo era esercitato dal capitolo. Nel 1268 i canonici si trovarono divisi in due fazioni, intervenne allora papa Clemente IV, che elesse Aimone di Challant, che nel 1294 consacrerà la chiesa di Santa Maria di Oropa. Papa Bonifacio VIII avocò alla Sede Apostolica il diritto di elezione del vescovo, ma in deroga a questa disposizione, approvò l'elezione fatta dal capitolo di Raniero Avogadro, che il 23 marzo 1307, armi alla mano, sconfisse l'eretico Dolcino e la sua setta.
Esule, questa volta a Biella, fu anche il vescovo Lombardino della Torre, prima della metà del XIV secolo, avversato dalla fazione scismatica seguace di Ludovico il Bavaro. Nello stesso periodo Vercelli passò sotto il controllo dei Visconti. Nella seconda metà del secolo e agli inizi del successivo Vercelli ebbe molto a soffrire per i contrasti tra i sostenitori di papi diversi. Due vescovi aderirono allo scisma e furono privati dell'incarico.
Papa Urbano VI nel 1384 definitivamente riservò alla Santa Sede il diritto di elezione dei vescovi. L'ultima iniziativa dei canonici per l'elezione del vescovo si ebbe ancora nel 1437, quando papa Eugenio IV impose il vescovo Guglielmo Didier.
Nel 1427 Vercelli divenne dominio di Casa Savoia, posto sul confine orientale dello stato, segnato fino al 1734 dal fiume Sesia.
Il 2 gennaio 1566, in attuazione del Concilio di Trento, il cardinale Guido Luca Ferrero istituì il seminario diocesano. Altra conseguenza del Concilio di Trento, seppure indiretta, fu la soppressione dell'antico rito eusebiano, sancita il 30 marzo 1575, che era proprio della diocesi. Infatti, la bollaQuo primum tempore di papa Pio V con la quale si approvava il nuovo Messale romano, aboliva soltanto i riti che non avessero duecento anni di antichità, quindi il rito eusebiano si sarebbe potuto conservare: la sua soppressione però è inquadrata in un ambito di progressiva egemonia del rito romano in tutto l'Occidente.
Il lungo episcopato di Giacomo Goria nel XVII secolo fu particolarmente difficile. Visto con sospetto dal duca Vittorio Amedeo I per una presunta vicinanza agli spagnoli, per aver rifiutato di scambiare la cattedra di Vercelli con un'altra diocesi e per avere imposto scomuniche, passò lunghi periodi fuori dalla diocesi, anche prolungando le visite ad limina. Vide aggravarsi la sua situazione con lo scoppio della guerra franco-spagnola e risiedette per lungo tempo nella parte della diocesi che era nel ducato di Milano, particolarmente a Bolgaro e a Vicolungo. I contrasti giunsero a tal punto che il vicario generale da lui nominato fu estromesso, Vittorio Amedeo I scrisse al capitolo della cattedrale per chiedere l'elezione - illecita secondo il diritto canonico - di un nuovo vicario generale, il capitolo rifiutò protestando di non avere questo diritto, ma un nuovo vicario fu imposto dal nunzio apostolico Fausto Caffarelli. In seguito tutti i parenti del vescovo furono espulsi da Vercelli. La situazione del vescovo migliorò dopo la morte di Vittorio Amedeo I, quando Vercelli fu occupata dagli spagnoli e, poi con l'appoggio della fazione dei "principisti" che si opponevano alla reggenza di Madama Cristina, riuscì a spostare la sua residenza a Salussola e a Biella, dove assistette alla morte della venerabile Francesca Caterina di Savoia. Dopo oltre otto anni di assenza rientrò in Vercelli il 14 dicembre 1640: in quell'occasione il maestro di cappella della cattedrale Marco Antonio Centorio compose In reditu Episcopi ad cives. L'episcopato di monsignor Goria, che nonostante i travagli e gli ostacoli aveva potuto compiere più volte la visita pastorale, fu ricco di iniziative, soprattutto a beneficio del santuario di Oropa, fra cui spicca la prima solenne incoronazione del Simulacro della Vergine nel 1620, dell'istruzione laica e dei seminari e vide anche l'unione dei capitoli della cattedrale e di Santa Maria Maggiore.[3] Proprio a causa dell'occupazione spagnola, la diocesi rimase vacante per dodici anni, fino al 1660.
Con il vescovo Vittorio Agostino Ripa (1679-1691) Vercelli divenne uno dei centri di diffusione del semiquietismo di origine francese. Il vescovo aveva infatti ospitato in diocesi il padre La Combe, barnabita, che fu raggiunto da Jeanne Guyon, e autorizzò la stampa delle loro opere. Intervennero anche nelle visite pastorali e nelle conferenze spirituali destinate al clero. Lo stesso vescovo Ripa fu autore del trattato di preghiera L’orazione del cuore (1686), in cui presenta l'orazione passiva.[4]
Il 1º giugno 1772 cedette un'altra porzione del suo territorio a vantaggio dell'erezione della diocesi di Biella, che fu poi soppressa durante il periodo napoleonico dal 1803 al 1817, ritornando ad essere compresa nella diocesi vercellese.
Nel 1803 Vercelli entrò a far parte della provincia ecclesiastica dell'arcidiocesi di Torino.[1] Nel convulso periodo napoleonico la diocesi fu guidata da Giovanni Battista Canaveri, piuttosto incline ad ossequiare le autorità civili e per questo gradito al ministro dei culti Jean-Étienne-Marie Portalis. Nel 1810 si piegò a fare insegnare a Vercelli gli articoli del Clero gallicano del 1682, che erano già stati condannati dai papi. Dopo la morte del vescovo Canaveri, Napoleone elesse nel 1813 come vescovo di Vercelli il canonico Carlo Giuseppe Tardì, che il capitolo riconobbe come vicario capitolare. L'eletto non fu riconosciuto dal papa e si dimise nel 1814.
Durante il periodo risorgimentale l'arcidiocesi fu a lungo retta da Alessandro d'Angennes, vescovo di tendenza liberale, che tenne un sinodo diocesano nel 1842 e nel 1852 promosse la nascita di una società operaia di ispirazione cattolica.[7]
Giovanni Stefano Ferrero † (1º novembre 1503 - 5 novembre 1509 nominato amministratore apostolico di Ivrea) (per la seconda volta, amministratore apostolico)
^Questi primi tre vescovi sono spuri, secondo Lanzoni, che attribuisce il loro inserimento nella cronotassi vercellese per il desiderio di fondare la chiesa di Vercelli all'epoca apostolica: secondo il medesimo autore, Teonesto è un martire, Marziale e Sabiniano invece sono protovescovi delle chiese di Limoges e di Sens in Gallia.
^L'iscrizione funeraria lo indica come terzo vescovo vercellese: Tertius hunc urbis sedem tenuit Honoratus (Lanzoni, op. cit., p. 1039).
^Per il pessimo stato di conservazione delle scritture e dei dipinti della cattedrale, nel XVII secolo fu letto il nome Coelius invece di [Dis]colius (cfr. Lanzoni, op. cit., p. 1039).
^Per Lanzoni, Albino era il sesto vescovo nella serie dei dipinti della cattedrale vercellese. Cfr. anche il sito di Santi e Beati.
^Nel XVII secolo il nome di questo vescovo, quinto della serie, era scomparso e fu sostituito con Didacus, santo. Per Lanzoni l'origine spagnola del nome mette in dubbio la sua autenticità. Giustiniano intervenne al sinodo di Milano del 451 (cfr. Lanzoni, op. cit., pp. 1039-1040).
^I nomi del settimo e dell'ottavo vescovo della serie, dopo Albino, erano già scomparsi nel XVI secolo. L'ottavo vescovo fu chiamato Simplicio o Simpliciano, ma secondo Lanzoni, senza alcun fondamento (op. cit., p. 1040).
^Dopo Massimiano, la serie episcopale raffigurata nella cattedrale mostrava due vescovi i cui nomi erano scomparsi nel XVI secolo. Gli storici locali li sostituirono con un Lanfranco, nome anacronistico nel V-VI secolo; e Emiliano, che fu veramente vescovo di Vercelli agli inizi del VI secolo (menzionato nel 502 e nel 507/511).
^Secondo il suo epitaffio metrico, potrebbe essere morto nel 541 o nel 556. Si deve a questo vescovo, nel 540 circa, la raffigurazione dei primi due vescovi vercellesi, Eusebio e Limenio, nell'abside della cattedrale.
^Il nome del quindicesimo vescovo nella serie della cattedrale era scomparso nel XVI secolo. Storici locali lo identificarono con Vedasto, che secondo Lanzoni invece era vescovo di Arras nella Gallia, il cui culto era diffuso anche a Vercelli (op. cit., pp. 1041-1042).
^L'anonimo diciassettesimo vescovo della serie episcopale vercellese è identificato con un Didaco (circa 576).
^Secondo Cappelletti fu un intruso, vescovo ariano.
^Il ventiquattresimo o il venticinquesimo vescovo della serie episcopale vercellese è stato identificato con un Emiliano II.
^Al posto di Rodolfo, Sigfrido e Pellegrino, Cappelletti e Gams pongono i vescovi Attone (circa 740) e Anselberto (circa 770).
^Da San Celso (†665) a Nottingo la lista episcopale riportata per intero da Savio (op. cit., p. 409), che si riferisce alle antiche pitture della cattedrale vercellese, differisce di molto dalla presente cronotassi.
^Le cronotassi tradizionali riportano, dopo Pietro, il vescovo Raginfredo, menzionato in un diploma dell'imperatore Ottone III. Tuttavia, studi recenti negano che questo vescovo abbia mai occupato la cattedra vercellese, ma sia da identificare con l'omonimo vescovo di Bergamo. G. Ferraris, La vita comune nelle canoniche di S. Eusebio e di S. Maria di Vercelli nel secolo XII, «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 17, 1963, pp. 369-370, n. 10. Alfredo Lucioni, Re Arduino il contesto religioso: monachesimo e vescovi fra inimicizie e protezioni, in Giuseppe Sergi (a cura di), Arduino fra storia e mito, Bologna, il Mulino, p. 46, nota 72, ISBN978-88-15-27837-1.
^Cappelleti (e con lui Gams) non è affatto chiaro a proposito di questo vescovo: infatti, quando parla di Vercelli, lo dice trasferito ad Acqui nel 1135; mentre quando parla di Acqui, lo dice trasferito a Vercelli nel 1135. Secondo Savio (op. cit., p. 477) Azzone non fu mai vescovo di Vercelli e la prima menzione di Gisolfo II è del 9 marzo 1135. Invece Oliviero Iozzi, nella sua Storia della Chiesa e dei Vescovi di Acqui (p. 112), lo indica trasferito a Vercelli nel 1135, ma anche che «rese l'anima al suo Creatore nell'anno 1135 circa».
^Eubel riporta come data di promozione il 30 luglio 1387.