Isola di Montecristo
L'isola di Montecristo è situata nel Mar Tirreno e fa parte dell'Arcipelago toscano. Amministrativamente è inclusa nel comune di Portoferraio e quindi nella provincia di Livorno. L'isola è una delle 149 aree protette gestite dal Comando carabinieri per la tutela della biodiversità, è inserita nel complesso delle Riserve Naturali Statali affidate al Reparto Carabinieri Biodiversità di Follonica e fa parte del Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano. GeografiaMontecristo si trova a sud dell'isola d'Elba, a ovest dell'isola del Giglio e del Monte Argentario, a sud-est dell'isola di Pianosa e a est dell'affiorante Scoglio d'Africa, noto anche come Africhella e Formica di Montecristo. L'isola, originatasi dal sollevamento di un plutone sottomarino, è interamente montuosa con diverse sporgenze rocciose a picco sul mare ed è costituita quasi esclusivamente da granodiorite con grossi cristalli di ortoclasio; non a caso, negli antichi portolani, Montecristo viene paragonata ad «una montagna alta come un diamante apuntato».[1] La sommità dell'isola, denominata Monte della Fortezza, è di 645 m. «Monte Christo è un'isola molto alta (...). Alla parte di maestro-tramontana vi è una cala, e in essa un'acqua di bontà estrema, abbondante come una fiumara».[2] ClimaAnche l'isola di Montecristo, come tutte le isole dell'arcipelago, presenta un clima mite, costantemente ventilato e molto soleggiato con scarse precipitazioni (valori medi annui nettamente inferiori ai 500 mm), caratterizzato da inverni mai troppo freddi ed estati con caldo moderato ma non afoso. Dati: https://www.sir.toscana.it/
Nome«Citra est Oglasa» In età classica l'isola era chiamata Oglasa[3] (Ὠγλάσσα Ōglássa in greco), toponimo di origine preromana che in una trascrizione medievale è riportato Oclifa[4]. Durante il Medioevo il nome muta in Monte Christi[5], ossia «Monte di Cristo», verosimilmente a causa del forte contesto ecclesiale e monastico che caratterizzò l'isola a partire dal V secolo, ed in particolare del Monastero di San Mamiliano.[6] Altre fonti riportano che in origine l'isola si sarebbe chiamata Monte di Giove[7] o Montegiove per la presunta esistenza di un tempio romano dedicato al dio Giove - in realtà i ruderi della medievale Fortezza di Montecristo - e che solo in seguito alla presenza monastica avrebbe mutato il nome in Monte Cristo. Alcune ipotesi, tuttavia, oggi tendono a far derivare la denominazione Montegiove dal latino iugum («giogo montano» e quindi «vetta bicorne»)[8], come documentato nella toponomastica della vicina isola d'Elba. In epoca successiva, Montecristo venne anche chiamata Isola di San Mamiliano[9] in riferimento al santo che vi condusse vita eremitica sino al 460. Toponomastica dell'isolaInsenatureCala Cappel di Prete, Cala Corfù, Cala dei Corvi, Cala del Diavolo, Cala del Fico, Cala della Fortezza, Cale Gemelle o Cala Grande, Cala dei Ladri, Cala Maestra, Cala Mendolina, Cala di Santa Maria, Cala del Santo, Cala Scirocco (detta anche Cala dello Scalo e Cala Giunchi), Cala Giunchitelli e Cala dello Scoglio. PromontoriPunta delle Bozze o Punta del Cappel di Prete, Punta di Cala Corfù o Punta Rossa, Punta di Cala Maestra, Punta del Diavolo, Punta dei Fanciulli, Punta della Fortezza, Punta della Grotta, Punta Nera, Punta Scirocco o Punta Forata. RilieviMonte della Fortezza, Cima dei Lecci, Collo Fondo, Collo dei Lecci (anticamente Collo del Leccio), Poggio del Diavolo, Poggio del Portale, Poggio del Segnale, Belvedere e Il Piano. TorrentiFosso di Cala Maestra, Fosso del Convento, Fosso del Diavolo, Fosso della Fortezza, Fosso Mendolina, Fosso del Santo e Borro di Santa Maria. IsolottiScoglio (a nord), Scoglio (a sud) La riserva naturale Isola di MontecristoLa Riserva naturale statale Isola di Montecristo è una riserva biogenetica di 1.039 ettari[10] istituita nel 1971 con decreto ministeriale per tutelare la natura peculiare dell'isola. Oggi ricade nel Parco nazionale dell'Arcipelago Toscano. È stata insignita anche del Diploma europeo delle aree protette nel 1988[11] e riconosciuta come sito di interesse comunitario.[12]
EndemismiVegetali:
Invertebrati:
Vertebrati:
FloraLe condizioni che hanno impedito il popolamento di Montecristo hanno favorito la conservazione della flora e della fauna. In particolare, a Montecristo, vivono specie animali e vegetali un tempo diffuse in tutto il Mar Mediterraneo. Di particolare rilievo sono le formazioni di giganteschi esemplari di Erica arborea che coprono i fondovalle e alcuni lecci millenari che rimangono in vita alle quote più alte (Collo dei Lecci), assieme a stazioni Euphorbia dendroides. Presso Cala di Santa Maria vegeta la scilla. Sull'isola, in un sito umido presso la Grotta del Santo, si ritrova anche la rara felce Osmunda regalis.[15] La vegetazione di Montecristo è severamente condizionata dal pascolo delle capre che non consente il rinnovo, se non di alcune specie. Dell'originaria lecceta rimangono circa 200 alberi antichi e decrepiti (http://www.ssnr.it/21-3.pdf), i cui semi sono costante preda delle capre. Per consentirne la rinnovazione alcuni di essi sono stati recintati e questo ha consentito l'affermazione delle piantine, il cui futuro è legato alla tenuta dei recinti alla pressione delle capre. In altri recinti il Corpo forestale dello Stato ha piantato oltre 2000 piantine, generate da ghiande raccolte dai lecci secolari. L'opera di ricostituzione di habitat a Montecristo è continua. Sono state riprodotte alcune piantine dai rarissimi corbezzoli sfuggiti al morso delle capre, e vengono conservate nell'orto botanico. FaunaLa Martora è oggi scomparsa, ma attestata almeno fino al 1875.[senza fonte] Interessante la presenza della vipera meridionale (Vipera aspis ssp. hugyi) ed il discoglosso sardo (un anfibio presente solo in un paio di isole toscane e in Sardegna). In particolare, la sottospecie di vipera presente a Montecristo si trova al di fuori del proprio areale e non è frutto di pura fantasia l'ipotesi che la sua introduzione sul territorio isolano sia dovuta a qualche imbarcazione; basti ricordare che era usanza cartaginese quella di lanciare vipere sulle navi del nemico durante le battaglie[16]. Una recente teoria la vorrebbe invece introdotta dai monaci a scopo farmaceutico, a partire dall'area palermitana. L'isola è, inoltre, luogo di sosta per migliaia di uccelli migratori ed ospita importanti colonie di uccelli marini (di particolare rilievo la berta minore). L'ambiente marino è piuttosto ricco: vi sono praterie di posidonia, anemoni marini, gorgonie e coralli. È comune la presenza del pesce luna. Fino alla fine degli anni '70, era presente anche la foca monaca, specie ormai rarissima nelle acque italiane.[17] La capra di MontecristoL'antica presenza della Capra aegagrus nell'Arcipelago toscano è documentata nella toponomastica latina e greca di alcune sue isole, come Capraria (Isola di Capraia) e Aigylion (Isola del Giglio). L'esistenza della capra selvatica a Montecristo è testimoniata almeno dalla seconda metà del XVI secolo («vi sono quantità di capre piccine di pelo raso»)[18] e dal secolo successivo («queste [grotte] sono di continuo habitate da capre selvaggie che infinite ne sono nell'isola»[19] e «non vi sono altro che capre salvatiche, alla caccia delle quali, nella primavera avanzata, vanno i cacciatori dell'isola dell'Elba, e qualche volta ancora i cacciatori di terraferma»[20]). La Capra aegagrus è diffusa soprattutto in Asia minore e Medio Oriente, ma sono presenti delle popolazioni anche in alcune isole dell'Egeo e a Creta, derivanti da antiche immissioni operate dall'uomo quando la specie era ancora nelle prime fasi di domesticazione. A Montecristo la Capra aegagrus vive allo stato selvatico, in piccoli branchi che cambiano composizione e numero nei vari periodi dell'anno. Le corna sono ricurve, con la superficie anteriore compressa lateralmente in modo da formare una carena affilata (ricordano quelle dello stambecco). I maschi adulti presentano mantello bruno chiaro, spesso con riga mulina nera che continua sulle spalle e sulla parte ventrale degli arti; le femmine hanno invece mantello bruno chiaro uniforme.[17] La capra di Montecristo, oggi rappresentata da oltre 250 esemplari viventi in completa selvaticità, non è da considerare un elemento naturale della fauna isolana ed è causa di notevole impatto sulla vegetazione autoctona. L'antichità del popolamento è peraltro tale da conferire allo stock presente un notevole valore storico-culturale. La tutela delle locali capre rappresentò inoltre una forte motivazione all'epoca dell'istituzione della riserva naturale, quando l'isola venne strappata alla speculazione. La specie riveste pertanto un ruolo emblematico a livello delle politiche di conservazione dell'isola. Al fine di garantire la salvaguardia della specie anche fuori dal contesto isolano, nel dicembre 2012 il Bioparco di Roma ha predisposto un recinto di 1000 m² per ospitare cinque esemplari fondatori, in caso di eventuali necessità di futuri ripopolamenti.[21] Interventi di protezione
Ad agosto 2012 sono state avvistate circa 600 berte minori (Puffinus yelkouan), che hanno potuto ripopolare i loro nidi grazie all'eradicazione del ratto nero, considerato causa del decremento e dell'estinzione della specie in quanto predatore delle uova e dei pulcini[25]. In realtà, in parallelo ai numerosi spunti polemici che hanno alimentato i media, l'intervento di derattizzazione è stato accuratamente monitorato dai tecnici del Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano e dell'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ed ha costituito un esempio di corretta gestione ambientale di portata unica nel contesto mediterraneo. Esiste al riguardo un apposito e completo volume riassuntivo dei risultati conseguiti (Quaderni del Parco, Documenti tecnici 2, Portoferraio 2014).[26] StoriaEtà preistoricaAl Neolitico antico (VI-V millennio a.C.) risalgono alcuni frammenti di vasellame in ceramica ad impasto rinvenuti a Cala Maestra, tra cui uno con decorazione impressa cardiale insieme ad un coevo manufatto in selce, scoperti nel 1994. Sempre a Cala Maestra, nel 2000, fu rinvenuta una macina litica protostorica. Nel 1875 Gaetano Chierici rinvenne «tre schegge di selce dinanzi alla chiesa del convento, alla profondità di un m. in mezzo a terreno sciolto e misto a carboni».[27] Età anticaNelle acque tra Punta del Diavolo e Cala del Diavolo (profondità di 60 metri) giace il relitto di una nave oneraria campana[28] naufragata durante prima metà del III secolo a.C. Al largo di Punta del Diavolo (profondità di 55 m) è localizzato un altro relitto di oneraria (II secolo d.C.) con un carico di anfore vinarie di forma Pelichet 47 proveniente dalla Francia meridionale. Tracce di frequentazione dell'isola in età romana e tardoromana sono presenti nella Cala di Santa Maria (nel 2012, durante una spedizione guidata da Silvestre Ferruzzi[29], vi è stato rinvenuto un calice vitreo frammentario di forma Isings 111, insieme a frammenti di anfore di Empoli) e a Cala Maestra; da quest'ultima località, in cui Gaetano Chierici rinvenne «qualche frammento di stoviglie romane, intorno al porto e nella valletta», provengono scorie di riduzione del ferro. A questo proposito scrisse Giuseppe Giuli nel 1833: «Alla distanza d'un terzo di miglio dal lido del mare in questa stessa valle vi sono dei cumuli di scorie di ferro, e siccome non si trova nell'isola la miniera di questo metallo, è da credersi che in altri tempi fosse portata dall'Elba per ridurla allo stato metallico.»[30] Sull'isola, secondo alcune ipotesi avvalorate dal ritrovamento di un frammento di pavimentazione in opus signinum nell'area di Cala Maestra, si trovava una domus maritima di età romana. Età medievale e modernaLa storia documentata di Montecristo comincia con la fondazione del monastero di San Mamiliano edificato attorno al V secolo da parte di monaci eremiti, secondo una tradizione già attestata nel Medioevo[31], sui resti di un ipotetico tempio romano dedicato al dio Giove. Nel monastero sarebbe stato custodito un leggendario Tesoro frutto di donazioni ecclesiastiche; alla stessa epoca risale una cappella absidata costruita all'interno della Grotta di San Mamiliano, dove visse il santo nel V secolo. Nel 591 il papa Gregorio Magno mandò l'abate Orosio a Montecristo per ristabilire la disciplina nel monastero[32]. I monaci seguivano la regola cenobitica di Pacomio, verso il IX secolo si introdusse la regola benedettina. Nel 1249 vi morì l'eremita fiorentino Rinieri Buondelmonti. Le prime due grandi devastazioni subite dal monastero furono dovute agli attacchi saraceni del 727 e del 1323. Dal 1399 Montecristo passò sotto lo Stato di Piombino. Durante il 1534 «all'isola detta Montechristo soggiornava una compagnia di corsali».[33] Nell'agosto 1553 Dragut, dirigendosi verso l'isola d'Elba, espugnò il monastero decretandone la fine. L'ultimo abate che resse il monastero fu Federico De Bellis. Da quel momento l'isola di Montecristo rimase disabitata. Dal secolo XVI i sovrani piombinesi ricevettero vari solleciti da parte di molti Stati (su tutti, il Granducato di Toscana) affinché fortificassero l'isola, cacciandone i pirati e corsari che abitudinariamente la abitavano: un contenzioso destinato a rimanere irrisolto per secoli, con l'isola abbandonata al proprio destino. Al largo di Cala Maestra (profondità di 35 metri) si trova il relitto di un veliero militare del XVI secolo di cui nel 1969 furono clandestinamente recuperati una colubrina in bronzo con un sacchetto contenente polvere pirica, palle di cannone, due bracciali in bronzo a tortiglione, una statuetta in ceramica a forma di leone stante, olle biansate in maiolica e coperchi in ceramica acroma.[34] Età contemporaneaNel 1814 Napoleone Bonaparte fece inviare nell'isola un presidio militare. Durante il luglio 1833 il geologo senese Giuseppe Giuli esplorò l'isola e redasse una descrizione tecnica.[35] I primi tentativi di colonizzazione dell'isola, all'epoca di proprietà di Carlo Cambiagi, avvennero nell'ottobre 1839 da parte di due eremiti tedeschi, Augustin Eulhardt di Nordhausen e Joseph Keim di Reutlingen, che tuttavia, a causa di incompatibilità caratteriali, desistettero dopo poco tempo. Nel 1843 si succedettero altri personaggi: il ventiquattrenne religioso tirolese Francesco Adolfo Obermüller, al quale tuttavia il Granducato di Toscana non dette il permesso di ritirarsi sull'isola, e, dopo pochi mesi, il francese Charles Legrand assieme alla propria compagna, con l'intenzione di coltivare l'isola. I due coniugi si stabilirono all'interno del monastero, essendo ancora l'isola priva di costruzioni moderne, ma in seguito furono espulsi dal Governo toscano in quanto non riuscirono nella loro impresa agricola. Nell'aprile 1844 ci fu un altro tentativo di colonizzazione agricola da parte del francese Georges Guibaud, che si risolse con l'ennesimo insuccesso. Nel 1846 alcuni genovesi tentarono invano la stessa impresa. Nel gennaio 1849 Jacques Abrial, imprenditore francese di origine ebraica domiciliato a Firenze, prese in affitto l'isola conducendovi quattro contadini di Barga (stipendiati con 40 lire mensili) assieme ad un supervisore; riuscì ad avviare una piccola ma proficua coltivazione di grano e vigne per tre anni e fece costruire i primi due edifici moderni di Montecristo, ossia il futuro Museo naturalistico e il cosiddetto Casotto dei Pescatori presso la spiaggia di Cala Maestra, oggi infopoint del Parco Nazionale Arcipelago Toscano. Per contrastare la presenza dei topi, Jacques Abrial introdusse alcuni gatti che tuttavia divennero ben presto inselvatichiti e furono uccisi. Il Governo granducale, nel 1849, inviò sull'isola un distaccamento del Battaglione Insulare; durante lo stesso anno, presso un promontorio della costa occidentale dell'isola - che in seguito a tale episodio fu chiamato Punta dei Fanciulli - vennero uccisi due bambini da otto predoni che avevano precedentemente assalito, presso La Spezia, la tartana sarda Madonna delle Vigne salpata da Genova alla volta di Livorno con a bordo merci coloniali e 60.000 franchi, sulla quale i due piccoli si trovavano.[36] In tale periodo sull'isola vivevano 11 persone: un caporale, un fattore, quattro contadini e cinque pescatori di aragoste originari di Marina di Campo. Nel 1852 uno scozzese, George Watson Taylor, barone di Strichen[37], acquistò l'isola per 50.000 lire e trasformò Cala Maestra in una area verde con giardini terrazzati e specie arboree esotiche, tanto da essere soprannominato Conte di Montecristo.[38] A questo periodo risale l'edificazione del vasto caseggiato successivamente chiamato Villa Reale (poiché futura residenza di caccia del re Vittorio Emanuele III di Savoia), la realizzazione del piccolo molo a Cala Maestra e l'immissione dell'ailanto, specie vegetale che sino al decennio 2010 ha mutato l'assetto vegetazionale dell'isola. Nello stesso anno l'isola fu visitata dall'ingegnere cartografico Giovacchino Callai e dallo storico Vincenzo Mellini[36], che rilevarono e descrissero i ruderi degli edifici storici presenti a Montecristo. Nell'autunno del 1860 l'isola fu saccheggiata da alcuni esuli italiani residenti a Londra, politicamente ostili a George Watson Taylor, che, a bordo del piroscafo Orwell capitanato da Raffaele Settembrini, si stavano dirigendo nell'Italia Meridionale per arruolarsi con i garibaldini. Di fronte all'ingente somma di denaro richiesta da Watson Taylor in riparazione dei danni, il Governo ritenne più opportuno acquistare l'isola. Montecristo fu poi acquistata dal Governo italiano il 3 giugno 1869 per la somma di 100 000 lire dal proprietario Watson Taylor. Probabilmente a tale periodo risalivano alcune sepolture (circa otto) rinvenute a Cala Maestra durante lavori agricoli per la realizzazione di un vigneto. Agli inizi del 1870 sull'isola arrivò l'eremita Davide Lazzaretti, che visse all'interno della Grotta di San Mamiliano per 40 giorni. Dopo ulteriori tentativi di colonizzazione, nel novembre 1874 il Governo italiano vi insediò una colonia penale agricola con 45 detenuti e 5 guardie carcerarie, succursale di quella di Pianosa, che durò sino al 1884. Nel 1875 a Montecristo si recò il paleontologo Gaetano Chierici che scrisse un'accurata descrizione[39] storica ed archeologica dell'isola. Il 10 maggio 1884 venne smantellata la colonia penale agricola di Montecristo che aveva sede nella futura Villa Reale; per ben tre anni, sino al 1889, l'edificio venne saccheggiato degli arredi e persino del manto di copertura. Nel 1889 il Demanio di Livorno concesse in affitto l'isola al marchese fiorentino Carlo Ginori Lisci, che trasformò Montecristo in una riserva di caccia personale e vi fece stabilire tre famiglie di agricoltori; dei numerosi ospiti che si recavano a cacciare settimanalmente sull'isola, partendo da Livorno con lo yacht Urania di proprietà dello stesso marchese, fece parte il poeta Renato Fucini, il musicista Giacomo Puccini, il principe Alberto I di Monaco con la moglie Alice Heine, il marchese Eugenio Niccolini, il deputato Antonio Civelli e il re Vittorio Emanuele III. Per avere rapidi collegamenti con Firenze, il marchese istituì a Montecristo un servizio di piccioni viaggiatori. L'isola è stata, nel 1896, la meta del viaggio di nozze fra l'allora principe ereditario d'Italia Vittorio Emanuele e Elena del Montenegro.[40] Nel 1899 Carlo Ginori Lisci concesse ogni diritto sull'isola a Vittorio Emanuele III, tramite il pagamento di un affitto pari a 2 000 lire; l'isola divenne una riserva di caccia reale esclusiva per la famiglia Savoia; il re raggiungeva l'isola con il piroscafo Vela che partiva da Porto Santo Stefano. Al momento del passaggio di proprietà, Carlo Ginori Lisci disse al re: «Se io sono, come mi avete chiamato, il vero conte di Montecristo, voi ne siete il sovrano; il mio è un possesso provvisorio, il vostro un dominio sovrano. Cedo i miei diritti».[41] Durante la seconda guerra mondiale, periodo in cui la Villa Reale fu spogliata di tutti gli arredi, a Montecristo fu installata una postazione militare italo-tedesca. Nel 1948, durante un'esercitazione militare, un bombardiere inglese precipitò sull'isola provocando la morte di tutti i sette occupanti. Nel 1949 la Direzione generale del Demanio diede in concessione l'isola ad un consorzio di cooperative di pescatori e affini, la Consorpesca. I diritti di gestione furono poi acquistati dalla società romana Oglasa nel 1953. Nel 1970 la stessa società creò il Montecristo Sporting Club per utenza di elevata condizione sociale, sfruttando la caccia d'inverno e il turismo d'estate. Successivamente a un'intensa campagna giornalistica, l'isola venne sottratta alla speculazione e il 4 marzo 1971 Montecristo fu dichiarata Riserva Naturale dello Stato con un decreto emanato dai Ministeri della Marina mercantile, delle Finanze e dell'Agricoltura e Foreste. Nel 1977 la Riserva Naturale fu inclusa nella Rete europea delle Riserve Biogenetiche del Consiglio d'Europa. Con decreti del Ministero della Marina del 1979 e del 1981 è stata anche istituita, sulle acque che circondano l'isola, una zona di tutela biologica per un raggio di 500 metri[17], poi aumentato ad 1 km. Il Tesoro di San MamilianoRisale al 2004 la scoperta di un tesoro di monete auree sotto l'altare della chiesa di San Mamiliano a Sovana, composto da 498 solidi in fior di zecca databili agli imperatori Leone I e Antemio, tra il 457 e il 474, quindi poco dopo la morte di Mamiliano. Leggende popolari e tradizioni orali ricordavano la presenza di un tesoro sotto l'altare del monastero di San Mamiliano a Montecristo, leggende che poi vennero riscritte da Alexandre Dumas nel celebre romanzo del Conte di Montecristo. Almeno due documenti antichi citano la memoria di un tesoro sull'isola: nel 1549 il Granduca di Toscana Cosimo I vi sconsigliava di fare ricerche per la presenza di pirati, mentre una spedizione dalla Corsica nel 1670 scovò solo «...alcuni pignatti e vasi pieni di cenere...».[8] Non appare quindi come un caso che un tesoro si trovasse effettivamente nella chiesa di San Mamiliano, non però in quella di Montecristo ma a Sovana in provincia di Grosseto. Le monete sono state ordinate nel museo di Sovana, inaugurato il 28 luglio 2012.[42] I fuochi di MontecristoL'antica usanza di accendere fuochi di segnalazione sulla vetta dell'isola, o nelle immediate vicinanze, è perdurata dal Medioevo sino a tempi relativamente recenti. In un testo del 1787 si legge che «...facendo fuoco Monte Cristo era segno di corsari barbareschi e di perdita di filuga.»[43] Nel 1875 Gaetano Chierici scrisse che «...per l'erta della costa che separa la Cala Maestra da quella di Santa Maria (...). S'accese l'alta catasta, che divampò rapidamente. Un istante dopo il chiarore d'una gran fiamma apparve di rimpetto: rispondevano al saluto quelli di Pianosa...».[44] Un'altra documentazione del 1877 riporta che «...nel caso in cui occorra domandare soccorso o, per altro imperioso bisogno, comunicare colla vicina Pianosa, sul far della notte vien acceso un gran fuoco sulle alture dell'isola...».[45] Sino ai primi decenni del XX secolo, i fuochi di Montecristo avevano una precisa classificazione: un fuoco corrispondeva a mancanza di viveri, due fuochi corrispondevano alla presenza di un ammalato, tre fuochi significavano il decesso di una persona. Altri fuochi venivano accesi presso le absidi delle chiese tirreniche per comunicare con il monastero di San Mamiliano; tale uso si perpetuò simbolicamente in Corsica sino alla metà del XX secolo presso la chiesa di San Mamiliano a Moriani.[8] La leggenda dell'acqua «maledetta»Secondo la tradizione popolare, la limpida acqua che scorre stagionalmente nel Fosso del Diavolo (settore nordoccidentale dell'isola) procurerebbe la morte non immediata di chi la beve.[46] Luoghi d'interesse
Guardiani di Montecristo
L'isola nella letteratura
Galleria d'immagini
Note
Bibliografia
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