Giove (in latinoIupiter o Iuppiter, accusativoIovem o Diespiter) è il Dio della religione romana e italica, i cui simboli sono il fulmine e il tuono. Presente nel culto di tutti i popoli italici[1], esso è per eccellenza la divinità del cielo e della luce, come dice il suo nome, derivato dalla radice indoeuropea*dyeu- ("sfolgorare, risplendere"): nome che ricorre in gran parte degli antichi dialetti indoeuropei, dato che il greco Zeus Patér (Ζεὺς Πατήρ) e l'indoarioDyauṣ Pitā (द्यौष् पिता) corrispondono all'italico Iuppiter/Diespiter. Col tempo, Giove assorbì tutti gli attributi dell'equivalente greco Zeus, fino a venire completamente identificato con esso. Tinia è un dio simile presente nella mitologia etrusca.
Al suo culto era consacrato il flamine maggiore, chiamato Flamine diale, il quale rivestiva una particolare importanza e sacralità in quanto quasi personificazione vivente di Giove, di cui celebrava i riti, godeva di grandi onori, ma, proprio per la sua funzione, era sottoposto a molteplici limitazioni e tabù, i più importanti dei quali erano che non poteva lasciare la città per più di un giorno, (questo limite fu portato da Augusto a due giorni) e non poteva dormire fuori dal proprio letto per più di tre notti.[senza fonte]
Questi sono gli epiteti conosciuti di Giove, secondo la lista compilata dallo storico svedese Carl Thulin e riportata dalla Paulys Realencyclopädie (1890), pagine 1142-1144. La sigla O. M. sta per Ottimo Massimo.
A questi va poi aggiunto anche l'epiteto di Vector[6] e Victor[7].
Gli amori di Giove
Gli amori di Giove sono per lo più una versione latina delle amanti e dei figli di Zeus; fanno eccezione alcuni nomi, come Circe, da cui avrebbe avuto Fauno, e Iarba, il re africano, che avrebbe avuto da una ninfa, Garamantide. Secondariamente si raccontava dei suoi amori con la figlia Venere, con cui generò Cupido.
Il futuro è sulle ginocchia di Giove - Espressione tratta da poemi omerici; usata talvolta per indicare che il futuro è sconosciuto agli uomini.
Piante consacrate a Giove
I Romani consacrarono l'albero del Noce a Giove: infatti il suo nome scientifico "Juglans regia", utilizzato ancora oggi, deriva dalla contrazione dell'espressione latina "Iovis glans" (ghianda di Giove) e dall'epiteto specifico "regia" che ne sottolinea l'importanza.
Nella cultura di massa
Giove viene citato da Caparezza nella canzone La caduta di Atlante ("Appena nato Giove m'ha regalato una biglia, zaffiro...")
^Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.11.
^Comune di Forlì, Epigrafia del villaggio. Segni dal Forlivese, Grafiche MDM, Forlì 1990. Come testimoniato dall'antico cippo di un tempio (dedicato a Giove, a Giunone e alle Parche) che sorgeva nella località di Monsignano di Predappio, presso Forlì.