Il territorio si estende su 580 km² ed è suddiviso in 44 parrocchie, raggruppate in 5 foranie.
Storia
L'attuale diocesi è frutto della piena unione stabilita nel 1986 di due antiche sedi episcopali: Alife, documentata a partire dalla fine del V secolo; e Caiazzo, istituita nel X secolo.
Alife
Incerte sono le origini della diocesi. Secondo la tradizione, essa risalirebbe all'epoca apostolica, essendo stata fondata da san Pietro il primo ad annunciare il vangelo ad Alife; per altri autori, invece, l'istituzione della diocesi è di epoca costantiniana. Allo stato attuale delle ricerche archeologiche «sono veramente pochi gli elementi certi sui quali basare una ricostruzione attendibile del processo di cristianizzazione» del territorio.[3]
La prima menzione della diocesi è la presenza del vescovo Claro al concilio romano indetto da papa Simmaco nel 499, dove furono stabilite norme per l'elezione del vescovo di Roma dopo la doppia elezione di Simmaco e di Lorenzo dell'autunno precedente. Si propone inoltre di identificare questo Claro con il vescovo omonimo, ma senza indicazione della sede di appartenenza, che prese parte al concilio celebrato da papa Gelasio I il 13 maggio 495.[4] Un'antica epigrafe funeraria riporta il nome del vescovo Severo; incerta è la datazione del manufatto, per il quale è stato proposto un periodo compreso tra la fine del IV secolo e la fine del V.[5]
Dopo questi due vescovi non si hanno più notizie di vescovi alifani per quasi cinque secoli. Nell'876, un'incursione di Saraceni distrusse l'intera città compresa l'antica cattedrale di Santa Maria, situata presso le Mura Romane (all'angolo tra le odierne Porta Romana e Porta Piedimonte) e della quale erano visibili i ruderi fino ai primi decenni del XX secolo.
Il primo vescovo noto di questa seconda fase della vita della diocesi è Paolo documentato dal 982 al 985. Nella cripta della nuova cattedrale, in diverse epigrafi ivi traslate probabilmente dalla precedente chiesa, sono ricordati i nomi dei vescovi a partire dall'inizio dell'XI secolo con i nomi latinizzati di Gosfridus, Vitus e Arechis.
Nella seconda metà del secolo, la famiglia normanna Drengot Quarrel conquistò il territorio alifano e l'episcopato acquistò notevole importanza. Nel 1131 secondo Rainulfo, conte di Alife, Caiazzo e Sant'Agata de' Goti, chiese e ottenne dall'antipapa Anacleto II le reliquie di San Sisto I papa e martire, divenuto poi protettore della città e della diocesi. A lui fu dedicata la cattedrale, che nel corso dei secoli ha subito numerose trasformazioni e ricostruzioni e attualmente è dedicata a Santa Maria Assunta.
I vescovi del XII secolo noti in storiografia sono Roberto, Pietro, Baldovino e Landolfo. Altre figure di vescovi che emersero durante il medioevo furono: Alferio de Alferis, eletto vescovo nel 1252 e trasferito nel 1254 a Viterbo; e (della stessa famiglia) Giovanni de Alferis, grazie al quale fu salvato il prezioso manoscritto Gli arcani historici, dello zio Niccolò Alunno, gran consigliere del re Ladislao.
Nel febbraio 1417 il vescovo Angelo Sanfelice emanò decreti per la disciplina del clero e contestualmente «segnalò la gravità della condizione del clero locale dedito al gioco e al vino, simoniaco e concubinario, sacrilego e rissoso».[7]
A partire dal XVI secolo la città di Alife visse un periodo di declino, a causa prima del terremoto del 1456, poi per la distruzione della città ad opera delle truppe spagnole di Filippo II nel 1561; per questi motivi i vescovi iniziarono a risiedere sempre più stabilmente a Piedimonte d'Alife, a partire da Diego Gilberto Nogueras (1561-1566).
Dopo il concilio di Trento, i vescovi cercarono di applicare in diocesi i decreti di riforma, ma questi loro tentativi si scontrarono con i privilegi acquisiti del clero alifano e gli interessi dei signori locali. Gli scontri furono sempre frequenti e in alcuni momenti drammatici, come nel caso del vescovo Domenico Caracciolo, ucciso a fucilate la notte tra il 14 e il 15 ottobre 1675.
«Notevolissima nella prima parte del XVII secolo è la figura di monsignor Pietro Paolo de' Medici (1639- 1656), impegnato nella formazione del clero e nella catechesi dei fedeli, anche attraverso opere di edilizia sacra e di assistenza».[7] Il 10 giugno 1651 fondò il seminario diocesano a Castello d'Alife, grazie all'eredità di un munifico benefattore; successivamente, il vescovo Giuseppe de Lazzara (1676-1702) lo trasferì nell'attuale sede di Piedimonte.
Il 27 giugno 1818papa Pio VII soppresse la diocesi di Alife con la bolla De utiliori unendone il territorio a quello della diocesi di Telese; la diocesi alifana tuttavia fu ripristinata il 14 dicembre 1820 con la bolla Adorandi dello stesso papa, che la unì aeque principaliter alla diocesi di Telese; l'unione ebbe effetto solo alla morte del vescovo Emilio Gentile il 24 febbraio 1822.
Il 6 luglio 1852, con la bolla Compertum nobis di papa Pio IX, ebbe termine l'unione con Telese, e Gennaro Di Giacomo, già vescovo delle sedi unite, optò per Alife ponendo la sua sede, come avevano fatto i suoi predecessori, a Piedimonte.
«Particolarmente singolare è la figura del vescovo Gennaro Di Giacomo negli anni dell'unificazione italiana, le cui operazioni militari toccarono direttamente la diocesi di Alife. Monsignor Di Giacomo offrì diretta collaborazione al nuovo Regno d'Italia tanto da essere ricevuto, primo vescovo del Meridione, da Vittorio Emanuele II che nel 1863 lo nominò senatore del regno. I suoi interventi parlamentari e le posizioni nazionaliste assunte provocarono la richiesta di rinunzia da parte della Santa Sede e il divieto a risiedere in diocesi.»[7]
Nel corso del XX secolo si distinse la figura del vescovo Luigi Novello, all'epoca dell'occupazione tedesca; seguito da Virginio Dondeo, che si impegnò nella ricostruzione spirituale e morale della diocesi, poi vescovo di Orvieto, e Raffaele Pellecchia, divenuto in seguito arcivescovo coadiutore di Sorrento, che partecipò al concilio Vaticano II.
Secondo un'antica leggenda popolare, l'evangelizzazione della città di Caiazzo sarebbe stata opera dell'apostoloPietro o di San Prisco, uno dei settanta discepoli, che ne sarebbe stato anche il primo vescovo. La leggenda si collegherebbe al viaggio che fece San Pietro da Napoli per raggiungere Roma e si appoggia sui resti di un antico tempio sotterraneo ritrovati sotto la settecentesca chiesa parrocchiale di San Pietro del Franco. Secondo altre tradizioni il primo vescovo caiatino sarebbe stato Arigisio, vissuto in epoca incerta.[8]
Il primo vescovo storicamente documentato è Orso, menzionato in un diploma di Giovanni di Capua del 966 circa, nel quale il metropolita capuano delimitò i confini della diocesi di Caiazzo. Alla sua morte, l'arcivescovo Gerberto e il principe di CapuaPandolfo Testadiferro elessero Stefano Minicillo, già rettore della chiesa del Santissimo Salvatore Maggiore in Capua. Fu lo stesso arcivescovo metropolita a consacrarlo vescovo: il 1º novembre 979, con atto pubblico e solenne, Gerberto riconfermò i confini della diocesi di Caiazzo, affidata all'eletto e consacrato vescovo Stefano, al quale dava particolari indicazioni riguardanti la sua missione episcopale in quella terra. La bolla del 1º novembre è stato un vero e proprio atto di costituzione ufficiale della diocesi di Caiazzo per apostolicam istitutionem suo archepiscopatui subiecta.[9]
Dopo Stefano Minicillo si possono ricordare: san Ferdinando d'Aragona di origine spagnola, che fu vescovo dal 1070 al 1082; Costantino, documentato sul finire dell'XI secolo in occasione della traslazione delle reliquie di san Menna, il cui racconto da le prime informazioni sulla cattedrale caiatina; Stazio, che nel 1133 ricevette da papa Innocenzo II una bolla di conferma dei suoi privilegi e dei suoi diritti sulla diocesi; Guglielmo I, che nel 1166 circa fu deposto da papa Alessandro III per simonia; Guglielmo II, che prese parte al concilio lateranense del 1179; Doferio, trasferito nel 1189 sulla cattedra arcivescovile di Bari.
«Nel Quattrocento, in sincronia con l'apogeo del feudo di Caiazzo, la diocesi conobbe un periodo caratterizzato da vescovi di grande rilievo. Il successivo decadimento di importanza feudale di Caiazzo coincise con nomie vescovili di prelati appartenenti a famiglie nobili sempre meno in vista, rispetto alle vicende complessive del Regno di Napoli. Oratio Acquaviva d'Aragona e Paolo Filomarino furono gli ultimi vescovi ad essere rampolli di grandi stirpi.»[10]
Nel corso del XVII secolo è da ricordare il vescovo Filippo Benedetto (1623-1641) sia per le sue doti di pastore che per aver fatto costruire a sue spese le mura cittadine; a lui si deve anche il restauro e l'ampliamento del seminario, restaurato ulteriormente da Giacomo Falconi nel 1721.
L'arcivescovo di Capua, Francesco Serra-Cassano, cercò di ripristinare l'antica sede; nell'agosto 1831, infatti, i fedeli di Caiazzo ricorsero al re di NapoliFerdinando II per il ripristino della loro soppressa diocesi. Il sovrano reputò giusto rivolgersi all'arcivescovo metropolita di Capua, il solo competente per risolvere la delicata questione. Francesco Serra-Cassano, dopo un mese dalla sua creazione a cardinale, prese molto a cuore la questione e con molta determinazione trattò con la Sede Apostolica per ben diciotto anni. Il 16 dicembre 1849, con la bolla Si semper optandum, papa Pio IX ristabilì la diocesi di Caiazzo, dichiarandola suffraganea dell'arcidiocesi di Capua. Con la stessa bolla, papa Pio IX nominò amministratore apostolico della diocesi di Caiazzo l'arcivescovo capuano, che di impegnò a corrispondere al vescovo di Caserta una pensione annua di 3000 ducati. Serra-Cassano prese possesso canonico come amministratore apostolico il 13 gennaio 1850.[11]
Due anni dopo, il 15 marzo 1852, fu nominato il primo vescovo della restaurata diocesi, il sessantaquattrenne Gabriele Ventriglia, già vescovo di Crotone ed originario di Curti, il quale era stato consacrato vescovo dallo stesso cardinale Serra-Cassano nella cattedrale di Capua il 24 giugno 1849.
In tempi recenti la figura Nicola Maria Di Girolamo, vescovo dal 1922 al 1963, ebbe un grande impatto nella diocesi di Caiazzo, il suo episcopato coprì il difficile periodo della Seconda guerra mondiale; fece celebrare due sinodi e due congressi eucaristici, l'ultimo dei quali nel 1935 coincise con il millenario della nascita di Santo Stefano. Prima di morire Di Girolamo partecipò anche alle prime sessioni del concilio Vaticano II. Dopo la sua morte, nel 1963, per quindici anni la diocesi fu affidata in amministrazione apostolica all'arcivescovo di Capua Tommaso Leonetti.
Fra gli anni Sessanta e Settanta del XX secolo le due diocesi rimasero a lungo vacanti, fino all'8 aprile 1978 quando Angelo Campagna fu nominato, con due bolle distinte[13], vescovo di entrambe le sedi, che furono così unite in persona episcopi.
Il 30 settembre 1986, in forza del decreto Instantibus votis della Congregazione per i vescovi, le due sedi di Alife e Caiazzo sono state unite con la formula plena unione e la circoscrizione ecclesiastica ha assunto il nome attuale.
Nel mese di ottobre 2016 hanno preso il via le prime fasi del sinodo diocesano, il primo da quando le due diocesi sono state unite; il sinodo si è chiuso nel mese di settembre 2017.
^Federico Marazzi, La cristianizzazione di Alife, in Stefania Capini, Patrizia Curci e Maria Romana Picuti, Fana, templa, delubra. Corpus dei luoghi di culto dell'Italia antica. Vol. III. Regio IV: Alife, Bojano, Sepino, Parigi, 2015.
^ab(FR) Charles Pietri, Luce Pietri (ed.), Prosopographie chrétienne du Bas-Empire. 2. Prosopographie de l'Italie chrétienne (313-604), École française de Rome, vol. I, Roma, 1999, pp. 444-445.
^A. Parma, Severus, un misconosciuto vescovo di Allifae: sulle tormentate vicende dell'edizione di CIL IX, 2332, in AION, 11-12, 2004-2005, pp. 9-12.
^Caiola, Di Lorenzo, Sparano, La diocesi di Caiazzo: storia in età tardo medievale e moderna…, p. 46.
^Felice Provvisto, Il Cardinale Francesco Serra di Cassano e una sua lettera in difesa della Chiesa di Capua, in Studi in onore di Mons. Luigi Diligenza, a cura di Antonio Ianniello, Aversa, ed. Fabozzi, 1989, pp. 231-234.
^Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, serie generale, nº 244, 20 ottobre 1986, pp. 4-5. In questo numero della Gazzetta Ufficiale è contenuto l'elenco delle 25 parrocchie della diocesi che ottennero la qualifica di "ente ecclesiastico civilmente riconosciuto" dal Ministero dell'Interno, in forza della Legge 20 maggio 1985 n. 222, art. 29. Tale qualifica fu concessa con decreto ministeriale dell'11 ottobre 1986 su richiesta del vescovo di Caiazzo del 13 settembre precedente.
^Dopo Claro, Francesco Saverio Finelli (Città di Alife e diocesi, Cenni storici, Scafati, 1928) inserisce alcuni vescovi ignoti a tutti gli altri autori e di dubbia autenticità: tre anonimi al 750, 770 e 865, Paolo al 779 e Leone al 978. In particolare Leone non fu vescovo di Alife, ma di Sora (Hans-Walter Klewitz, Zur geschichte der bistums organization Campaniens und Apuliensim 10. und 11. Jahrhundert, in Quellen und Forschungen aus italienischen archiven und bibliotheken, XXIV (1932-33), pp. 44-45). Su Paolo, Finelli sbaglia la datazione del diploma e il vescovo documentato non è dell'VIII, ma del X secolo. Secondo Marrocco, i tre anonimi sono da escludere, perché si presuppone la loro esistenza in occasione di eventi storici legati ad Alife; ma in realtà nessun documento coevo li nomina.
^abKlewitz, Zur geschichte der bistums organization Campaniens und Apuliensim…, p. 45.
^Questo vescovo è documentato da un'epigrafe sulla cui autenticità Klewitz si mostra dubbioso; inserito dai diversi autori prima o dopo Arechi.
^Incerta è l'attestazione di questo vescovo per il 1061, quando avrebbe preso parte al concilio provinciale indetto dal metropolita Uldarico di Benevento; la bolla rilasciata dal concilio non menziona affatto il vescovo Arechi (Italia sacra, X, seconda parte, coll. 507-509) e secondo Kehr e altri autori l'elenco delle diocesi ivi menzionate è frutto di un'interpolazione successiva (Kehr, Italia pontificia, IX, p. 84 nº 7; Klewitz, Zur geschichte der bistums organization Campaniens und Apuliensim…, p. 14, nota 2).
^Kehr, Italia pontificia, IX, p. 114. Questo vescovo, come riferisce Kehr, è documentato in due soli diplomi del 1098 e 1100. L'autore non conosce nessun altro vescovo Roberto.
^Di questo vescovo, menzionato da Finelli (Città di Alife e diocesi, Cenni storici) che gli attribuisce le date 1126-1142, tacciono tutti gli autori. Secondo Finelli, Roberto è menzionato in una lettera di papa Onorio II (1124-1130); in realtà, come documentano Kehr e Kamp, la lettera era di papa Onorio III (1216-1227) e il nome di Roberto non appare. Marrocco ritiene che si tratti di un solo vescovo di nome Roberto, documentato dal 1098 al 1039.
^Prima di Orso, Ughelli cita il vescovo Gisulfo nel 776, che tuttavia non fu vescovo di Caiazzo (Caiatia), ma di Galazia (Calatia). Regii Neapolitani archivi monumenta. Documenti del regio archivio napoletano, II edizione con testi tradotti a cura di Giacinto Libertini, vol. II (948-980), Istituto di Studi Atellani, 2011, p. 216.
^Ughelli (Italia sacra, vol. VI, col. 445) inserisce il vescovo Giacinto, documentato nel 1024, dopo san Ferdinando d'Aragona. Coletti, continuatore di Ughelli e autore del volume X dell'Italia sacra, aggiunge che un Giacinto episcopus Calatinus è documentato in un diploma di Gerardo di Isernia del 1047 (Italia sacra, X, col. 222). Anche Giacinto fu un vescovo di Galazia e non di Caiazzo (Regii Neapolitani archivi monumenta. Documenti del regio archivio napoletano, p. 217).
^Kehr, Italia pontificia, VIII, p. 272, nº 2, nota.
^Vescovo inserito da Ughelli (Italia sacra, VI, col. 446) al 1109 senza alcun riferimento documentario o biografico: Thomas anno 1109 vivebat.
^Kehr, Italia pontificia, VIII, p. 272, nº 3, nota.
^abcdefgKamp, Kirche und Monarchie…, vol. I, pp. 151–156.
^Norbert Kamp, v. Doferio, Dizionario biografico degli italiani, vol. 40, 1991. Doferio fu eletto dal capitolo della cattedrale di Bari tra ottobre 1188 e maggio 1189, e confermato dalla Santa Sede nel corso del 1189.
(DE) Norbert Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien. Prosopographische Grundlegung. Bistümer und Bischöfe des Königreichs 1194-1266. 1. Abruzzen und Kampanien, München, 1973, pp. 217–222
(LA, IT) Bolla Adorandi, in Collezione degli atti emanati dopo la pubblicazione del Concordato dell'anno 1818, parte III, Napoli, 1830, pp. 31–43
(LA, IT) Bolla Compertum nobis, in Collezione degli atti emanati dopo la pubblicazione del Concordato dell'anno 1818, parte XIII, Napoli, 1854, pp. 134–156
(DE) Norbert Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien. Prosopographische Grundlegung. Bistümer und Bischöfe des Königreichs 1194-1266. 1. Abruzzen und Kampanien, München, 1973, pp. 151–156
(LA, IT) Bolla Si semper optandum, in Collezione degli atti emanati dopo la pubblicazione del Concordato dell'anno 1818, parte XII, Napoli, 1852, pp. 125–147