Di tale evento esistono varie versioni[3] (almeno quattro[4]), a partire dalla datazione: rivelato solamente[5] il 5 settembre1973[5][2], probabilmente fu oggetto di una postdatazione[5].
L'azione fu sventata in extremis da agenti dei servizi segreti italiani che, dopo una soffiata ricevuta da quelli israeliani del Mossad, ufficialmente il 5 settembre 1973[5], facendo irruzione in un appartamento situato nella località del litorale romano, arrestarono 5 terroristi palestinesi[10].
Il 12 ottobre1973, dopo aver rinviato ad una descrizione della reazione di una delle organizzazioni palestinesi agli arresti, un «appunto» battuto a macchina - presumibilmente indirizzato dal servizio segreto dell'epoca al presidente del consiglio Mariano Rumor - confermava la necessità di intensificare ulteriormente: "l’attività di vigilanza presso i probabili obiettivi, con particolare riguardo per gli aeroporti ed i porti (la sottolineatura è del dattiloscritto, ndr); l’azione di controllo nei riguardi degli stranieri appartenenti ai Paesi direttamente interessati all’attuale conflitto arabo-israeliano; la ricerca informativa tendente a prevenire lo sviluppo dell’attività terroristica in argomento"[15]. Il testo, che "avrebbe dovuto far alzare il livello di guardia negli scali aerei del nostro Paese", fu diramato "due mesi e sei giorni prima della strage che sarebbe stata compiuta da un commando di fedayn arabi nell’aeroporto più grande d’Italia, Fiumicino"[15].
Per gli altri tre terroristi fu fissato il processo al 17 dicembre1973, dando a tale data ampio risalto anche sulla stampa; lo stesso giorno verrà compiuta una strage all'aeroporto di Fiumicino da parte di estremisti palestinesi che, distruggendo un aereo e dirottandone un altro, uccisero 34 persone e causarono il ferimento di altre 15.
Nel marzo 1974[19] furono liberati anche i restanti tre estremisti arabi. Dopo un rinvio a giudizio disposto il 14 dicembre 1973, i cinque – con sentenza del 27 febbraio 1974 – erano stati comunque ritenuti responsabili dei reati di introduzione, detenzione e traffico di armi da guerra e relativo munizionamento allo scopo di eseguire una strage e condannati alla pena di anni 5 e mesi due di reclusione ciascuno[5].
Note
^abCfr. a p. 45 in Alberto La Volpe, Diario segreto di Nemer Hammad, ambasciatore di Arafat in Italia, Editori Riuniti, 2002.
^Amin el-Hindi, per quattro anni capo degli studenti palestinesi in Italia, risulterà poi essere il numero due dei servizi di sicurezza di al-Fatah e braccio destro di Abu Ayad. Cfr. in Tribunale di Roma, Sezione settima penale, Procedimento penale n. 5137/73 R.G., Sentenza di primo grado contro Mahmoud Nabil Mohamad Azmi Kanj et al., 27 febbraio 1974.
^Ali al-Tayeb al-Fergani risulterà essere Atif Busaysu «stretto associato di grado elevato di Salah Khalaf alias Abu Ayad». Cfr. in Tribunale civile e penale di Venezia, Procedimento penale n. 318/87A G.I. contro Zvi Zamir ed altri (Argo 16), Sentenza-ordinanza emessa il 10 dicembre 1998 dal giudice istruttore Carlo Mastelloni, Appunto Sid del 25 ottobre 1973.
^Li chiamò direttamente "libici" Tullio Ancora, nel corso dell'audizione in Commissione bicamerale Terrorismo e stragi il 10 febbraio 1999, facendo riferimento ad una lettera di Aldo Moro dalla prigionia: "credo che nella lettera a Pennacchini - che io naturalmente non lessi- c'era il ricordo dei libici. Pennacchini doveva essere addentro a quella vicenda; era sottosegretario, non era nei servizi segreti. Fece andare via i libici purché non facessero una strage".
Fulvio Martini, Nome in codice: Ulisse. Trent'anni di storia italiana nelle memorie di un protagonista dei servizi segreti, Milano, Rizzoli, 1999, ISBN 88-17-86096-4 (I ed.); ISBN 88-17-86505-2 (II ed.).