Antonio BardellinoAntonio Bardellino (San Cipriano d'Aversa, 4 maggio 1945 – Armação dos Búzios, 26 maggio 1988[1]) è stato un criminale italiano, fondatore e capo storico tra gli anni settanta e anni ottanta del XX secolo del clan dei Casalesi. Capo temuto e rispettato (una delle poche figure criminali a non avere un soprannome) intorno al quale per quasi un decennio si mosse unita una federazione di famiglie (Schiavone, Bidognetti, Zagaria, Beneduce, Iovine) radicata in un territorio che andava dal basso Lazio passando per l'agro aversano fino ad arrivare nel napoletano. Figura inoltre come uno dei capi del cartello di Nuova Famiglia (N. F.) fondato alla fine degli anni '70 nato per contrastare la Nuova Camorra di Raffaele Cutolo. Fu amico di Tommaso Buscetta col quale diventò socio in affari. BiografiaLe origini e i primi passi nel crimineOriginario di San Cipriano d'Aversa nel Casertano, svolgeva ufficialmente attività di carrozziere, per poi dedicarsi alle rapine, in particolare a quelle dei TIR e ai furti sui treni merci. Nel 1977 compie il suo primo omicidio uccidendo tale Dante Pagano, colpevole di averlo minacciato. Entrato in contatto con il clan Nuvoletta di Marano di Napoli, di cui costituì nel 1977 il braccio armato. Venne affiliato a "Cosa Nostra" da Rosario Riccobono presso la masseria dei fratelli Lorenzo e Ciro Nuvoletta a Marano di Napoli. Divenne gradualmente il più importante esponente della camorra del casertano, tenendo contatti con la politica e col mondo del lavoro. La creazione e l'affermazione del Clan dei CasalesiCiò che spinge a ritenere Antonio Bardellino l'iniziatore delle vicende del sodalizio camorristico di Casal di Principe e San Cipriano d'Aversa è la trasformazione da lui attuata al modo di agire del clan, verosimilmente tra gli anni 1970 e 1980. I rituali di affiliazione rimasero, come pure gli omicidi, ma il salto di qualità fu rappresentato dalla continua infiltrazione nell'economia legale dei capitali provenienti dai traffici illeciti; inoltre il riciclaggio del denaro delle attività criminali venne poi favorito dalla straordinarietà di alcuni eventi, come il terremoto dell'Irpinia del 1980 e la successiva ricostruzione (affare che spinse le famiglie a creare sia i consorzi per la produzione del calcestruzzo sia le ditte esecutrici dei lavori). Bardellino era inoltre titolare insieme ad altri membri dell'organizzazione di una ditta di import/export di farina di pesce, che in realtà nascondeva un grande traffico di cocaina dal sud America all'Italia gestito da Alberto Beneduce, il suo braccio destro negli affari di droga. Dopo la faida tra Nuova Camorra Organizzata e Nuova Famiglia si crearono dei contrasti all'interno di quest'ultima, in particolare tra Bardellino e i Nuvoletta. Il boss casertano aveva avuto ordine dai Nuvoletta su mandato di Riina di uccidere Buscetta[2], circostanza che non portò a termine in quanto era molto amico del boss siciliano (condividevano lo stesso villino in Brasile durante la latitanza) e non accettava, oltre a non fidarsi, la supremazia dei fratelli Nuvoletta con l'interferenza dei siciliani.[3] Arrestato in Spagna, venne scarcerato grazie all'opera di Gaetano Badalamenti, che pagò oltre 500 milioni di lire per corrompere i giudici spagnoli e farlo evadere dalla prigione di Madrid nel 1983.[4] Successivamente prese a trascorrere più tempo all'estero e in particolare in sud America (Brasile, Santo Domingo) che in Italia. Anche lo scontro con i Nuvoletta si risolse a suo favore; si rese protagonista dell'attacco alla masseria di Marano di Napoli, nel quale rimase ucciso uno dei fratelli Nuvoletta[5]ed anche un'imbianchino innocente, il 28enne Salvatore Squillace. Mentre era all'estero condivise il progetto di espandersi in Torre Annunziata, città nevralgica per i suoi affari illeciti, che si esplicò nella strage al Circolo dei Pescatori che vide la morte di alcuni affiliati del clan Gionta, alleato dei Nuvoletta. Questa ulteriore vittoria permise ad Antonio Bardellino di estendere il suo dominio alla quasi totalità della zona delle province di Caserta e Napoli. Il boss, latitante ricercato dall'Interpol, riusciva a esercitare la sua forza criminale verso l'esterno senza ostacoli; ma la sua condanna arrivò da dissidi interni al gruppo d'origine. I capi degli altri clan non accettarono più il suo strapotere, e i trattamenti di favore riservati ai suoi parenti, e per eliminarlo utilizzarono Mario Iovine, il cui fratello era stato ucciso su ordine di Bardellino. La latitanza in Brasile e la presunta la morteAntonio Bardellino, secondo le versioni ufficiali, sarebbe stato assassinato nel 1988 in Brasile, dopo essersi ivi rifugiato, nel suo villino a Buzios, località vicina a Rio de Janeiro,[6][7], e il suo assassino, Mario Iovine, sarebbe stato a sua volta ucciso in Portogallo nel 1991.[8] La circostanza, tuttavia, non è mai stata acclarata, poiché il corpo del boss non venne mai ritrovato, ed inoltre non vi è stato alcun processo sulla sua morte.[9][10] Le tesi sull'omicidioLe testimonianze a riguardoLa scomparsa del padrino di San Cipriano d'Aversa, che negli anni ottanta aveva iniziato a organizzare il clan dei Casalesi, allevando quelli che poi sarebbero diventati i suoi futuri esponenti di maggior spicco, a cominciare da Francesco Schiavone, che di Bardellino era stato l'autista, non è ancora stara chiarita del tutto. Diversi collaboratori di giustizia parlarono della morte di Bardellino. Le ipotesi principali ed ufficiali fanno direttamente riferimento a Mario Iovine o da persone a lui vicine, ma tutt'oggi non esiste una versione che possa essere considerata attendibile. L'ex direttore dei SISMI, Cesare Pucci, dichiarò nel 1993 in commissione Antimafia, aveva riferito dell'assenza di elementi validi per fornire una risposta esauriente.[11] Anche Tommaso Buscetta, manifestò perplessità sulla morte di Bardellino infatti nel 1993, rispondendo a una domanda di un magistrato, aveva detto: “E chi lo ha deciso che Bardellino è morto?". Siffatte circostanze o alimentato, e tuttora alimentano la leggenda di una morte fasulla, una messinscena creata per permettere a Bardellino di lasciare il potere nelle mani degli altri gruppi dei "casalesi", in cambio della sopravvivenza dei suoi familiari. Questi, dopo la diffusione della notizia della morte del loro congiunto, lasciarono le loro abitazioni, e i propri paesi d'origine, per rifugiarsi a Formia[12][13]. Nel 2014, l'ex boss e ora collaboratore di giustizia Antonio Iovine ha dichiarato di essere certo della morte di Bardellino.[14][15][16] La dichiarazione di morte presunta e gli sviluppi successiviI dubbi sulla sua morte non sono mai stati fugati completamente; nel 2016 alcune intercettazioni telefoniche di Silvio Bardellino, fratello di Antonio, avevano già dato adito nuovamente alla possibilità che il boss fosse ancora vivo per via di alcune frasi ambigue pronunciate al nipote Gustavo.[17] Il Tribunale di Napoli Nord ne ha dichiarato la morte presunta il 14 giugno 2018. La data del decesso è stata stabilita al 31 maggio 1988[18][19] Nel 2023 è stato scoperto un certificato di nascita presentato all'anagrafe della città di Formia, riguardante un'altra figlia della vedova di Bardellino nata nel 2003 a cui era stato imposto tale cognome in quanto nata dall'unione della donna con un tale Marco Bardellino Diana, di cui però non si è riusciti a dimostrare l'esistenza alimentando nuovamente l'ipotesi che il boss potesse aver in realtà inscenato la sua morte per tirarsi fuori dagli affari e continuasse a vivere con la sua famiglia con una falsa identità[13][20][21]. Le dichiarazioni sul boss«Dopo un summit è uscito da un palazzo circondato da otto guardaspalle ed è fuggito a bordo di una 127 blindata. Sono onori che non vanno dati a chiunque» «Antonio Bardellino, posso dirlo con la convinzione di non essere frainteso, è stato uno dei pochi se non l'unico boss "gentiluomo" esistente in Italia, non amava le carneficine, era l'ultimo padrino vecchio stampo» «I rapporti con i casalesi erano strettissimi, eravamo due anime in un solo corpo e riponevamo, proprio nel Bardellino, un'ammirazione sconfinata, riconoscendogli un'indubbia posizione di supremazia davanti a tutti noi» «Fino al 1981 i rapporti fra Carmine Alfieri e Lorenzo Nuvoletta erano di stretta alleanza, unitamente ad Antonio Bardellino, che io considero una delle figure più rappresentative della Camorra campana, un uomo di grande coraggio e rispettoso delle regole» «Era sottinteso che io avrei dovuto prendere consiglio, per eventuali decisioni importanti, o dai Nuvoletta o da Antonio Bardellino» «Bardellino in quell'occasione mi disse: "È giunto il momento: ci andiamo a suicidare sopra casa dei Nuvoletta"» «Dottore, non mortificate Bardellino, io non potevo dargli consigli, avrei solo espresso un parere, io non potevo dirgli proprio niente, davanti a lui mi toglievo tanto di cappello, era un grande campano» «È già scontato che Bardellino è morto? Non mi risulta, ma non credo che sia morto» Note
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