La letteratura siriaca è la letteratura scritta in lingua siriaca, ovvero la principale tra le varianti orientali e cristiane[1] della lingua aramaica nella sua fase media (ca. II secolo a.C. - XII secolo d.C.), parlata e scritta dal popolo dei Siri o Assiri, discendenti degli antichi Aramei.
Questi "Siri" o "Assiri" non vanno confusi con l'antica civiltà assira che popolò l'Assiria nel II e nel I millennio a.C.
La lingua siriaca classica standard venne basata sulla parlata della città sira di Edessa (oggi Şanlıurfa, nell'attuale Turchia).
Questa letteratura venne scritta quasi del tutto con un proprio alfabeto, l'alfabeto siriaco, variante degli alfabeti aramaici.
La grande maggioranza delle opere, soprattutto di quelle originali, ha un contenuto religiosocristiano;
tanto da rappresentare la letteratura più importante, sia per l'estensione che per il contenuto, dell'antico Oriente cristiano[2].
Diatessaron (in greco: "Attraverso i quattro"), traduzione e sintesi dei quattro Vangeli in un unico racconto, scritto da Taziano il Siro nel II secolo e usato per oltre due secoli come versione ufficiale[5]
Vetus Syra (Vecchia siriaca), della quale sono sopravvissute soltanto due traduzioni dei quattro Vangeli:
Tra la seconda metà del II secolo e l'inizio del III spicca la figura dello scrittore e filosofoBardesane di Edessa (154-222), considerato il vero fondatore della letteratura siriaca. Forse identica ad un altro scritto di cui ci è rimasto soltanto il nome (Dialogo sul Fato), l'opera Libro delle Leggi dei Paesi[12], proveniente dalla Scuola di pensiero di Bardesane a Edessa anche se scritta dal suo discepolo Filippo, è la più antica opera letteraria in siriaco che si conosca, eccettuate alcune delle succitate traduzioni dalla Bibbia; e una delle migliori tanto nello stile quanto nella composizione concettuale.
La separazione tra le due Chiese portò alla formazione di due letterature parallele, con posizioni divergenti riguardo alla Definizione di Gesù Cristo. Ciò ebbe ripercussioni persino nella scrittura del siriaco, in quanto il tradizionale alfabeto "estrànghelo" si evolse nel nuovo alfabeto "serto" ("linea") o "maronita" o "giacobita" (da Giacomo Baradeo) nelle Chiese occidentali, e nell'alfabeto "madnhaya" ("orientale") o "nestoriano" in quelle orientali. Invece non subì conseguenze la qualità letteraria.
A questo periodo appartengono anche molte eccellenti traduzioni dal greco (Romanzo di Alessandro, Aristotele, Ippocrate, Galeno, Plutarco, e altri). In siriaco conserviamo molta letteratura sapienzale scritta originalmente in lingua pahlavi (la lingua persiana dell'epoca) che è andata perduta nella lingua originale o di provenienza (ad esempio Calila e Dimna). Le traduzioni dei testi filosofici greci cominciarono all'inizio del VI secolo con le versioni dei primi libri dello Organon di Aristotele[23], e continuarono nel corso del secolo e oltre con le traduzioni e i commenti di Proba, Sergio di Reshaina, Paolo il Persiano[24] e Severo Sebokht, quest'ultimo sia traduttore che autore tanto di testi filosofici quanto scientifici, soprattutto di astronomia. Importanti anche le traduzioni anonime del filosofo greco Temistio[25].
Intanto la gente comune, compresi i cristiani, assimilava gradualmente la lingua dei nuovi dominatori. Questa progressiva sostituzione della lingua, con il passare dei secoli, porterà alla formazione di una letteratura sira di contenuto cristiano ma in lingua araba[34]. Queste comunità sire arabo-cristiane scrissero spesso l'arabo con un adattamento dell'alfabeto siriaco, denominato Garshuni.
In Mesopotamia e Persia, soggette all'impero persiano ma anch'esse conquistate dagli arabi (651) e sulla via di una graduale islamizzazione, i nestoriani si riorganizzarono e pubblicarono una nuova sistematizzazione del proprio pensiero nel Synodicon orientale, scritto tra il 775 e il 790.
Le traduzioni dei filosofi greci continuarono in questi due secoli con le opere dei teologi e filosofi Attanasio di Balad, Giorgio delle Nazioni e il già citato Giacobbe di Edessa. Queste versioni, molte delle quali tradotte in seguito in arabo, furono essenziali per trasmettere agli arabi il sapere del mondo greco[34].
Le traduzioni teologiche dal greco ebbero come protagonista Paolo di Edessa, che tradusse in siriaco opere di Severo di Antiochia, Gregorio Nazianzeno ed altri. Teofilo bar Toma di Edessa (m. 785) tradusse dal greco l'Iliade e l'Odissea di Omero, oltre ad avere scritto testi di astronomia[35].
L'età d'argento (dal IX al XIII secolo)
Le lettere siriache entrarono nell'età d'argento all'incirca dal IX secolo. Le opere di questo periodo furono più enciclopediche e, in senso lato, scolastiche[36].
Il massimo personaggio di questa epoca fu, nel XIII secolo, il poliedrico e versatile Gregorio Barebreo, che scrisse sia opere religiose che profane.
A conclusione del periodo "classico" troviamo Abdisho bar Berika, metropolita di Nisibi († 1318), che ha lasciato: un trattato sui dogmi chiamato Marganitha, opere sul diritto canonico, cinquanta omelie di argomento teologico, ed un prezioso Catalogo metrico dei poeti, soprattutto nestoriani.
Le invasioni mongole e l'età moderna
In seguito alle invasioni mongole della Siria (XIII secolo) e alla conversione dei Mongoli all'Islam iniziò un periodo di regresso e di ristrettezze per la cultura siriaca. Ciononostante essa non è mai morta. Dal XIV secolo ai giorni nostri si è assistito ad una fioritura letteraria "neo-siriaca" costituita da una duplice tradizione: da una lato viene continuata la tradizione della letteratura "siriaca classica" del passato; dall'altro vengono utilizzate le meno omogenee lingue colloquiali moderne parlate dalle comunità di religione cristiana. La prima di queste fioriture del "neo-siriaco" fu la letteratura del XVII secolo della scuola di Alqosh, nell'Iraq settentrionale, che portò all'affermazione del "neo-aramaico caldeo" come lingua letteraria. Nel XIX secolo cominciò un'attività editoriale ad Urmia, nell'Iran settentrionale; la quale portò alla formazione di un dialetto "urmiano generale" del "neo-aramaico assiro" come standard di molta letteratura "neo-siriaca". La relativa semplicità dei metodi editoriali moderni ha incoraggiato altre lingue colloquiali "neo-aramaiche", come il Turoyo ed il Senaya, a produrre opere letterarie. Il migliore esponente di questa letteratura "neo-siriaca" nel XX secolo è stato probabilmente lo scrittore ed insegnante Yuhanon Qashisho. Anche la creazione letteraria nella lingua "siriaca classica" continua tuttora, specialmente tra i membri della Chiesa ortodossa siriaca, dove agli studenti dei monasteri della Chiesa viene insegnato un siriaco classico riportato in vita, scritto e parlato, detto "Kṯoḇonoyo" ("Lingua del Libro")[44].
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