«Il Forum internazionale del giovane cinema si è dimostrato un'alternativa concreta alla vacillante immagine del Festival di Berlino. Il premio è stato assegnato in onore degli sforzi collettivi di ogni membro del suo team.»
(Motivazione della consegna del Berliner Kunstpreis 1973 al Forum internazionale del giovane cinema[3])
Le settimane che avevano preceduto il festival erano state dominate soprattutto da preoccupazioni riguardanti le finanze a disposizione. Alfred Bauer e Ulrich Gregor, cofondatore del Forum internazionale del giovane cinema, erano entrambi d'accordo che il budget di 1,2 milioni di marchi non era più sufficiente, anche se avevano idee diverse su come ripartire eventuali fondi supplementari.[1] In effetti i tempi sembravano maturi per un aumento del capitale da destinare al Festival di Berlino. La recente stipula dell'Accordo delle quattro potenze e del Trattato fondamentale aveva sottolineato chiaramente la funzione della città come mediatore culturale, ciò nonostante il governo di Bonn e il Senato di Berlino non avevano ritenuto opportuno fornire ulteriore denaro e avevano preventivato un incremento di 100.000 marchi per l'anno successivo.[1] Al Forum sarebbe stata destinata meno della metà, secondo Gregor insufficiente per invitare ospiti, per le attrezzature per la traduzione simultanea e per molti degli eventi in programma.[4]
Riguardo ai film di quest'anno, la critica sembrò apprezzare sia il programma del concorso sia quello del Forum, che vinse il Berliner Kunstpreis nella categoria "film, radio e televisione" e che il critico Friedrich Luft giudicò meno "ideologico" rispetto al passato: «Anche in questo campo si ritrova il tentativo di scoprire cautamente qualcosa di completamente nuovo nei film: l'uomo, la bellezza, le paure personali e forse anche qualcosa chiamato "società", ma non più vista solo attraverso gli occhi di Karl Marx».[5]
Un cartone animato inatteso dal Giappone
Il film Kanashimi no Belladonna di Eiichi Yamamoto causò un momento di imbarazzo durante il festival. Molti si erano lasciati ingannare dal fatto che si trattasse di un film d'animazione e pensarono a una sorta di intrattenimento per famiglie. La gente portò i propri figli a vederlo, ma invece di un "Disney giapponese" si trovò ad assistere ad un medley sfrenato di erotismo e violenza.[1] «I fanciulli erano davvero sconvolti», scrisse Friedrich Luft su Die Welt «attraverso canzoni e immagini si recita un inno che elogia una sessualità totalmente emancipata... Qui la lussuria e il piacere si manifestano. Gli spettatori tremano, sono disgustati, sono affascinati, scoprono cosa può essere un film d'animazione». In molti abbandonarono lo Zoo Palast ma ciò non fu sufficiente a causare un vero scandalo, un segno che i tempi erano cambiati.[5]
Il cinema italiano, rappresentato da Malizia di Salvatore Samperi e La proprietà non è più un furto di Elio Petri, uscì dalla Berlinale a mani vuote dopo i successi dei due anni precedenti. Il critico e membro della giuria Paolo Valmarana non si pronunciò sui verdetti, mentre l'Unitalia Film scrisse in un comunicato: «È da ritenere che, negati dalla giuria l'Orso d'oro e persino il premio speciale ai due film italiani, il giurato italiano abbia preferito che non figurassero per nulla piuttosto che a livello di film discutibili e mediocri».[9]
Giuria internazionale
David Robinson, scrittore e critico cinematografico (Regno Unito) - Presidente di giuria[10]
Freddy Buache, giornalista e storico del cinema (Svizzera)
Hiram García Borja, direttore del Banco Nacional Cinematográfico (Messico)
Eberhard Hauff, regista e sceneggiatore (Germania Ovest)