Festival di Berlino 1965

Satyajit Ray, Orso d'argento per il miglior regista per il secondo anno consecutivo.

La 15ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino si è svolta a Berlino dal 25 giugno al 6 luglio 1965, con lo Zoo Palast come sede principale.[1] Direttore del festival è stato per il quindicesimo anno Alfred Bauer.

L'Orso d'oro è stato assegnato al film franco-italiano Agente Lemmy Caution: missione Alphaville di Jean-Luc Godard.

Il film di apertura del festival è stato Parigi di notte, manifesto collettivo della Nouvelle vague diretto da Claude Chabrol, Jean Douchet, Jean-Daniel Pollet, Éric Rohmer, Jean Rouch e dallo stesso Godard.[2]

A partire da questa edizione i premi destinati ai cortometraggi sono stati conferiti dalla giuria internazionale. Una giuria apposita sarà reintrodotta solo nel 2003.

La retrospettiva di questa edizione è stata dedicata ai grandi film tedeschi del periodo 1895-1932.[3]

Storia

L'Europa-Center di Tauentzienstraße, nuovo quartier generale del Festival di Berlino.

Dopo le delusioni degli anni precedenti, per la Berlinale del 1965 la struttura organizzativa venne profondamente modificata e il direttore Alfred Bauer parlò della cosiddetta "riforma di Berlino" durante l'inaugurazione, sostenendo che il festival non poteva essere sottoposto alle leggi di uno stato rigido, dal momento che nel corso del tempo il mondo del cinema era sostanzialmente cambiato.[1] Il team organizzativo si trasferì nel nuovo Europa-Center, nel quartiere di Charlottenburg mentre il complesso cinematografico del Royal Palast divenne una delle location del Festival andando a sostituire il Filmbühne Wien, considerato ormai obsoleto.[4] Il suggerimento di renderlo la sede principale e abbandonare lo Zoo Palast non venne invece accolto.[4]

Il numero di film in concorso venne ridotto e il programma fu completato da due sezioni introdotte per renderlo più flessibile, oltre che per aggirare il ruolo che il governo federale e le considerazioni diplomatiche continuavano a svolgere: una sezione "informativa" (Informationsschau), nella quale furono proiettati film considerati controversi dalla commissione di selezione o non autorizzati a competere per motivi formali, e una sezione "rappresentativa" (Repräsentationsschau) in cui furono mostrati film selezionati da delegati e produttori dei Paesi partecipanti.[1]

I cambiamenti principali riguardarono i criteri di selezione dei film e la composizione della giuria internazionale, scelta per la prima volta internamente anziché dai Paesi di provenienza dei giurati.[1] Inoltre la critica cinematografica ebbe una maggiore presenza in giuria con sei rappresentanti, incluso il presidente di giuria John Gillett, che affiancarono il produttore statunitense Jerry Bresler e due registi tedeschi, Alexander Kluge e Hansjürgen Pohland.[1] Le nuove linee guida stabilivano anche che il direttore del Festival aveva il diritto di invitare film, tuttavia, solo in casi eccezionali poteva farlo di sua spontanea volontà senza informare o consultare la commissione di selezione.[5] Casi eccezionali sorsero immediatamente, quando il produttore Franz Seitz Jr. spinse Bauer ad accettare L'incesto di Rolf Thiele, minacciando di portarlo a Cannes o Venezia.[5]

Il ministro Hermann Höcherl.

Un'altra novità, concordata dalla direzione con il Senato di Berlino, riguardò la presenza dei critici nella commissione di selezione, finora composta quasi esclusivamente da rappresentanti delle autorità o portavoce di gruppi di interesse.[5] Tra questi ci furono Werner Fiedler, Ilse Urbach e alcuni rappresentanti della nuova generazione come Ulrich Gregor e Enno Patalas.[6] L'intenzione di rafforzare i criteri di selezione per accettare solo "film di valore artistico" trovò inizialmente le obiezioni del Ministro Federale dell'Interno Hermann Höcherl, che sottolineò l'importanza dell'industria cinematografica e della politica estera, temendo reazioni diplomatiche nel caso in cui un film di un altro Paese fosse stato respinto. In una lettera inviata il 22 gennaio 1965, il senatore Werner Stein replicò: «Non posso accettare il fatto che spesso la Repubblica Federale Tedesca non sia rappresentata nei festival cinematografici all'estero perché non è stato trovato nessun film adatto, né posso accettare la situazione opposta, ovvero che il Festival di Berlino debba accettare ogni film semplicemente perché proviene da un Paese che produce più di 50 film all'anno».[2]

Il 16 febbraio 1956 Höcherl diede il suo assenso alle proposte di riforma, sottolineando tuttavia la sua visione: «La mia opinione che si presta troppa attenzione ai criteri artistici è confermata dall'esperienza che il Festival di Venezia ha avuto recentemente... Lascio alla vostra discrezione decidere in quale misura si desideri dare priorità ai criteri artistici rispetto ad altre considerazioni quando si scelgono i film, tuttavia vorrei far capire che il governo federale, che deve compensare ogni insoddisfazione diplomatica, prenderà le distanze se necessario e lascerà la responsabilità nelle mani del Senato di Berlino».[5] Le nuove linee guida furono emanate dal Senato il 27 aprile, segnando un nuovo inizio per la Berlinale.[5]

Con film che parlavano di paura, disagio e incertezza come quelli di Godard, Satyajit Ray (La moglie sola) e Agnès Varda (Il verde prato dell'amore), il festival dette dimostrazione per la prima volta dopo anni di stare al passo con i tempi e di essere parte dello sviluppo sociale.[1] Tra i film che scatenarono la maggior parte dei dibattiti ci fu Repulsione di Roman Polański.[1] Le opinioni di critica e pubblico si divisero come raramente era avvenuto per altri film in passato.[4] Peter W. Jansen lo definì sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung «una risposta arrabbiata e indignata alla totale sessualizzazione della vita, che è solo un simbolo della morte del dialogo e dell'assenza di comunicazione. Se ne parlerà a lungo».[4][7]

La Germania fu rappresentata dal film di Rolf Thiele, basato su un romanzo di Thomas Mann, mentre Nicht versöhnt oder Es hilft nur Gewalt wo Gewalt herrscht di Jean-Marie Straub fu respinto all'unanimità dalla commissione di selezione (con l'astensione di Enno Patalas) e proiettato nell'Informationsschau, così come Das Haus in der Karpfengasse di Kurt Hoffmann che era stato rifiutato a Cannes per mancanza di qualità artistica.[6] Durante la vivace tavola rotonda che seguì la proiezione del film di Straub, intitolata "Nuove strutture narrative nei film", il pubblico accusò il regista di dilettantismo mentre il critico e attore francese Michel Delahaye dichiarò: «Quello che abbiamo visto qui è uno dei migliori film dai tempi di Murnau e Fritz Lang».[4][6]

L'Orso d'argento per il miglior regista andò a Satyajit Ray e la giuria si trovò in difficoltà nell'assegnare il suo gran premio, che alla fine fu vinto ex aequo dai film di Polanski e Agnès Varda, anche se alcuni osservatori lamentarono il fatto che il film Kärlek 65 dello svedese Bo Widerberg non avesse ricevuto nessun premio.[8]

Oltre al caso diplomatico scatenato da Segreti dietro il muro del giapponese Kōji Wakamatsu, altri momenti di tensione seguirono la proiezione del documentario sudafricano Assegai to Javelin, mostrato nel Repräsentationsschau. Il racconto di come la popolazione nera del Sudafrica stesse mettendo da parte la "lancia del guerriero" (assegai) per rivolgersi allo sport e sostituirla con il giavellotto accese il pubblico, che vide nel film un atteggiamento negazionista dell'apartheid. Entrambe le proiezioni dovettero essere interrotte dalle forze dell'ordine a causa di proteste massicce, principalmente da parte di studenti.[9]

Giuria internazionale

Selezione ufficiale

Premi

Premi della giuria internazionale

Premi delle giurie indipendenti

Note

  1. ^ a b c d e f g 15th Berlin International Film Festival - June 25–July 6, 1965, su berlinale.de, www.berlinale.de. URL consultato il 4 maggio 2017.
  2. ^ a b Jacobsen (2000), p. 133.
  3. ^ Retrospectives Before 1977, su berlinale.de, www.berlinale.de. URL consultato il 31 gennaio 2018.
  4. ^ a b c d e Jacobsen (2000), p. 136.
  5. ^ a b c d e Jacobsen (2000), p. 134.
  6. ^ a b c Jacobsen (2000), p. 135.
  7. ^ Jacobsen (2000), p. 137.
  8. ^ a b Jacobsen (2000), p. 138.
  9. ^ a b Jacobsen (2000), p. 139.
  10. ^ Juries - 1965, su berlinale.de, www.berlinale.de. URL consultato il 23 giugno 2022.

Bibliografia

Collegamenti esterni

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