Dialetto luccheseIl lucchese è un vernacolo, facente parte dei Dialetti toscani, parlato in una parte della provincia di Lucca. Il lucchese propriamente detto è parlato nella città e nel territorio che la circonda (piano delle Sei Miglia) oltre che sulle colline prossime ad esso e nella fascia costiera ricadente nei comuni di Viareggio e Camaiore. I comuni in cui si parla il lucchese tipico sono Lucca, Capannori, Porcari, Camaiore e parte delle frazioni di Altopascio, Pescaglia (Val Freddana) e Borgo a Mozzano (Valle della Cèletra, Corsagna e Anchiano). Le forme dialettali in uso a Montecarlo, Villa Basilica, Altopascio e Bagni di Lucca sono molto simili al lucchese tipico, ma con caratteristiche comuni ai dialetti valdinievolini (Valdinievole) per Montecarlo, Villa Basilica, Altopascio, al pisano fiorentino del Valdarno (ancora per Altopascio) e ai dialetti della montagna pistoiese (per Bagni di Lucca). Il dialetto viareggino, parlato anche a Lido di Camaiore e Massarosa, è una variante del dialetto lucchese che presenta alcune peculiarità sia nella pronuncia che nel vocabolario che nelle espressioni e modi di dire tipici. Una certa affinità con il dialetto pisano si riscontra infine nel dialetto viareggino parlato nella frazione di Massaciuccoli (Massarosa) e in quella di Torre del Lago Puccini (Viareggio). Invece, fino a una quarantina di anni fa, molto simile al lucchese era il dialetto di Buti, paese della provincia di Pisa[1]. ClassificazioneIl lucchese è un dialetto toscano (rientrante nel gruppo tosco-occidentale), di cui costituisce la propaggine settentrionale assieme al gruppo garfagnino-versiliese, con cui condivide numerosi tratti morfologici, fonetici e lessicali. È altresì facilmente riconoscibile rispetto al pisano, al valdinievolino e al pistoiese. ToponomasticaIn alcuni toponimi della Lucchesia soprattutto nord orientale si trovano[2]:
I nomi di luogo più antichi, delle zone strategiche della provincia, sono nomi personali romani privi di suffisso oppure ricordano antiche collocazioni di accampamenti, soprattutto invernali, come per esempio (in) hibernis poi mutato in Verni. Questo perché i Romani si sono insediati in principio nei punti strategici del territorio, per poi allargarsi alle zone collinari raggiungibili tramite tracciati facili e rapidi. Al successivo periodo imperiale appartengono i toponimi che terminano in –ano/a, come Minucciano. Si noti che il nome della città di Lucca ha origini dibattute non essendo apparentemente etrusco o latino. Si è ipotizzata un'origine ligure, che non è però accettata da tutti gli studiosi. Autonomia e fenomeni linguisticiIl dialetto lucchese si delinea come dialetto autonomo[3] con un insieme di caratteristiche specifiche che lo oppongono ai due tipi toscani più importanti tra quelli che lo circondano, il pisano ed il fiorentino, rappresentato dalla sua variante pistoiese. L'affinità, affermata soprattutto nel Medioevo, tra il dialetto lucchese e quello pisano rispecchia soprattutto un tipo di lingua scritta, usata con finalità amministrative e letterarie. Si può anche supporre che negli ultimi cinque secoli il pisano abbia risentito dell'influsso del fiorentino, sia per la continuità geografica della Valle dell'Arno, sia per il fatto che Pisa, al contrario di Lucca, fece parte dello stato regionale toscano originatosi dalla Repubblica di Firenze. L'autonomia del dialetto lucchese, legata alla storia e alla toponomastica che la rappresenta, inizia ad apparire in età preromanza ed ha le sue basi in tratti fonetici che distinguono il dialetto lucchese da quello pisano. Notevole è la diffusione del suffisso latino –ulu (romanzo –olo) che agli inizi dell'epoca romanza veniva aggiunto a molte parole senza conferire a queste un particolare significato, diversamente dal significato diminutivo e affettivo che aveva in latino. Esempi di questo fenomeno sono evidenti considerando la toponomastica, dove si parla di capànnole invece di capanne, di piàggiole invece di piagge, di càsole in luogo di case. All'interno di questo suffisso si verifica inoltre il passaggio di l a r attestato in documenti notarili lucchesi dei secoli IX-X. Questo fenomeno ricorre anche in altre parti di parole latine che avevano l intervocalico come in Cerasomma da Cella Summa. Coppie tipiche di nomi di luoghi che si distinguono nel dialetto lucchese rispetto al pisano per il passaggio di l a r sono Colognola/ra, Capannoli/ri. Tale innovazione è da collocarsi intorno al IX-X secolo. Il passaggio da l latino ad r non avviene nella parole di origine germanica e ciò è riscontrabile in toponimi come Tàccoli, Bràncoli, Vàccoli, Antràccoli, Altopascio e Collodi. La motivazione più verosimile per cui tale passaggio non avviene nei toponimi germanici è perché l'introduzione di vocaboli germanici risale a un periodo più tardo rispetto a quello romano, quando il fenomeno della trasformazione di l in r si era ormai consumato. Sempre per parole di origine germanica, un'altra caratteristica del lucchese rispetto al pisano è costituita dal passaggio di ld in ll evidente nel cognome tipico Bertolli da Bertoldi. Tale passaggio è da attribuirsi all'età longobarda e la motivazione di questo cambiamento va ricercata nella pronuncia longobarda del d che, pronunciato come una spirante interdentale sonora (simile al th dell'inglese in the, there), si assimilava con suoni precedenti come n e l ed era diverso dal d latino che rimaneva invariato dopo l. Eventi successivi agirono su altre evoluzioni fonetiche che non si trovano in altri dialetti toscani[4]:
Altri tratti non toscani, derivati da contatti con l'Italia settentrionale, sono:
La trasformazione di e in a di fronte ad r in parole sdrucciole come gangari, biscaro, pur tipica del lucchese, può ritrovarsi anche in altri dialetti toscani come il senese. Di origine locale sono desinenze e forme verbali come:
Interessanti arcaismi sono le mano, le mela, le pera. Aree geograficheTaluni studiosi confondono il lucchese con l'insieme dei dialetti parlati nella provincia di Lucca. Tale impostazione appare scorretta. Nella provincia di Lucca infatti esistono i seguenti dialetti:
D'altro canto esistono anche aree oggi fuori dalla provincia di Lucca in cui si parla o si parlava il lucchese o dialetti affini al lucchese. Come detto il lucchese è parlato nei comuni di Lucca, Capannori, Porcari, Massarosa, Viareggio e Camaiore e in parte di quelli di Pescaglia, Borgo a Mozzano e Altopascio. Le forme di transizione tra il lucchese e i dialetti garfagnini sono parlate nel comune di Coreglia Antelminelli e in parte di quelli di Pescaglia e Borgo a Mozzano. Le forme di transazione tra il lucchese e l'alto versiliese (Seravezza, Stazzema e Forte dei Marmi) sono parlate nella città di Pietrasanta dove si ha una posizione autonoma tendente in alcune espressioni al dialetto fiorentino, questo è dovuto alla storica appartenenza di questa terra al Granducato di Toscana fin dai tempi dei Medici. Le forme di transizione tra il lucchese ed il pistoiese montano sono tipiche del comune di Bagni di Lucca. Le forme di transizione tra il lucchese e il valdinievolino sono tipiche dei comuni di Villa Basilica, in parte Pescia, Montecarlo e Altopascio (nel quale si riscontrano anche influssi pisani). Nei comuni di Fabbriche di Vergemoli, Barga, Gallicano, Fosciandora e Molazzana è parlato il basso garfagnino, che per contatto è abbastanza simile ed intellegibile rispetto al lucchese. In particolare per Barga è da rimarcarsi come la locale parlata rientri nel novero dei dialetti garfagnini ed è del tutto superata la tesi che la vedeva in una posizione autonoma maggiormente tendente al dialetto fiorentino legata all'occupazione medicea: il barghigiano, come il coreglino, non ha nessun tratto di tipo toscano centrale[5]. Nell'area di fondovalle di San Romano, Villa Collemandina, Castiglione, Camporgiano e nei comuni di Pieve Fosciana e Castelnuovo è parlato il dialetto garfagnino. Nell'area a Nord della provincia che comprende Careggine, Vagli Sotto, Sillano, Giuncugnano, Piazza al Serchio, Minucciano, la parte montuosa di Villa Collemandina, San Romano in Garfagnana e Castiglione di Garfagnana si parlano forme dialettali nel complesso definite alto garfagnine, anche se sul versante appenninico, specie a Piazza al Serchio e Sillano è presente un influsso reggiano, mentre sul versante apuano il dialetto è fortemente connesso con il dialetto massese. ciò conferma che in passato le due parlate (massese e alto garfagnina occidentale) fossero quasi analoghe. La diversificazione sarebbe avvenuta con la toscanizzazione della Garfagnana, fenomeno che ha interessato in misura molto minore l'area massese. Un discorso a parte va fatto per il Valdinievolino, che in antico doveva essere una varietà di lucchese nelle zone di pianura della Valdinievole e forma di transizione tra il lucchese e il pistoiese montano per le aree collinari e alto collinari (Vellano, Pietrabuona, Sorana, Calamecca, ecc.). Oggi la zona di pianura è soggetta all'influsso dei dialetti toscano centrali, anche se, specie nelle zone più occidentali, il substrato lucchese è chiaramente individuabile. Fino a pochi decenni fa anche il dialetto di Buti (PI) era affine al lucchese, ma oggi solo nei più anziani il fenomeno è chiaramente presente. D'altro canto Massaciuccoli (comune di Massarosa) e Torre del Lago (comune di Viareggio) risentono di influssi pisani. Le isole linguistiche gallo romanze sono Colognora in Valleriana e Gombitelli, mentre non è suffragata da alcun documento l'ipotesi che anche il paese scomparso di Fabbriche di Careggine fosse un'area alloglotta. Il dialetto di Gombitelli e Colognora deriva quasi sicuramente dal reggiano/modenese di montagna. Tuttavia tali parlate sono in via di rapidissima scomparsa e ormai solo pochissimi anziani sono ancora in grado di parlare e comprendere il dialetto locale. PronunciaIl dialetto lucchese, oltre ai casi in cui concorda con la parlata fiorentina, raddoppia in alcuni casi la consonante iniziale della parola che segue[6]. Si ha raddoppiamento:
La parlata lucchese non raddoppia mai:
Il dialetto lucchese presenta notevoli differenze nella pronuncia della –e e della –o rispetto al fiorentino. Contrariamente al fiorentino, il lucchese presenta una –é (stretta) in parole come: galéra, léi, méglio, péggio, préte, témpia, ésco, ésci, ébbi, ébbero, léggo, léggi …; si pronuncia una –è (larga) in parole come: arcobalèno, balèna, cèrchio, chièrico, dèsto, fèrmo (aggettivo), fèrmo, fèrmi, fèrma, fèrmiamo, fèrmate, fèrmano, intèro, mèttere, nètto, nève, scèlta… . La –o si pronuncia stretta nella desinenza della 1ª persona del futuro indicativo e, diversamente dal fiorentino, in alcune parole come cóppa, óggi, stómaco, dó, hó… . Si pronuncia sempre stretta la –é nelle desinenze:
La /s/ viene utilizzata per termini come Livornese, Pratese, Lammarese [non ovunque], mentre Lucchese viene pronunciato con la /z/.[7] FoneticaAccentoL'accentazione nel vernacolo può cambiare da zona a zona, ed è necessario ricorrere all'uso dell'accento grafico se si vuole indicare dove e come avviene il rafforzamento. Alcuni casi:
IntonazioneIl lucchese intona le frasi interrogative come se fossero affermative: il suono vernacolare si abbassa all'inizio della frase o dopo poche parole, per rimanere piano fino all'ultima o penultima sillaba che viene quasi sussurrata. La (non) pronuncia della [i], della [u] e della [a][8]Tutte le vocali, quando si trovano accanto, subiscono aferesi, sincope o elisione, ma per queste tre si ha una maggiore frequenza:
Per quanto riguarda la [u]:
Relativamente alla [a]:
Questi tre fonemi hanno però una peculiarità, sono pronunciati distintamente quando si trovano ad inizio parola, dopo una lettera accentata o dopo una pausa (vedi, un si pole; senti, un t'andrebbe mìga..). Casi di apocope o troncamentoIl troncamento (da non confondere con l'elisione nella quale la vocale mancante è sostituita dall'apostrofo) si riscontra costantemente nel vernacolo. Si riscontra:
ScempiamentoAltra caratteristica vernacolare di notevole importanza è lo scempiamento consonantico, che si verifica in modo assoluto per quanto riguarda la [r] (te[r]ra, gue[r]ra, vo[r]rei, occo[r]re), ma può occorrere anche per altre consonanti (ma[t]tone, ma[c]china, da[v]vero…). Monottongazione(La trasformazione di un dittongo in vocale semplice). Nel dittongo uo /w/, si realizza sempre la monottongazione ([u]ovo, [u]omo, v[u]ole, p[u]òi, n[u]òve). Si tratta probabilmente di un'antica eredità: la dittongazione è dovuta al fiorentino medievale che, per il prestigio di Dante, è diventato poi lo standard italiano; il mantenimento lucchese potrebbe quindi derivare dalla conservazione della pronuncia originaria latina. Prostesi(Aggiunta di un fonema all'inizio di una parola). Le prostesi sono di solito legate ad una maggiore facilità di dizione e pertanto si trovano spesso anche dopo l'elisione di precedente vocale.
EpentesiAnche nel vernacolo lucchese si riscontrano alcuni casi di epentesi, come anderanno, goderà, oramai, frequenti nelle seconde persone plurali di molti verbi (fossite, avessito, andassito…). La geminazione consonanticaIl raddoppio consonantico non è raro nel vernacolo, ma mentre in italiano ha valore fonologico distintivo, nel lessico dialettale modifica le parole solo sotto l'aspetto fonetico (subbito, pappà, leggà…). Assimilazione
Casi di sostituzione di vocali
Nel vernacolo ci sono anche piccole modifiche o sostituzioni che, quando interessano un verbo, si riflettono su tutta la coniugazione. I più ricorrenti sono:
MorfologiaArticoloL'articolo, nel dialetto lucchese, ha da sempre generato non poca confusione con il relativo sostantivo tale da far modificare il vocabolo in un nuovo lemma. Termini come radio, lapis, mano cambiano l'articolo o la vocale finale (l'apis, l'aradio…). Si hanno spesso casi in cui l'articolo [i] viene eliso (fatti ‘ddebiti conti…). L'articolo gli è poco usato, si preferisce la forma li (li specchi, l'omini…). L'articolo indeterminativo uno è usato molto raramente, ad esso si preferisce un (un isposo, un ispecchio…). Si possono avere:
Nomi come zio e zia sono sempre preceduti dall'articolo (me l'ha dato la zia…). Con nomi come marito e moglie, figlio e figlia, fratello e sorella, cognato e cognata, zio e zia, suocero e suocera, genero e nuora, cugino e cugina, preceduti dal possessivo, si riscontra l'uso dell'articolo (il mi' marito, la tu' figliola, il vostro cugino…). PronomeNel dialetto lucchese si hanno diverse modifiche dei pronomi[9]:
Ci sono poi alcune forme composte che servono a specificare ulteriormente quando il pronome è soggetto:
Da sottolineare è:
I pronomi relativi Il quale, la quale, i quali, le quali in lucchese non vengono usati, e vengono solitamente dal che, che svolge la funzione sia di soggetto che di complemento. Tra i pronomi personali le due forme dominanti sono il Voi e il Tu, il Lei viene utilizzato solo in città e nella pianura circostante. In molte zone, come la Versilia, la Garfagnana e nelle zone collinari a Settentrione, il Voi viene utilizzato anche per le persone della famiglia, tra marito e moglie, tra genitori e figli ed è particolarmente riservato alle persone anziane. Il Lei invece è riservato alle persone più ricche e facoltose, e deriva dal modo dei contadini delle zone collinari di apostrofare i loro signori con “Lei Signoria”. Per quanto riguarda i pronomi possessivi, miei, tuoi, suoi, perdono la –e e la –o e diventano mìi, tùi e sùi. Per i pronomi interrogativi si ha una caratteristica peculiare del dialetto lucchese, ovvero il fatto che il pronome quale cambia genere con il nome, si ha quindi quale, quala, qualo. AggettivoNegli aggettivi possessivi si ha il troncamento che avviene nelle prime tre persone (il mì cane, il tu' nonno..) e altrui e proprio non vengono utilizzati. Con i nomi di parentela, soprattutto padre e madre, sono sempre preceduti dall'aggettivo possessivo (Mi' padre, su' madre), invece le forme più affettuose “pappà e mamma” non ricevono mai né l'articolo né il possessivo. Per gli aggettivi dimostrativi oltre alla modifica di qu (vesto, vello…), si assiste a un uso inesistente di codesto, medesimo, cotale, siffatto. Tipica è la contrazione di aggettivi composti da un unico lemma (vestovì “questo qui”). Fra gli aggettivi interrogativi Quale cambia di genere (quala camicia mi metto?). Nel vernacolo si hanno anche degli aggettivi numerali che non hanno una quantità determinata ma indicano una quantità maggiore di quanto esprimono letteralmente (portimi du' castagne, ti do ‘n par di labbrate)[7]. Il comparativo. Più pleonastico davanti a meglio, peggio, superiore ed inferiore (la più peggio disgrazia per un uomo è quella di non poté lavorà). Il superlativo. Nel superlativo relativo il più preposto al sostantivo, anziché all'aggettivo (La più donna chiacchierona ch'abbia mai conosciuto sei tu!). I nomiSpecialmente nelle campagne si ha l'usanza di dare un nomignolo ad ognuno, tanto che può accadere che l'appellativo acquisito può far dimenticare il vero nome. Questi nomignoli derivano da qualità del corpo, da caratteristiche caratteriali oppure possono essere legati alla parentela, a passioni e propensioni. Alcuni esempi: Diàule, Pìtora, Cìcciora, Balloccìoro. Ci sono poi una serie di nomi che si formano con suffissi noti e determinati dalle circostanze o dalla propensione di chi parla. Per esempio la maggior parte dei verbi formano dei nomi in –ino e in –one che rappresentano l'abitudine o il difetto di ripetere spesso l'azione espressa dal verbo come Perdone, colui che facilmente perde, Sbornione, Bestemmione, Rompìno, Tuzzichino… . Con il suffisso –aro si hanno molti termini che significano inclinazione verso una certa cosa e desiderio di essa come: Minestraro, colui ghiotto di minestra, Polpettàro, Susinàro. Ci sono poi nomi alterati con diminutivi, in particolare suffissi come –ìcchioro, -izzoro, -ìgnoro, -ùglioro, -ìcchio, -ìglioro, -èlloro, -àccioro e altri, che sottolineano l'affetto di chi parla di amore o di compassione o di disprezzo. Si hanno parole alterate che non si possono classificare sotto norme precise, come: grassèloro, pallòccoro, pretignoro, ulivàgnolo, fratìcchio, buzzicchioro e molte altre ancora[7]. I verbiPer i verbi si riscontrano i seguenti fenomeni:
Altre forme irregolari:
Ci poi sono alcune caratteristiche ricorrenti:
AvverbiCon gli avverbi sono spesso usati dei suffissi, con valore diminutivo o vezzeggiativo (incomincia a èsse tardino, fa ammodino). PreposizioniA Lucca si usano alcune preposizioni articolate formate a loro volta da una preposizione semplice e una articolata: in sul, in sulla, in della e spesso vengono contratte graficamente in un'unica preposizione articolata (mettelo insul tavolo o mettelo ‘nsul tavolo…). Si ha poi l'uso della preposizione -a in luogo in -in (vanno a giro per el paese, al mare ci vado a primavera…)[10]. Altri casi:
InteriezioniIl vernacolo lucchese annovera molti termini con valore di interiezione. (fischia!, Borda!, Himmena!, Verga!, Bada!, Io lai…), i più frequenti eo e o con pronuncia chiusa (O, ma ci sei stato? – Eo, che avevo a ffà?). Espressioni[6]Parole tipiche[11]
Parole con significato diverso dall'attuale uso italiano
Francesismi
Modi di dire[12]
DifficoltàNella trattazione di un dialetto si presentano innumerevoli difficoltà basate sul confronto con la lingua letteraria. Qualsiasi dialetto presenta una enorme fecondità terminologica con molteplici sfumature di significato, laddove una lingua letteraria presenta invece una sola parola generale e stereotipata. Un singolo fenomeno, all'interno di un dialetto, può avere molti nomi che variano nelle diverse zone. Un esempio può essere l'atto di portare una persona in collo, con le due gambe che pendono sul petto del portatore, ponendosi lateralmente al collo di quest'ultimo. A Ponte a Moriano tale azione viene espressa con il termine di a biricucci, a San Vito: a biricùcciori, a Capannori: a bariucciori, a Marlia: a caribucci, a Montecatini: a brugino, a Ghivizzano: a cavalciotti, a Gallicano: a spraccagambe, a Castelnuovo: a cavalcin, ad Antraccoli: a carimiccio, in città: a birichicci, a Moriano: a caribicci, a Villa Basilica: a baricca, a Camaiore: a caribicchio e a Borgo a Mozzano a spaccalicchio o a caligiotto AutoriAlcuni autori hanno usato il dialetto lucchese come lingua per le proprie opere. Gino Custer De Nobili(Lucca, 22 febbraio 1881 - Milano 29 aprile 1969). Si tratta di uno dei maggiori autori in dialetto lucchese. “Le poesie di Geppe” vengono pubblicate nel 1906 presso la tipografia Alberto Marchi di Lucca e sono presentate, per la prima volta, al Caffè Caselli, ritrovo della Lucca artistica e letteraria. Nel 1928 a Milano viene stampata la seconda edizione delle poesie, alle quali l'autore aggiunge altri componimenti. Cesare Viviani(Monte San Quirico, Lucca, 4 febbraio 1937 - Lucca, 2 febbraio 1993). In giovane età si cimenta in lavori di recitazione . Nel 1976 partecipa al Concorso Regionale di Poesia Dialettale “Gino Custer de Nobili”, a Coreglia Antelminelli, classificandosi primo. “Robba della mi' tera” è il suo primo libro di poesie vernacole. Idelfonso Nieri(Ponte a Moriano, Lucca, 20 maggio 1853 - Lucca 2 febbraio 1920). Insegnante nelle scuole medie ad Ascoli Piceno, Castelnuovo Garfagnana e Lucca. Letterato e filologo, è una delle prime personalità ad interessarsi allo studio del dialetto di Lucca. Con intenti filologici e folcloristici, raccoglie storie, usanze, proverbi e locuzioni del contado lucchese. Nel 1901 compila il "Vocabolario lucchese", per questa opera l'autore prende come termine di confronto l'idioma fiorentino e tutti i termini che da essi differiscono. Compie indagini in tutta la provincia, soprattutto nelle zone di San Gemignano e nel Morianese, come Sesto di Moriano, Saltocchio e Brancoli, basandosi anche su opere simili a lui precedenti (“Vocabolario Lucchese” di Salvatore Bianchini[13]). Nel 1906 scrive "Cento racconti popolari lucchesi", nel 1915 "Superstizioni e pregiudizi popolari lucchesi" ed infine nel 1917 "Vita infantile e puerile lucchese". Note
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni
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