Dialetto pavano
Il pavano[1] è un'antica variante del veneto, parlata un tempo nel contado di Padova, da cui il nome.[2] Le odierne parlate venete centrali, influenzate dal veneziano, conservano ben poche tracce del pavano. Rivestì tuttavia un ruolo fondamentale per il fiorire di una cosiddetta letteratura pavana comprendente numerose opere a tema scherzoso, sia in versi che in prosa, composte tra il XIV e il XVII secolo. I primi autori a scrivere in pavano furono Nicolò de' Rossi (1308-1309) e Marsilio da Carrara, ma il massimo esponente di questa corrente è Angelo Beolco detto il Ruzante (XVI secolo), cui seguirono per tutto il Seicento una serie di suoi imitatori. Perfino Galileo Galilei scrisse, in tutto o in parte e sotto pseudonimo, un libello in pavano, il Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la Stella Nuova (1605)[3]. CaratteristicheIl tratto più tipico del pavano era l'utilizzo esteso della metafonesi, con la trasformazione di /e/ e /o/ mediante /i/,: péro "pera" al plurale diventa pìri; pómo "mela" al plurale diventa pùmi. Un fenomeno simile avviene nelle vocali aperte, che vengono dittongate: zucòlo "zucchino" al plurale è zucuòli. I suffissi latini -atu e -ate vengono resi con -ò e -è: parentò "parentado", amistò "amicizia". Questo fenomeno fu ricordato - e biasimato - da Dante nel De vulgari eloquentia. Va ricordata anche la prima persona plurale del presente indicativo in -ón o -óm (favelóm "parliamo"), in seguito sostituita dalla forma in -émo di origine veneziana (favelémo)[4]. Note
Bibliografia
Collegamenti esterni
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