Le vicarie rispecchiano il territorio delle tre diocesi di Montepulciano, Chiusi e Pienza al momento dell'unione nel 1986.
Storia
L'odierna diocesi è frutto della "piena unione", stabilita nel 1986, di tre antiche sedi episcopali: la diocesi di Chiusi, documentata agli inizi del IV secolo, la diocesi di Pienza, eretta nel 1462 e la diocesi di Montepulciano, costituita nel 1561.
È proprio in quest'ultima catacomba che è stata trovata la più antica attestazione dell'esistenza della diocesi di Chiusi, con l'epitaffio del vescovo Lucius Petronius Dexter, sposato e padre di cinque figli, morto a 66 anni il 10 dicembre 322.[2] Nella stessa catacomba si sono rivenuti gli epitaffi del diacono Sulpicius Felicissimus e dell'esorcista Sentius Respectus, che attestano un'articolata organizzazione ecclesiale a Chiusi nel IV secolo, cosa che fa supporre l'esistenza della diocesi già nella seconda metà del III secolo.
A metà del VI secolo è documentata l'esistenza del vescovo Fiorentino, menzionato in una lettera di papa Pelagio I del marzo 559. Basandosi su un'iscrizione scolpita in un capitello del duomo di Chiusi, la tradizione ha attribuito a questo vescovo la costruzione della cattedrale di San Secondiano.[3]
In epoca longobarda, nella prima metà dell'VIII secolo, il duca longobardo di Chiusi, Gregorio, e sua moglie, Austreconda, su istanza del vescovo Arcadio, fecero ricostruire nel 729 la basilica di Santa Mustiola, oggi non più esistente, nella zona subdiale delle sue catacombe.[4] Questa costruzione contribuì a rinnovare e a divulgare il culto verso la santa chiusina.
La presenza monastica benedettina è attestata nella diocesi di Chiusi a partire dall'VIII secolo e numerosi furono i monasteri, priorati ed eremi che fiorirono nel territorio chiusino. Tra questi sono da menzionare tre grandi abbazie benedettine: San Salvatore sul Monte Amiata, Sant'Antimo e Farneta[5]. Per la loro potenza e le loro ricchezze, queste abbazie ottennero ben presto l'esenzione da ogni giurisdizione del vescovo di Chiusi, cosa che innescò inevitabili contrasti e lunghe vertenze con corsi e ricorsi alla Sede Apostolica. In particolare i vescovi chiusini intrapresero una lunga lotta con gli abati dell'Amiata, che ottennero la definitiva esenzione dalla giurisdizione vescovile a metà dell'XI secolo. L'abbazia di Sant'Antimo, invece, perse il diritto di nullius dioecesis nel 1462, quando entrò a far parte della diocesi di Montalcino.
Sul finire del XII secolo ai vescovi di Chiusi fu concessa la sovranità temporale sulla città episcopale e sul territorio circostante. Tale diritto fu concesso dall'imperatore Enrico VI al vescovo Teobaldo II nel 1196 e rinnovato dagli imperatori successivi ai vescovi Gualfredo e Ermanno, rispettivamente nel 1209 e nel 1219.
Nel 1191papa Celestino III indirizzò al vescovo Teobaldo II una bolla di conferma dell'immediata soggezione dalla Sede Apostolica della diocesi chiusina.[6] Lo stesso documento elenca tutte le pievi dipendenti direttamente dall'autorità ecclesiastica dei vescovi di Chiusi, che danno un'idea dell'ampiezza della diocesi alla fine del XII secolo.[7] Secondo Maroni, «i Santi titolari di queste pievi, tutti venerati in età prelongobardica, e l'ampiezza dei territori al centro dei quali furono edificate, ci stanno ad indicare che l'elenco riflette un'organizzazione ecclesiastica del territorio chiusino, che si è mantenuta sostanzialmente integra dal IV-V secolo quando le pievi vennero fondate fino al 1191».[8]
Questa situazione si modificò a partire dal XIV secolo, quando il vasto territorio chiusino fu smembrato per dare origine ad altre circoscrizioni ecclesiastiche: nel 1325 per l'erezione della diocesi di Cortona[9]; nel 1462 per l'erezione delle diocesi di Pienza e di Montalcino[10]; nel 1561 per l'erezione della diocesi di Montepulciano; nel 1600 per l'erezione della diocesi di Città della Pieve[11].
A partire dal Seicento, a causa della depressione economica della città chiusina, del suo impoverimento demografico e del rischio della malaria, i vescovi presero l'abitudine di risiedere per lunghi periodi durante l'anno nel palazzo vescovile di Chianciano. Nello stesso periodo, gli abati di San Salvatore del monte Amiata rivendicarono la giurisdizione su alcune parrocchie della diocesi, il cui numero era di molto diminuito dopo le cessioni dei secoli precedenti; la causa intercorsa presso le curia romana tra gli abati e i vescovi di Chiusi fu vinta da questi ultimi all'inizio del Settecento, riuscendo finalmente ad imporre la propria autorità su tutto il territorio diocesano.
Non solo l'istituzione della diocesi, ma anche la fondazione della stessa città di Pienza sono dovute alla ferma volontà di papa Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini, nativo di Corsignano, antico nome della città pientina. Questi atti «rappresentano senza ombra di dubbio il caso limite di una piccola comunità rurale (Corsignano), che non avrebbe mai potuto in alcun modo aspirare a diventare sede vescovile, trasformata in città (Pienza) dalla sola volontà di un Pontefice».[14] Per alcuni autori, la diocesi di Pienza non fu nient'altro che una «creatura artificiale, nata per il capriccio di un papa umanista».[15]
Due settimane dopo, il 28 agosto, Pio II emanò una seconda bolla, con la quale il pontefice concesse il giuspatronato passivo[17] sulla diocesi, sulla cattedrale, sul capitolo e sull'Opera della cattedrale alla sua famiglia, i Piccolomini. Le condizioni stabilite dalla bolla furono talmente favorevoli ai Piccolomini che alcuni storici arrivano ad affermare che di fatto la diocesi di Pienza era considerata da questi alla stregua di un bene di famiglia.[18]
La diocesi fu costituita da territori sottratti alle diocesi di Arezzo e di Chiusi. Dalla diocesi di Chiusi, Pienza acquisì la giurisdizione ecclesiastica sulle chiese di Rocca d'Orcia con Bagno Vignoni, Castiglione d'Orcia, Campiglia e Bagni San Filippo, San Pietro in Campo, Contignano, Perignano e Castelvecchio, Vignoni, Monticchiello, Fabbrica. Dalla diocesi di Arezzo acquisì le parrocchie di San Quirico (pieve dei Santi Quirico e Giulitta e cura di Santa Maria), Montefollonico, Torrita, Scrofiano, Petroio, Castelmuzio, Trequanda, Monterongriffoli, Montisi, San Giovanni d'Asso, Lucignano d'Asso, Vergelle e la stessa Corsignano. Con una successiva bolla, pubblicata il 29 gennaio 1464, furono aggiunti anche i territori di Sinalunga, Bettolle e Montegiovi, appartenute fino a quel momento alla diocesi di Chiusi.[19]
Eccetto il primo vescovo, i successivi prelati fino a tutto il XVI secolo appartenevano alla famiglia Piccolomini. Benché non avessero il giuspatronato attivo, riuscirono «a gestire autonomamente la nomina del vescovo con un utilizzo spesso spregiudicato dell'istituto della resignatio in favorem tertii».[20] Infatti, nel 1498 e nel 1510 i vescovi in carica, con il consenso della Santa Sede, rinunciarono alle due diocesi a favore di altri membri della famiglia. Invece, nel 1528 e nel 1554 i vescovi in carica rinunciarono alla sede di Montalcino, mantenendo la sola sede di Pienza, a favore di nipoti, i quali, alla morte o dimissione dello zio, riassumevano la carica di entrambe le diocesi. Questa gestione familiare delle due cattedre vescovili ebbe termine il 23 maggio 1594, con la bollaAd exequendum di papa Clemente VIII, che decise la separazione della diocesi di Montalcino da quella di Pienza, con effetto a partire dalla fine dell'episcopato di Francesco Maria Piccolomini, avvenuta con la sua morte nel 1599.
Il 15 dicembre di quest'anno il papa poté, per la prima volta dal 1462, nominare liberamente un vescovo nella persona di Gioia Dragomanni, il quale si dette da fare per sottrarre al controllo dei Piccolomini le istituzioni diocesane. «L'estinzione del ramo toscano dei Piccolomini d'Aragona insieme alla fermezza del vescovo Dragomanni e dei successori nel non tollerare più simili ingerenze determinarono il tramonto dell'influenza dei patroni nella vita religiosa pientina».[21]
Il primo tentativo di istituire il seminario vescovile pientino fu eseguito dal vescovo Giovanni Spennazzi nel 1657, nei locali dell'ex convento di San Francesco di Pienza; ma questo tentativo fallì, come pure quello messo in atto dal vescovo Settimio Cinughi (1725-1740). Solo con Giuseppe Pannilini venne finalmente eretto il seminario, per le due diocesi di Pienza e Chiusi, nei locali del convento di San Francesco di Pienza, inaugurato il 19 novembre 1792.[22]
Nel Settecento, oltre a una grave crisi demografica, la diocesi dovette subire anche pesanti difficoltà economiche, a causa della penuria delle risorse economiche controllate direttamente dai vescovi pientini, cosa che impedì, tra le altre, la realizzazione dei decreti di riforma decisi dal concilio di Trento, proprio per la mancanza delle dovute coperture finanziarie. Francesco Maria Piccolomini, diventato vescovo nel 1741, cercò di porre rimedio a questo stato di cose per recuperare i diritti episcopali e difendere l'autonomia ecclesiastica contro i poteri forti. Questo gli attirò molte antipatie, finché nel marzo 1764 fu espulso dal Granducato di Toscana e dovette riparare a Roma, da dove governò la sua diocesi, tramite il vicario generale, fino alle dimissioni, date nel 1772.
Ulteriori modifiche territoriali furono realizzate nel Novecento: il 10 maggio 1947 la diocesi pientina cedette all'abbazia territoriale di Monte Oliveto Maggiore la parrocchie di San Nazario[24]; il 28 ottobre 1977 anche quelle di Chiusure e Canonica Grossennana e acquisì dalla diocesi di Montalcino la parrocchia di Pieve a Salti nel territorio di San Giovanni d'Asso.[25]. La parrocchia di Pieve a Salti già apparteneva alla diocesi di Pienza, ed era stata ceduta a quella di Montalcino nel 1789.[26]
La diocesi di Montepulciano fu eretta il 10 novembre 1561 con la bolla Ecclesiarum utilitatem[27] di papa Pio IV, ricavandone il territorio da due diocesi limitrofe, quella di Chiusi e quella di Arezzo.
Dalla diocesi di Chiusi infatti furono acquisite le parrocchie di: San Giovanni a Villanuova (Totonella), San Vincenzo a Castelnuovo, San Vittorino d'Acquaviva, San Pietro all'Abbadia dei Caggiolari, San Silvestro presso Borgo Vecchio sulla Chiana, Sant'Albino in Parcia, Sant'Ilario d'Argiano, San Lorenzo a Valiano, San Egidio a Gracciano Vecchio, Sant'Andrea di Cervognano e Santa Mustiola alle Caggiole. Dalla diocesi di Arezzo, invece: la pieve di Santa Maria in Montepulciano; Sant'Agostino in Montepulciano (dalla riunione di San Bernardo e San Mustiola); la parrocchia del Gesù in Montepulciano (San Bartolomeo); la parrocchia di S. Maria e Lucia (già Santa Maria della Veste nera); la parrocchia di San Bartolomeo a Caselle, (ora in San Biagio); la parrocchia di San Martino, ora in Santa Maria delle Grazie, sotto il borgo di Sant'Agnese; la parrocchia di Santa Maria a Nottola; la pieve della soppressa Badia di San Pietro a Ruoti in Val d'Ambra.[28]
La diocesi era molto piccola, dato che il territorio diocesano comprendeva la sola città di Montepulciano con le sue contrade, e fu resa immediatamente soggetta alla Santa Sede. Grande merito nell'elevazione di Montepulciano a diocesi si deve attribuire al cardinaleGiovanni Ricci, già vescovo di Chiusi, nativo della città, che fu nominato amministratore apostolico della nuova diocesi, in attesa della nomina del primo vescovo, avvenuta nel gennaio del 1562, nella persona dell'arciprete Spinello Benci.
^abCharles Pietri, Luce Pietri (ed.), Prosopographie chrétienne du Bas-Empire. 2. Prosopographie de l'Italie chrétienne (313-604), École française de Rome, vol. I, Roma 1999, p. 559.
^abPietri, Prosopographie de l'Italie chrétienne, I, pp. 835-836.
^Valeria Cipollone - Manuel de Martino, Note per una prima sistemazione del materiale epigrafico altomedievale di Chiusi, in «Goti e Longobardi a Chiusi», a cura di Carla Falluomini, Edizioni Luì, Chiusi 2009, pp. 55-56.
^L'elenco in: Barni-Bersotti, La Diocesi di Chiusi, 1999.
^A. Maroni, Prime comunità cristiane e strade romane nei territori di Arezzo, Siena e Chiusi, Siena, 1973, p. 219.
^Furono cedute a Cortona le parrocchie di Cerreto, Creta, Cignano, Fasciano, Gabbiano, Centoia, Ronzano, Frutticciola e forse Farneta. Barni-Bersotti, La Diocesi di Chiusi, 1999, p. 18.
^Furono cedute a Montalcino le parrocchie di Montenero, Sant'Angelo in Colle, Castel Nuovo dell'Abbate e Sant'Antimo, Seggiano, Ripa d'Orcia. Barni-Bersotti, La Diocesi di Chiusi, 1999, p. 20.
^L'elenco delle pievi, delle parrocchie e delle chiese curate cedute a Città della Pieve in: Barni-Bersotti, La Diocesi di Chiusi, 1999, pp. 22-23.
^L'Archivio diocesano di Pienza, Inventario a cura di Giuseppe Chironi, 2000, p. 26.
^Barni-Bersotti, La Diocesi di Chiusi, 1999, p. 24.
^L'Archivio diocesano di Pienza, Inventario a cura di Giuseppe Chironi, Pubblicazioni degli Archivi di Stato - Strumenti CXLI, 2000, p. 15.
^Il breve in: L'Archivio diocesano di Pienza, Inventario a cura di Giuseppe Chironi, 2000, p. 515.
^Il giuspatronato laicale è il diritto su un beneficio ecclesiastico riconosciuto ad un laico per averlo fondato, dotato dei beni necessari per sussistere e su cui esercita diritti di proprietà. Il giuspatronato passivo è meramente onorifico, nel senso che, per esempio, il titolare di questo diritto non può nominare il rettore ecclesiastico del benefico, benché mantenga la proprietà del patrimonio. L'Archivio diocesano di Pienza, Inventario a cura di Giuseppe Chironi, 2000, p. 19, nota 16. testo della bolla del 28 agosto in: L'Archivio diocesano di Pienza, Inventario a cura di Giuseppe Chironi, 2000, pp. 518-521.
^I. Polverini Fosi, La diocesi di Pienza fra privilegio e riforme, in «La Val d'Orcia nel medioevo e nei primi secoli dell'età moderna», a cura di A. Cortonesi, Roma 1990, p. 427.
^L'Archivio diocesano di Pienza, Inventario a cura di Giuseppe Chironi, 2000, p. 24. La bolla del 1564 alle pagine 528-529.
^La rinuncia a favore di terzi era un istituto, previsto dal diritto canonico dell'epoca, il quale stabiliva che un beneficiato poteva rinunziare al suo beneficio indicando nello stesso tempo il successore, che andava confermato dall'autorità superiore (P. G. Caron, La rinuncia all'ufficio ecclesiastico nella storia del Diritto canonico dall'età apostolica alla Riforma cattolica, Milano 1946, pp. 333-335). L'Archivio diocesano di Pienza, Inventario a cura di Giuseppe Chironi, 2000, p. 20.
^L'Archivio diocesano di Pienza, Inventario a cura di Giuseppe Chironi, 2000, p. 25.
^L'Archivio diocesano di Pienza, Inventario a cura di Giuseppe Chironi, 2000, pp. 475-476.
^Furono cedute alla diocesi di Montalcino le parrocchie di Montegiovi, Campiglia d'Orcia e Bagni San Filippo, Vivo, Castiglione d'Orcia, Vignoni e Bagni Vignoni, Rocca d'Orcia e San Quirico d'Orcia. A Siena venne ceduta la parrocchia di San Lorenzo di Percenna nei pressi di Buonconvento. L'Archivio diocesano di Pienza, Inventario a cura di Giuseppe Chironi, 2000, p. 26, nota 38.
^Pietri, Prosopographie de l'Italie chrétienne, I, p. 615.
^Questo vescovo è storicamente in due occasioni: nel 743 prese parte al concilio romano indetto da papa Zaccaria (Monumenta Germaniae Historica, Concilia aevi Karolini 742-842, prima parte 742-817, a cura di Albert Werminghoff, Hannover e Lipsiam 1906, p. 23,1); il suo nome appare poi in una lunga iscrizione, che era conservata nell'antica basilica di Santa Mustiola, oggi scomparsa, e che attesta l'esistenza di Arcadio nel 729, quando il duca longobardo di Chiusi, Gregorio, e sua moglie, Austreconda, su istanza del vescovo, fecero ricostruire la basilica della santa nella zona subdiale delle catacombe (Valeria Cipollone - Manuel de Martino, Note per una prima sistemazione del materiale epigrafico altomedievale di Chiusi, in «Goti e Longobardi a Chiusi», a cura di Carla Falluomini, Chiusi, Edizioni Luì, 2009, pp. 55-56). Altri autori datano questa iscrizione al 728.
^Indicato all'835 da Cappelletti (XVII, p. 579), all'845 da Barni-Bersotti (p. 44).
^Questo vescovo appare tra le sottoscrizioni della lettera sinodale di papa Leone IV, di incerta datazione, per dirimere una lite tra le diocesi di Siena e Arezzo; gli editori Marlene Polock e Herbert Schneider la ritengono un falso (‘’Die gefalschte Synodalurkunde von Rom’’). Monumenta Germaniae Historica, Die Konzilien der karolingischen Teilreiche 843-859, a cura di Wilfried Hartmann, Hannover, 1984, pp. 495 e seguenti. Anche: Irene Scaravelli, Giovanni, Dizionario biografico degli italiani 55, 2001.
^Il nome Liutprando è riportato da Ughelli (Italia sacra, III, col. 616) e ripreso da tutti gli autori successivi. Tuttavia, tra i manoscritti che riportano gli atti del concilio dell'861, il nome del vescovo di Chiusi appare in una sola occasione; il termine corrotto, Tuprandus Glusinus, viene corretto dagli editori in Tagiprandus ed identificato con il vescovo menzionato nella falsa lettera sinodale dell'850 circa. Monumenta Germaniae Historica, Die Konzilien der karolingischen Teilreiche 860-874, a cura di Wilfried Hartmann, Hannover, 1998, p. 64 e nota 36.
^Vescovo, originario della Spagna, ricordato da frammenti di lastre di marmo, trovate in occasione del restauro della cattedrale di Chiusi nel 1888, che gli assegnano 21 anni e 8 mesi di episcopato. Barni-Bersotti, La Diocesi di Chiusi, pp. 44-45.
^abcdeSchwartz, Die besetzung der bistümer Reichsitaliens unter den sächsischen und salischen kaisern, pp. 203-204.
^Secondo quanto riporta Schwartz (p. 203), questo vescovo è documentato in tre occasioni: nel 998, nel 1007 e in una bolla di papa Benedetto VIII, non datata, ma attribuibile agli anni 1012/1021. Ughelli, e tutti gli autori che dipendono dalla sua cronotassi, riportano una bolla di papa Gregorio V del 996 all'abate Winizone dell'abbazia di San Salvatore del monte Amiata, dove tuttavia non appare mai il nome del vescovo Arialdo di Chiusi (Kehr, Italia pontificia, III, p. 239, nº 5).
^Wido è storicamente documentato nel 1036, 1037 e 1038 (Schwartz, pp. 203-204). Nel concilio romano del 1027 è presente un Widone Lucino, che gli editori delle Monumenta Germaniae Historica interpretano come Widone Clusino. Die Konzilien Deutschlands und Reichsitaliens 1023-1059, a cura di Detlev Jasper, Hannover, 2010, p. 93,6.
^abDiversamente dagli altri autori, Schwartz ammette che, in base ai documenti coevi, bisogna riconoscere nella cronotassi chiusina di quest'epoca la duplice serie: Guido-Pietro-Guido-Pietro, benché anomala e sorprendente. Barni-Bersotti invece, ignorando il documento del 1055 che attesterebbe, secondo Schwartz, l'esistenza di Guido II, prolungano l'episcopato di Pietro I fino a maggio 1058.
^Secondo Barni-Bersotti, Lanfranco è menzionato nella bolla di consacrazione di Graziano vescovo di Ferrara, datata 1063. Questa informazione è presa da Cappelletti, nella voce su Chiusi (vol. XVII, p. 583); tuttavia, nella voce su Ferrara (vol. IV, p. 49), lo stesso autore data la bolla di papa Alessandro II al 1069. L'informazione relativa a Lanfranco nel 1063, è ignota a Gams, Schwartz e Kehr.
^abGiacomo Bersotti, Storia di Chiusi dall'età comunale alla II guerra mondiale, Città di Castello, Labirinto Editrice, 1989.
^Alleato dei senesi, del partito imperiale, fu deposto dal papa e sostituito da Ermanno; si rifugio a Siena, dove continuò ad esercitare le sue funzioni episcopali e ad emanare decreti come vescovo di Chiusi fino alla sua morte, nel 1227 circa. Nel dicembre 1200 sottoscrisse la dipendenza della città di Chiusi da Orvieto; Cappelletti, in questa occasione, lo chiama Lanfranco II, vescovo diverso e distinto da Gualfredo. Giacomo Bersotti, Storia di Chiusi dall'età comunale alla II guerra mondiale, Città di Castello, Labirinto Editrice, 1989.
^G. Robotti, Notizie per la storia della diocesi di Chiusi nel secolo XIII, in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 1963, pp. 305 e seguenti.
^Giovanna Murano, Graziano e il Decretum nel secolo XII, in «Rivista Internazionale di Diritto Comune» 26 (2015), pp. 61-139. Sulla complessa questione se Graziano, il noto giurista medievale, sia stato vescovo di Chiusi, vedere anche: Kenneth Pennington, La Biografia di Graziano, il Padre del Diritto Canonico, in «Rivista Internazionale di Diritto Comune» 25 (2014), pp. 25-60; Giovanni Minnucci, Graziano, in «Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti. Il Contributo italiano alla storia del Pensiero. Diritto, vol. VIII, Roma, 2012, pp 74-77.
^abcdefgL'Archivio diocesano di Pienza, Inventario a cura di Giuseppe Chironi, 2000, pp. 511-513.