Concilio di Cartagine (525)Il concilio di Cartagine del 525 è stata una riunione di vescovi dell'Africa romana, indetta da Bonifacio di Cartagine e celebrata nei giorni 5 e 6 febbraio negli ambienti annessi alla basilica di Sant'Agileo a Cartagine. Contesto storicoNel 523 morì il re vandalo Trasamondo (496-523), che aveva proseguito la politica religiosa di uno dei suoi predecessori, Unerico (477-484), colpendo duramente la Chiesa cattolica, per imporre la fede cristiana ariana. La sede di Cartagine era vacante dalla morte in esilio di Eugenio nel 505. Molti vescovi cattolici erano stati esiliati e molte diocesi erano vacanti da tempo.[1] Il successore di Trasamondo fu Ilderico, figlio di Unerico, che aveva vissuto diversi anni in esilio alla corte di Costantinopoli, dove si era convertito al cristianesimo niceno. La sua politica religiosa fu favorevole al cattolicesimo: mise fine alle persecuzioni, richiamò dall'estero i vescovi esiliati e permise la nomina di un nuovo vescovo per Cartagine nella persona di Bonifacio.[2] Tra le prime preoccupazioni del nuovo primate d'Africa ci fu la convocazione di un concilio africano, per riorganizzare e ricostruire la Chiesa locale dopo anni di persecuzioni, e per prendere le misure necessarie a combattere certe usurpazioni instauratesi nella Chiesa africana.[3] Svolgimento del concilioIl concilio si svolse il 5 e il 6 febbraio 525 in un locale annesso (il secretarium) della chiesa di Sant'Agileo di Cartagine.[3] Tutte le province africane erano rappresentate al concilio:
Gli atti del concilio documentano due sole sedute per questo concilio. La prima, il 5 febbraio, fu aperta da Bonifacio. Dopo il discorso iniziale, intervenne il vescovo Felice di Zattara, che propose di ripristinare i canoni disciplinari e le consuetudini della Chiesa africana. La rilettura di questi canoni occupò tutta la prima giornata. Bonifacio intervenne personalmente su 4 questioni:[8]
Furono inoltre approvati altri canoni, ripresi da concili africani precedenti. Tra questi, i canoni che assegnavano al primate di Cartagine l'obbligo di comunicare ogni anno a tutti i vescovi il giorno della Pasqua.[13] Il 6 febbraio si svolse la seconda seduta del concilio, dove furono affrontate questioni particolari.[8] Ciò che resta degli atti conciliari menzionano una sola questione affrontata nella seconda seduta, ossia le difficoltà intercorse tra Pietro, abate di un monastero della Bizacena, e il suo primate Liberato: il primo, che voleva svincolarsi da Liberato e sottomettersi unicamente al primate di Cartagine, fu scomunicato dal secondo, che non voleva perdere i diritti e le prerogative della sua primazia. La mancanza della parte finale degli atti del concilio non permettono di conoscere la decisione conciliare su questo problema, che probabilmente dette ragione a Pietro, come documentato da un concilio cartaginese del 536.[14] Elenco dei vescovi presentiGli atti conciliari furono sottoscritti da 60 vescovi. Ianuario di Vegesela appose la firma anche per Ianuario di Mascula, il quale, essendo troppo vecchio e malato, non aveva più l'uso delle mani. La maggior parte dei vescovi (47) proveniva dalla provincia della Proconsolare, 9 dalla Numidia, 1 solo dalla Bizacena (Avo di Orreacelia) e dalla Mauretania (Secondino di Mina), mentre la Tripolitania era rappresentata da 3 vescovi. Questo è l'elenco dei vescovi che sottoscrissero gli atti della prima seduta del concilio, secondo l'edizione degli atti di Munier:[15]
Note
Bibliografia
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