Terremoto di Rieti del 1898
Il terremoto di Rieti del 1898 fu un sisma che si verificò in Italia centrale nel 1898, con epicentro a Rieti. Insieme al terremoto del 1298, è stato l'evento più distruttivo nella storia sismica della città tra quelli con epicentro locale.[4][5] EventiLo sciame sismico ebbe inizio nella prima metà del 1898 con delle scosse minori, le più rilevanti delle quali avvennero l'8 febbraio e il 23 aprile.[6] Nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1898, intorno alla mezzanotte e mezza si verificò una prima, debole scossa,[1] che tuttavia non destò preoccupazioni. Poco dopo, alle 00:47 del mattino,[1] si verificò la scossa principale: un fortissimo scuotimento di carattere ondulatorio[1] anche se di breve durata (la terra tremò per circa nove secondi), cosa che probabilmente ne limitò le conseguenze.[1] Ebbe epicentro in corrispondenza di Colle Puzzaro (al confine tra i comuni di Rieti e Cittaducale), nei pressi della frazione Cupaello e dell'odierno quartiere di Campoloniano,[3] e avvenne ad una profondità di 8,1 km.[7] Le conseguenze più gravi si ebbero nel paese di Santa Rufina, dove il terremoto provocò cinque morti, e a Castelfranco, dove si registrarono un morto e cinque feriti.[1] Inoltre Cupaello di Sotto, villaggio di poche case posto nelle immediate vicinanze dell'epicentro,[8] venne pressoché raso al suolo[4] e non fu mai più ricostruito. A Rieti non si verificarono crolli totali, e grazie a questa circostanza si contarono molti feriti ma nessuna vittima.[9] Tuttavia i danni agli edifici furono consistenti, pari all'VIII grado della scala Mercalli:[10] pochissime costruzioni rimasero incolumi, e le lesioni gravi furono diffusissime.[9] Il numero di edifici inagibili o a rischio crollo fu altissimo, tanto che si ebbe la sensazione di aver scampato per poco l'ecatombe: il Brucchietti notò che «tutte le case, dal palazzo al tugurio, sono giunte al limite massimo della loro resistenza; ancora un piccolo urto e tutto sarebbe caduto al suolo»,[11] mentre il quotidiano Il Messaggero scrisse che «un secondo di più che avesse durato la scossa – senza esagerare – Rieti sarebbe rimasta spianata al suolo».[1] Tra i danni più frequenti furono riscontrati il crollo di tetti, solai e muri interni, il cedimento di volte e muri portanti, nonché la perdita di perpendicolarità delle pareti esterne.[12] Tali effetti furono determinati, oltre che dalla scossa, anche dalla scarsa qualità delle costruzioni, molte delle quali carenti nella statica e nella qualità dei materiali impiegati.[13] Feriti e danni gravi si riscontrarono inoltre a Cittaducale,[1] Torricella, Poggio San Lorenzo e Casaprota.[1] Il sisma provocò inoltre la formazione di sette grandi spaccature nel terreno a Santa Rufina ed altre cinque spaccature vicino Castelfranco,[14] nonché l'intorbidimento delle acque delle terme di Cotilia.[15] Gestione dell'emergenzaSubito dopo la scossa, gli abitanti di Rieti furono presi dal panico e si riversarono nelle piazze e nelle campagne, trascorrendo la notte all'aperto.[1] Il terremoto provocò inoltre l'interruzione dell'illuminazione elettrica, cosa che contribuì ad aumentare la confusione.[1] I primi soccorsi furono portati da un gruppo di volontari dell'Assistenza Pubblica guidato dal parlamentare Domenico Raccuini.[1] Nel corso della prima giornata, per la sistemazione dei più bisognosi furono utilizzati i vagoni presenti nella stazione ferroviaria, mentre i Vigili del Fuoco iniziarono il puntellamento degli edifici pericolanti.[1] La notte seguente, alle cinque del mattino, si verificarono due leggere repliche.[16] A causa dell'inagibilità di moltissime abitazioni, il numero degli sfollati fu altissimo e gran parte degli abitanti di Rieti non poté fare rientro a casa. Il governo Italiano incaricò il prefetto di Perugia Tommaso Tittoni di provvedere al ricovero degli sfollati,[1] e il 29 giugno inviò in città 300 vagoni ferroviari[16] e 4000 tende militari da campo,[16] insieme a cento soldati zappatori del Regio Esercito che provvedettero a montarle e a realizzare gli accampamenti[16] (dislocati nella campagna circostante alla città). Fu disposto inoltre l'invio di pane dal panificio militare di Foligno.[16] Re Umberto I donò 25 000 lire a favore dei terremotati di Rieti e 15 000 per quelli di Cittaducale,[17] mentre l'industriale Emilio Maraini elargì 2000 lire ai propri operai e 20 000 lire a favore dell'amministrazione comunale.[18] Grossi disagi si ebbero il 6 luglio, quando un forte temporale allagò la tendopoli;[19] inoltre, ad appena dieci giorni dal sisma, i cittadini dovettero restituire le tende e provvedere autonomamente ad una sistemazione.[20] Il 7 luglio si registrò inoltre un episodio di sciacallaggio, con la diffusione della falsa voce di un'imminente scossa, che provocò il panico tra la popolazione.[20] Lo sciame sismico fu intenso e proseguì per diversi mesi, con decine di repliche che durarono fino al mese di settembre.[12] Nuovi terremoti, non è chiaro se collegati o meno a quello del 1898, tornarono ad interessare Rieti nell'ottobre del 1902 (magnitudo 4,8) e nel maggio del 1903 (magnitudo 4,6).[21] Danni e interventi di ricostruzioneIl terremoto lasciò gravemente danneggiati gran parte degli edifici di Rieti, con numerose perdite sia nel patrimonio artistico che nella fruibilità delle loro funzioni civili o religiose. Tra gli edifici lesionati ci fu il Teatro Flavio Vespasiano, inaugurato appena cinque anni prima, dove crollò la cupola (insieme all'affresco di Giuseppe Casa che la ornava) e una parte della facciata. Alla sua ricostruzione, nel 1901, la cupola venne ornata con una nuova pittura realizzata da Giulio Rolland.[22] Il Palazzo Comunale fu gravemente danneggiato, con il crollo di diverse parti della struttura e la caduta della campana dell'orologio civico.[16] Il 20 luglio collassò un'altra ala del municipio,[23] che pochi giorni dopo fu sgomberato e trasferito in palazzo Vincentini, permettendo l'inizio della demolizione delle parti pericolanti.[24] Mentre alcuni sostenevano la necessità di demolire e riedificare l'intero edificio, l'architetto Giuseppe Sacconi propose di riparare e consolidare il fabbricato esistente, e nel 1903 il consiglio comunale accolse quest'ultima proposta.[25] Gli interventi di riparazione furono avviati nel 1909 ed eseguiti dall'architetto Cesare Bazzani.[26] Rimase pericolante anche l'edificio adiacente al Palazzo Comunale, che ospitava il principale albergo della città (l'albergo della Croce Bianca) ed era attribuito da alcuni al Valadier.[27] Il problema della ricostruzione dell'albergo si trascinò a lungo e fu risolto definitivamente solo negli anni Trenta, quando su un altro lato della piazza fu costruito il nuovo albergo centrale (il Quattro Stagioni) mentre il vecchio albergo fu demolito e sostituito dalla torre in stile razionalista ancora oggi presente.[28] Il terremoto peggiorò la già precaria stabilità del Palazzo Vescovile e dell'Arco di Bonifacio VIII,[29] e fece crollare alcuni tratti della cinta muraria medievale.[16] A causa del terremoto crollarono inoltre gran parte delle altane che ornavano gli edifici della città, una caratteristica architettonica tipica e precedentemente molto diffusa, di cui sopravvissero solo pochi esempi.[12] Furono danneggiati inoltre i centri della vita economica e civile come l'ospedale,[1] lo zuccherificio (nel quale crollò una ciminiera e furono lesionate le pareti esterne),[16] la caserma dei Carabinieri e il carcere di Santa Scolastica.[30] Quasi tutte le chiese furono danneggiate, in particolare la chiesa di San Francesco dove crollò la volta barocca (in seguito sostituita da un tetto a capriate ancora oggi presente) e la chiesa di Sant'Agostino a cui crollò il tetto.[16][30] Subì danni notevoli anche il seminario vescovile.[16] Il campanile duecentesco della cattedrale di Santa Maria Assunta rimase pericolante[16] e fu condannato alla demolizione dal Genio civile, salvandosi solo grazie all'opposizione del vescovo Bonaventura Quintarelli che pagò personalmente le spese del consolidamento.[29] A Castelfranco il terremoto provocò il crollo della chiesa parrocchiale e dell'antica torre di guardia.[1] A Cittaducale furono danneggiati la torre civica, la torre angioina e vari edifici istituzionali (quali municipio, sottoprefettura, ufficio del registro e agenzia delle imposte).[1] In generale, in seguito al sisma, quasi tutti gli edifici furono riparati e in qualche misura consolidati, ma spesso questi interventi furono portati avanti in economia (a volte dai diretti proprietari degli edifici e non da carpentieri esperti), e mancò uno stretto controllo sulla qualità dei materiali e sul rispetto delle buone norme dell'edilizia.[31] Fu notato, in particolare, il diffuso impiego di malte di scarsa qualità,[11] l'errata applicazione delle catene, e il mancato consolidamento di muri deboli o lesionati.[32] Note
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