San Marco 1
Il San Marco 1 (anche noto come San Marco A) è stato il primo satellite artificiale italiano. Si trattava di un satellite di prova delle capacità di progettazione e lancio acquisite dagli ingegneri italiani, in gran parte formati dalla NASA nei primi anni sessanta al fine di poter condurre, successivamente, lanci autonomi; pertanto fu progettato per poche ricerche scientifiche sulla densità dell'aria nella ionosfera[1]. Ha segnato l'inizio della collaborazione spaziale tra Italia e Stati Uniti. È stato il primo dei cinque satelliti del Progetto San Marco (1962-1980). Deve il nome alla nave autosollevante offshore messa a disposizione dall'Eni come piattaforma per i lanci successivi al San Marco 1 (autonomi dalla NASA), il quale invece è stato lanciato dalla Wallops Flight Facility, in Virginia.[2][3] L'Italia è così diventato il quinto Paese a mandare in orbita un proprio satellite, dopo Unione Sovietica (1957), gli stessi USA (1958), Regno Unito e Canada (1962). Va detto che, al contrario di questi ultimi due, anche il lancio è stato gestito da italiani: il razzo era stato donato all'Italia e la base era americana, ma gestita da italiani; a schiacciare il pulsante e a governare la partenza erano stati ingegneri italiani. Ciò renderebbe l'Italia la terza nazione a lanciare autonomamente un proprio satellite. In seguito, nei primi anni 1970, l'Italia ricambiò il favore alla NASA consentendole di lanciare i propri satelliti (Explorer 42, 45 e 48) dalla San Marco, convenientemente collocata in Kenya, presso l'Equatore.[3] StoriaConcepito da Luigi Broglio, Carlo Buongiorno e Franco Fiario nel 1960, fu messo in orbita con la collaborazione statunitense nel 1964: la NASA, infatti, fornì la formazione del personale italiano, la piattaforma di lancio e il vettore Scout[3] alla Commissione per le Ricerche Spaziali[2] (l'Agenzia spaziale italiana sarebbe nata solo nel 1988). Alla progettazione del veicolo spaziale collaborò tra gli altri il fisico Edoardo Amaldi (uno dei Ragazzi di via Panisperna e in seguito tra i fondatori dell'European Space Research Organization, che nel 1968 avrebbe messo in orbita ESRO-2B). Il lancio fu effettuato da personale formato dalla NASA, ma completamente italiano (ovvero, per la seconda volta nella storia spaziale, dopo Ariel 1, esterno all'agenzia statunitense[2]). Lo scopo era effettuare un test prima dei lanci completamente autonomi. La formazione del personale era avvenuta in tre fasi:[3]
Note
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