Platecarpus
Platecarpus (il cui nome significa "polso piatto") è un genere estinto di rettile marino appartenente alla famiglia dei mosasauri vissuto nel Cretaceo superiore, circa 84-81 milioni di anni fa (Santoniano medio-Campaniano inferiore), i cui fossili sono stati rinvenuti negli Stati Uniti, con possibili esemplari fossili provenienti dal Belgio e dall'Africa.[1] Platecarpus è un genere eccezionalmente ben studiato, e buona parte delle scoperte più recenti e rivoluzionarie sull'aspetto e l'ecologia dei mosasauri in generale è dovuta ad alcuni esemplari ben conservati appartenenti a questo genere. Un esemplare ben conservato mostra che questi animali si nutrivano di pesci di medie dimensioni,[2] ed è stato ipotizzato che includessero nella loro dieta anche invertebrati marini, come calamari e ammoniti.[1] Un esemplare eccezionalmente ben conservato di P. tympaniticus, noto come LACM 128319 attualmente conservato presso il Museo di Storia Naturale della contea di Los Angeles,[2] mostra impronte della pelle in varie parti del corpo, pigmenti intorno alle narici, tubi bronchiali e il contorno di quella che in vita sarebbe stata una pinna caudale a mezzaluna. Inizialmente, si pensava che tutti i mosasauri nuotassero in maniera simile ad un'anguilla, ondulando l'intero corpo, tuttavia, la scoperta di questa struttura e studi sulla loro anatomia suggeriscono che questi animali nuotassero dandosi la spinta solo con la coda la parte posteriore del corpo, come gli squali moderni. L'analisi isotopica sui denti suggerisce, inoltre, che Platecarpus e Clidastes fossero in grado di risalire nelle acque dolci occasionalmente, proprio come i moderni serpenti marini.[3] DescrizioneCome tutti i mosasauri, Platecarpus era dotato di un corpo idrodinamico con quattro zampe trasformate in strutture simili a pinne, una testa triangolare fornita di denti appuntiti e conici, e una lunga coda il cui apice era rivolto verso il basso e sovrastata da una pinna dorsale, dandogli una distintiva forma a mezzaluna simile a quella osservata negli ittiosauri e negli squali. Platecarpus era un mosasauro di medie dimensioni con una lunghezza medi stimata di 5,67 metri.[2] Platecarpus faceva parte di una radiazione di mosasauri noti come Plioplatecarpinae, caratterizzati da un cranio corto e corpi tozzi e generalmente considerati tra i più forti nuotatori tra i mosasauri, evolutisi verso la fine Cretaceo superiore. La struttura del cranio di Platecarpus è unica tra i mosasauri. Questo genere è caratterizzato da un cranio corto, con ossa molto mobili, e possedeva meno denti di qualsiasi altro mosasauro (circa 10 denti su ciascun ramo mandibolare). I denti erano lunghi, relativamente sottili e a sezione circolare. L'esemplare LACM 128319 conserva numerosi tessuti molli, tra cui alcune tracce di materia all'interno dell'anello sclerotico che potrebbe essere la retina dell'occhio. Piccole strutture nella retina, ciascuna lunga circa 2 µm e osservate mediante microspettroscopia elettronica a scansione, potrebbero rappresentare melanosomi retinici conservati nelle loro posizioni originali.[2] Lo stesso esemplare presenta anche il canale respiratorio, conservatosi come anelli tracheali cartilaginei, sebbene si sia conservata solo la parte posteriore della trachea, all'estremità del collo vicino al cinto pettorale. L'esemplare conservava anche la sezione in cui si dividono i due bronchi, ma questa sezione è andata distrutta durante lo scavo. Queste caratteristiche sono un'indicazione che Platecarpus, e per estensione tutti i mosasauri, avevano due polmoni funzionanti; i serpenti, strettamente imparentati con i mosasauri, hanno un solo polmone funzionante, mentre il secondo è spesso rudimentale o assente. A differenza delle lucertole terrestri, però, i bronchi si separano davanti alla zona degli arti anteriori anziché a livello degli arti.[2] L'esemplare LACM 128319 conserva anche diverse impronte cutanee come impronte morbide e materiale fosfatico. Le squame presenti sulla punta del muso e sulla parte superiore del cranio hanno una forma alquanto esagonale e non si toccano. Le squame della mandibola sono più lunghe e di forma romboidale, e si sovrapponevano l'una all'altra. Le squame sul muso indicano che le narici esterne erano poste molto in avanti sulla punta del muso e rivolte lateralmente, come nella maggior parte degli squamati e degli arcosauri. Le squame del corpo sono tutte di forma romboidale e formano file diagonali strettamente collegate che si sovrappongono l'una all'altra sui bordi posteriori, ed erano generalmente delle stesse dimensioni per tutta la lunghezza del corpo. Le scaglie presenti sulla coda sono più alte e più grandi di quelle del resto del corpo, sebbene quelle che ricoprono la superficie inferiore della coda siano più simili alle squame del corpo.[2] L'esemplare conserva anche gli organi interni, o viscere, conservatisi come aree rossastre. Una di queste è localizzata nella cavità toracica, nella parte bassa della gabbia toracica, mentre l'altra si trova nella parte superiore della cavità addominale, appena dietro la gabbia toracica. Le aree rossastre sono state analizzate tramite spettrometria di massa ed è stato dimostrato che contenevano alti livelli di composti costituiti da ferro e porfirina. Queste sostanze sono la prova di prodotti di decomposizione dell'emoglobina che potrebbero essersi formati negli organi quando questi si decomposero. In base alla sua posizione, l'organo nella cavità toracica è probabilmente il cuore o il fegato, o addirittura entrambi gli organi. L'organo nella cavità addominale potrebbe essere invece un rene, sebbene sia in una posizione più anteriore rispetto ai reni dei varani, i parenti viventi più stretti dei mosasauri. La posizione anteriore dei reni potrebbe essere stata un adattamento verso un corpo più snello, poiché la loro presunta posizione è simile a quella dei cetacei.[2] Insieme a questi organi, l'esemplare LACM 128319 conserva anche una parte del tratto digestivo e quest'ultima è piena di resti di pesci di media taglia. La forma di questi resti potrebbe delineare la vera forma della parte corrispondente del tubo digerente, molto probabilmente il colon. La presenza di scaglie e ossa non digerite nel colon suggerisce che Platecarpus, e altri mosasauri, processassero il cibo rapidamente e non digerissero, assorbendo completamente tutto il cibo nel tratto gastrointestinale. Anche i coproliti del mosasauro Globidens suggeriscono bassi tassi di digestione e assorbimento, contenendo masse di gusci di bivalvi frantumati.[2] Le vertebre caudali, o della coda, sono nettamente incurvate verso il basso. Le vertebre in corrispondenza della curvatura (chiamate peduncolo caudale) sono a forma di cuneo con spine neurali più larghe alle estremità che alla base. Quest'area depressa probabilmente reggeva un lobo, simile a quello degli squali moderni, probabilmente composta da tessuti molli. Sarebbero stati presenti due lobi, uno inferiore sostenuto dalle vertebre rivolte verso il basso e uno superiore completamente carnoso. La coda bilobata era probabilmente ipocerca, il che significa che il suo lobo inferiore era più lungo di quello superiore. Questa condizione è riscontrabile anche in altri rettili marini estinti adattatisi alla vita marina, come gli ittiosauri e i coccodrilli marini metriorhynchidi.[2] StoriaI primi resti di questo animale furono scoperti nel Mississippi e vennero descritti da Edward Drinker Cope nel 1869: il paleontologo ascrisse i fossili a un nuovo genere e a una nuova specie di mosasauro, Platecarpus tympaniticus. Il nome generico, Platecarpus significa letteralmente "polso piatto", in riferimento alla forma appiattita delle zampe simili a pinne dei mosasauri, in particolare le ossa del polso. Il nome specifico, tympaniticus, è invece un riferimento alle differenze che Cope riscontrò tra l'osso quadrato (allora ritenuto il "timpano") di questo esemplare e quello di Mosasaurus. In seguito, vennerp scoperti vari scheletri di questo mosasauro ritrovati principalmente in sedimenti risalenti al tardo Santoniano fino al primo Campaniano del Cretaceo superiore delle Smoky Hill Chalk, in Kansas, da cui venne recuperato persino un cranio completo.[4] Alcuni di questi esemplari vennero attribuiti a varie specie: oltre a P. tympaniticus, vennero eretti P. ictericus e P. coryphaeus. Platecarpus era spesso considerato il genere più comune di mosasauro presente nel Mare Interno Occidentale durante la deposizione delle Smoky Hill Chalk in Kansas, e la specie Platecarpus ictericus era considerata la specie più comune.[4] Tuttavia questa convinzione era dovuta alla scorretta collocazione di alcuni esemplari fossili all'interno del genere, pertanto Platecarpus viene considerano un genere parafiletico, ed alcune specie originariamente assegnate a Platecarpus sono state riassegnate a dei propri generi. L'esemplare tipo di Platecarpus planiforns fu scoperto dal professor BF Mudge e fu classificato da Edward Drinker Cope come Clidastes planiforns.[4] Nel 1898, dopo ulteriori analisi dei resti, fu stabilito che il mosasauro fosse collocato nel genere Platecarpus.[5] L'esemplare tipo subì un'altra revisione tassonomica nel 1967, quando il paleontologo Dale Russell stabilì che i resti fossero troppo frammentari per essere collocati all'interno di qualsiasi genere e lo considerò un esemplare di "posizione tassonomica incerta".[6] Una scoperta del 2006 nello Smoky Hill Chalk del Kansas ha riaffermato questa posizione con la scoperta di un cranio completo.[7] Nel 2011, venne eretto un nuovo genere, Plesioplatecarpus, da parte di Takuya Konishi e Michael W. Caldwell per incorporare la specie P. planifrons, che hanno scoperto essere distinta da Platecarpus in un'analisi filogenetica.[8] Nel 1994, Angolasaurus venne sinonimizzato in questo genere,[9] tuttavia, studi più recenti hanno riconvalidano questo genere.[8] Questo ha portato Platecarpus ad essere considerato un genere monotipico, in quanto le specie P. coryphaeus e P. ictericus furono trovati come sinonimi della specie tipo, P. tympaniticus.[8][10] Platecarpus fa parte di una sottofamiglia di mosasauri nota come Plioplatecarpinae, caratterizzata da forme con cranio corto e corpo poco specializzato e relativamente tozzo. Un'altra forma simile è Plioplatecarpus, che differisce dalla precedente principalmente per alcune caratteristiche dei denti e dell'omero.[8] Il seguente cladogramma mostra la topologia più risolta da un'analisi dei paleontologi Takuya Konishi e Michael W. Caldwell (2011):[8]
PaleobiologiaDietaRispetto ai ben più grandi tylosauri, i mosasauri plioplatecarpini presentano denti molto meno robusti, suggerendo che si nutrissero di prede più piccole (o più morbide) come pesci di piccole o medie dimensioni ed invertebrati marini, come calamari e ammoniti.[4] LocomozioneTradizionalmente, il nuoto dei mosasauri era stato paragonato a quello delle anguille, ondulando lateralmente tutto il corpo. Tuttavia, la scoperta dell'esemplare LACM 128319 e della presenza in quest'ultimo di una profonda pinna caudale, suggerisce che Platecarpus, e per estensione tutti i mosasauri, nuotassero in maniera più simile ad uno squalo. Le vertebre caudali rivolte verso il basso di Platecarpus suggeriscono che avesse una coda a forma di mezzaluna. Nel punto della coda dove inizia questa si rivolge verso il basso, i centri vertebrali sono accorciati e simili a dischi. Le loro dimensioni ridotte probabilmente consentivano una maggiore flessibilità in un’area che avrebbe subito stress elevati durante il nuoto. Le spine neurali di queste vertebre presentano anche scanalature per l'inserimento dei legamenti interspinali e dei tessuti connettivi dorsali che avrebbero aiutato nel movimento laterale della pinna caudale. I legamenti erano probabilmente costituiti da fibre di collagene che fungevano da molle per riportare la coda in una posizione di riposo dopo che l'energia veniva immagazzinata in essi. Questi tipi di legamenti sono presenti anche in alcuni pesci odierni e servono a risparmiare energia durante l'ondulazione ripetitiva della coda. Quando nuotava, Platecarpus ondulava solamente la coda e la parte posteriore del corpo, mentre la base della coda ed il resto del corpo rimanevano stabili. Questa forma di movimento è nota come locomozione carangiforme (dal nome dei pesci che la utilizzano).[2] La struttura delle squame di Platecarpus potrebbe essere stato un altro adattamento alla vita marina. La piccola taglia e la forma omogenea di queste scaglie potrebbe aver concorso ad irrigidire il corpo, rendendolo più resistente al movimento laterale. Questa rigidità avrebbe migliorato l'efficienza idrodinamica grazie allo scorrimento dell'acqua lungo il corpo. Anche il mosasauroide Vallecillosaurus conserva impronte di squame sul corpo, ma sono più grandi e di forma più varia, suggerendo che l'animale facesse affidamento sul movimento ondulatorio del tronco piuttosto che solo sulla coda. Al contrario, Plotosaurus, un mosasauro più derivato di Platecarpus, presentava squame ancora più piccole, ad indicare un tipo di nuoto ancor più efficiente.[2] Sindrome da decompressioneSembra che Platecarpus fosse adattato a una vita marina in acque basse e costiere, e che fosse un predatore d'agguato.[2] Alcune ipotesi, però, vedono Platecarpus come un cacciatore di profondità: già Williston, nel 1898, studiò l'anatomia dell'animale (in particolare l'orecchio esterno ossificato) e pervenne a questa conclusione. Altri studi (Martin e Rotschild, 1989) mostrarono evidenze di sindrome da decompressione (necrosi avascolare) in un'alta percentuale di ossa di Platecarpus; ciò sembrerebbe in accordo con l'idea originaria di Williston. Tuttavia altri studi (Sheldon, 1997) riguardanti l'ispessimento delle costole di questo mosasauro indicherebbero che Platecarpus avrebbe adottato un sistema di caccia simile a quello degli odierni beluga, cacciatori d'agguato in acque basse. Se costretto a scendere in profondità, Platecarpus avrebbe sofferto della sindrome da decompressione.[2] Note
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