Giacomo Filippo Sacco
Giacomo Filippo Sacco (Alessandria, ? – Milano, 15 agosto 1550[1]) è stato un nobile e politico italiano, presidente del Senato di Milano e uomo di spicco nel governo milanese. BiografiaGiacomo Filippo Sacco, originario di Alessandria, nacque in una data non precisata, figlio di Luchino, dottore in medicina[b 1], appartenente a una famiglia di antica nobiltà, attestata in città sin dalle sue origini alla fine del XII secolo[b 2]. La genealogia familiare includeva un fratello, Agostino Domenico, e una sorella, Monaca, la quale si unì in matrimonio con Nicola Dal Pozzo[b 3][b 4]. Nonostante manchino dettagli sulla sua educazione, si sa che percorse la carriera giuridica, conseguendo una laurea in giurisprudenza. Consiglio segretoLe cronache lo menzionano per la prima volta nel 1513, anno in cui Massimiliano Sforza lo incluse nel Consiglio Segreto - massimo organo politico, amministrativo e giudiziario del Ducato - composto da individui notevoli selezionati per meriti e capacità di gestione, provenienti dalle principali comunità del ducato, inclusa Alessandria[b 5]. Nel tessuto giuridico e politico della Milano del primo Cinquecento, Giacomo Filippo Sacco emerse come figura di rilievo durante il regno dell'ultimo duca di Milano degli Sforza, Francesco II, il quale salì al potere nel 1522. L'arco temporale descritto era segnato da una crisi profonda causata dall'alternarsi di dominazioni francesi e riconquiste sforzesche, che avevano gravemente destabilizzato lo Stato[b 6]. In tale contesto, con la ripresa del castello di Vigevano da parte di Francesco II, Sacco fu selezionato per unirsi al gruppo di fiducia del duca. Insieme a Domenico Sauli e Alessandro Bentivoglio[b 4], fu incaricato di rientrare a Milano per implementare misure volte a regolare i prezzi nella capitale, intervento essenziale per stabilizzare l'economia cittadina[b 7]. Ducalis senatorNel 1525, Giacomo Filippo Sacco, descritto come ducalis senator, contribuì finanziariamente alla comunità di Alessandria con un prestito di 90 scudi[b 8]. Il Senato di Milano, istituzione alla quale Giacomo Filippo fu chiamato a presiedere a partire dal 1530 in seguito a un decreto ducale[b 9], era un organo legislativo istituito da Luigi XI di Francia nel 1499, ispirato agli equivalenti d'oltralpe. Questo organo collegiale, al di sotto del monarca, incarnava l'autorità statale, detenendo ampie funzioni sia dirette sia indirette sulla gestione amministrativa dello Stato milanese. I senatori, caratterizzati da inamovibilità e poteri significativi, erano selezionati esclusivamente dai ranghi sociali più elevati e influenti. Nel suo incarico, Giacomo Filippo Sacco assunse un ruolo cruciale nelle riforme legislative promosse da Francesco II, particolarmente evidente nella riforma della giustizia. La riforma comportò una revisione dei criteri di selezione dei membri del Senato di Milano, culminando nella creazione di un nuovo codice di leggi, le "Constitutiones dominii Mediolanensis". Le Novæ Constitutiones furono iniziate durante gli ultimi anni del dominio sforzesco e completate nei primi anni del governo imperiale di Carlo V. Il lavoro fu portato avanti da un insieme di eminenti giuristi lombardi, tra cui Francesco Lampugnani, Egidio Bossi e lo stesso Sacco[b 10]. Il corpus legislativo delineava specificatamente le responsabilità e le funzioni delle varie autorità giudiziarie, inclusi gli organi incaricati di mantenere la decoro e l'efficienza amministrativa della città[b 6]. Il codice era articolato in cinque libri: il primo trattava delle disposizioni relative agli ebrei, ai senatori e ad altri ufficiali pubblici; il secondo riguardava le tutele, le curatele, i pubblici notai e il processo civile; il terzo le materie di diritto civile; il quarto il diritto penale, il processo criminale, i privilegi fiscali, gli oneri, le acque e le strade pubbliche; il quinto era dedicato agli uffici amministrativi. Promulgato nel 1541, il codice entrò in vigore il 1° gennaio del 1542[b 11]. Il nome di Sacco rimase strettamente connesso a questa significativa opera legislativa, la cui implementazione fornì una struttura legale unificata per il dominio milanese, e stabiliva la prevalenza delle sue disposizioni sugli statuti locali, abolendo di fatto tutte le normative non incluse nel codice. La statura giuridica e l'importanza del codice si riflettono anche nelle sue edizioni successive. La prima edizione stampata del 1541 è riconosciuta come l'edizione ufficiale. Tra le varie edizioni pubblicate, l'ultima includeva il "Libellus de origine iuris mediolanensis" di Francesco Grasso, un legista che aveva partecipato alla compilazione del codice. La penultima edizione, considerata la più accurata e completa, fu curata da Gabriele Verri nel 1747. Questa edizione riportava un «Prodromus de origine et progressu iuris mediolanensis»[2], e fu arricchita con una collectanea, una raccolta di decisioni senatoriali che illustravano la legislazione in vigore[b 11]. La sua posizione di spicco nel gruppo dirigente milanese gli permise di avere rapporti diretti con Massimiliano Stampa, e di frequentare la sua residenza. Giacomo Filippo giocò un ruolo chiave nelle comunicazioni tra il duca e Massimiliano Stampa concernenti il rafforzamento delle fortificazioni di Como, la preparazione di doni diplomatici per gli inviati dell'Imperatore nel 1533, le riparazioni al castello di Vigevano nello stesso anno e l'organizzazione degli apparati per il funerale di Alessandro Bentivoglio[b 12]. Con la morte di Francesco II e la successiva cessione del ducato di Milano alla Spagna nel 1535, Giacomo Filippo Sacco, insieme a Francesco Taverna, gran cancelliere, e a Domenico Sauli, presidente del Magistrato delle entrate ordinarie, prestò giuramento di «debile ma però devota fidel servitù» all'imperatore[b 13]. Quest'ultimo espresse apprezzamento per la «diligenza» e il «maturo consiglio» di Sacco nel proemio delle Novæ Constitutiones, ratificate nel 1541[b 10]. FeudiNel 1530, Giacomo Filippo Sacco ricevette da Francesco II i feudi alessandrini di Pietra Marazzi e di Pavone[b 14][b 11]. Nello stesso anno, agì come procuratore del duca durante il giuramento di fedeltà di Alfonso III d'Avalos, marchese del Vasto, per i feudi di Castelnuovo, Castellazzo e Castelleone vicino a Cremona[b 15][b 11]. Inoltre, nel 1533 rappresentò il sovrano al giuramento di Marco Madea riguardante parti del castello e del feudo di Quattordio[b 16]. Rapporti con AlessandriaIl legame di Giacomo Filippo Sacco con il territorio alessandrino e il suo impatto sulla città rimangono in gran parte non documentati, nonostante la rilevanza strategica attribuita alla città dal duca, che già nel 1530 ne aveva anticipato la modernizzazione delle fortificazioni[b 18]. A tal fine, diversi ingegneri militari furono commissionati da Francesco II per visitare e valutare le difese di Alessandria. Tra questi figurano Michele Sanmicheli[b 19], Lorenzo Leonbruno[b 20] e Giacomo Seghizzi[b 21], tutti attivi nel 1530 e nel 1532. Inoltre, Giacomo Filippo menzionò nelle sue corrispondenze del 1530 un «ingegnere del Duca di Ferrara», esprimendo preoccupazione per le vulnerabilità delle strutture difensive della città. La limitata documentazione conservata negli archivi storici del comune di Alessandria per il primo quarto del XVI secolo rende difficile delineare con precisione il ruolo svolto da Giacomo Filippo Sacco nelle dinamiche tra il centro amministrativo e le aree periferiche. Nonostante la mancanza di dettagli, è evidente che Sacco avesse un ruolo significativo come collegamento diretto tra la comunità di Alessandria e il duca. La sua posizione influente era sostenuta dalla fiducia e dalla stima che il sovrano riponeva in lui, elementi che presumibilmente gli permettevano di agire oltre le funzioni tradizionali delle magistrature, come quella dell'oratore, mantenendo i contatti con la capitale. Singolare un espisodio del 1533 in cui l'ambasciatore della Repubblica di Venezia a Milano, Giovanni Basadonna, fornì una descrizione critica di Francesco Sforza, osservando: «le opinioni sue sono strane, non ostante il suo ottimo discorso; e forse questo avviene per aderire troppo al presidente, il quale di stato sa poco». Il commento sottolinea implicitamente l'influenza significativa che Giacomo Filippo Sacco esercitava nelle materie giuridico-legali, e anche nelle decisioni politiche del ducato, mettendo in luce la sua capacità di impattare sulle scelte di governo ben oltre il suo ruolo formale[b 22]. La documentazione storica rivela un episodio particolare avvenuto durante l'insediamento di Paolo da Lonate ad Alessandria, nominato nel 1535 da Francesco II come governatore della città e dei territori ducali oltre Po. In tale contesto, Giacomo Filippo Sacco ebbe modo di esprimersi in una lettera indirizzata al consiglio degli anziani, dimostrando così il suo ruolo attivo e influente nella mediazione tra il centro di potere ducale e le autorità locali. Questa corrispondenza offre uno spaccato del suo impegno nella gestione delle dinamiche politiche e amministrative:
Il messaggio, inviato da Giacomo Filippo Sacco in data antecedente all'ordine ducale del 18 settembre[b 23], dimostra la sua preoccupazione affinché la comunità di Alessandria non fosse impreparata di fronte a situazioni che avrebbero richiesto rapidi interventi. Questa comunicazione evidenzia un profondo legame con la sua città natale, testimoniato anche dal suo sostegno economico attraverso numerosi prestiti di denaro. In riconoscimento del suo impegno e del legame con la città, la comunità gli dedicò il "Codex statutorum magnifice communitatis atque diœcæsis Alexandrinæ"[b 17], codice che compilava le leggi regolanti la vita cittadina fin dal medioevo, pubblicato nel 1547. Testamenti e patronatiGiacomo Filippo scelse di essere sepolto ad Alessandria, presso la cattedrale di san Pietro, dove progettò la realizzazione di un nuovo mausoleo funerario. La cattedrale di Alessandria era sede di una cappella deidcata a san Perpetuo, già sotto il patronato della famiglia Sacco con Galeotto. Galeotto Sacco, canonico della cattedrale di Alessandria, nel suo testamento del 1440, stabilì il giuspatronato della cappella di san Perpetuo all'interno del duomo, cappella che prese il nome dal santo stesso. Galeotto decise che il suo luogo di sepoltura fosse il «monumento novo per ipsum in ipsa capella constructo», una nuova costruzione all'interno della cappella. Inoltre, provvide alla cappella un sostegno economico attraverso il reddito proveniente dalla vendita di una proprietà immobiliare che possedeva in città[b 24]. Questo atto fu formalizzato nel 1448 con la fondazione della cappellania omonima, confermando l'importante legame della famiglia Sacco con la cattedrale[b 25]. La cappella della famiglia Sacco era originariamente posizionata nell'absidiola settentrionale, adiacente all'abside principale della cattedrale[b 26]. Una collocazione di rilevante importanza architettonica che suggerisce significative modifiche di cui la struttura fu oggetto. In particolare, tra la fine del XV secolo e l'inizio del XVI secolo, si registrarono lavori per l'innalzamento della copertura, sostituendo le tradizionali semiconche medievali. Le modifiche furono probabilmente intraprese dalla famiglia Sacco, che desiderava inserire il proprio monumento funerario in quella sede. Un cambiamento sostanziale avvenne con il trasferimento del simulacro della Madonna della Salve nel 1592, che alterò la dedicazione originale della cappella[7]. Il destino della cappella di san Perpetuo subì una trasformazione radicale nel secondo quarto del XVI secolo, periodo in cui questo spazio, precedentemente un semplice annesso della cattedrale, divenne il centro di un ambizioso progetto di ricostruzione, fortemente voluto dal presidente del Senato. Egli redasse tre testamenti; il primo non è stato reperito, lo stesso testatore affermò di non ricordare quale «notarius rogatus fuerit», ovvero quale notaio fosse stato incaricato della stesura. Gli altri due testamenti furono stesi rispettivamente il 14 aprile 1544 e il 15 ottobre 1549. Le disposizioni contenute in questi ultimi documenti sono chiare riguardo alla volontà del testatore di ricostruire la cappella di famiglia, evidenziando un impegno esplicito verso il restauro e la valorizzazione del sito familiare: «Item sepulchrum mihi eligo in capella Sancti Perpetui mei Juris patronatus in ecclesia mayori civitatis Alexandriæ et si tempus obitus mei capella ipsa non erit constructa secundum que destinavi, lacta sunt fondamenta ex licentia et facultate mihi concessa per canonicos et capitulum dicte ecclesie ac presidentes dicte civitatis, volo que cadaver meum deferatur ad ecclesiam pacis in suburbijs Mediolani.»[8]. Il testatore espresse chiaramente il desiderio di essere inumato nella nuova struttura, la cui costruzione era già iniziata. Documenti del 1544 indicano che le operazioni per la fondazione erano state autorizzate sia dal capitolo della cattedrale sia dal consiglio comunale. Un'analisi comparativa tra i testamenti redatti nel 1544 e nel 1549 mostra costanza negli intenti, evidenziando un particolare interesse per il «Typpum seu modellum ordinatum per magistrum Christoforum Lombardum architectum templi Mayoris Mediolani»[b 27]. L'impiego di Cristoforo Lombardo, architetto di prestigio, rifletteva il gusto e le tendenze prevalenti della classe dirigente milanese del tempo. Il testamento del 1549, particolarmente significativo per essere stato redatto vicino al termine della sua vita, pone in luce l'ambizione del progetto e l'importanza che Giacomo Filippo attribuiva alla sua realizzazione. In esso, si specifica che, in caso di decesso dell'architetto, i lavori sarebbero dovuti proseguire sotto la guida di un altro architetto qualificato, «alius architectus idoneus», capace di interpretare e attuare fedelmente il progetto. Tale disposizione rifletteva la preoccupazione di Giacomo Filippo che, in sua assenza, il proseguimento dei lavori potesse essere lasciato in mano a tecnici locali meno qualificati, garantendo così la continuità della sua visione architettonica[b 28]. Giacomo Filippo instaurò una cappellania permanente, dotata di un cappellano e finanziata da un reddito annuo di 500 scudi, con l'obbligo di celebrare quotidianamente una messa perpetua. Stabilì inoltre che suo fratello, Agostino Domenico, destinasse annualmente alla costruzione della cappella 50 scudi provenienti dai suoi guadagni derivanti dalle tasse sul vino e sulla carne nella città di Alessandria, fino al completamento dell'edificio. Questi fondi, che ammontavano a 2000 scudi per l'architettura e 400 per la decorazione, erano destinati a garantire la realizzazione di un luogo di culto di prestigio. Fu inoltre stipulato che la moglie di Giacomo, Faustina, fosse tenuta a contribuire finanziariamente alla cappella, come specificato nella clausola testamentaria: "teneatur errogare ad beneficium dicte capelle, et eius constructionis et ornamentorum singulo anno quicquid percipier ultra scuta tercentum donec perfecta fuerit dicta capella, simul cum ornamentis [...]"[9]. Questo impegno includeva anche l'acquisto di specifici oggetti sacri e indumenti per i cappellani, come delineato in un altro passaggio del testamento: "anconam unam pro dicto altari, in qua expendantur ad minus scuti ducentum, et debita ornamenta ipsius altaris, et indumenta capellanorum pro celebrandis divinis officijs, ad minus scuti centum, et crucem unam argenteam, calicos duos, et thuribulum unum valoris scutorum centum" [10]. Opere e mecenatismoLe cronache riportano che il cantiere era attivo già nel 1544, e progressi significativi erano stati fatti entro il 1549, anno in cui il testatore documentò l'acquisto di materiali, compensando il suo servitore, Gerolamo di Monte Santo, con 50 scudi per i danni arrecati alla sua proprietà dal deposito delle pietre necessarie alla costruzione della cappella, descritte come "lapidibus" "pro constructione capelle construende in civitate Alexandrie". Ulteriori conferme dell'impegno di Giacomo Filippo nei confronti di questo progetto emergono da un codicillo al suo testamento, datato 28 giugno 1550 e redatto poco prima della sua morte, nel quale esprimeva: "mihi plurimum cordi est perfectio dicte capelle per me iam cepte" [11], evidenziando il suo desiderio di vedere completata l'opera iniziata. La questione sulla localizzazione della struttura commissionata da Giacomo Filippo rispetto all'antica cattedrale suscita interesse, soprattutto in assenza del duomo originale, demolito, che impedisce verifiche dirette sulla conformazione originaria del sito. Documenti d'archivio forniscono indizi che permettono di formulare alcune ipotesi a riguardo[b 29]. Giacomo Filippo, dopo la sua morte, delegò al fratello Agostino Domenico il compito di completare l'edificio. Quest'ultimo, a seguito di circostanze non del tutto chiarite e possibilmente sotto l'influenza di alcuni membri del consiglio cittadino, intraprese azioni significative nel 1553. In quell'anno, Agostino Domenico sollecitò la comunità locale affinché gli venisse assegnata la cappella di san Giuseppe, all'epoca un progetto in stallo a causa di gravi problemi finanziari. La sua intenzione sarebbe stata quella di dedicare la cappella a san Perpetuo, completandola con i fondi lasciati dal fratello. Un documento del Comune datato 16 aprile[b 29] riflette la posizione del consiglio riguardo a tale richiesta, evidenziando l'interazione tra le volontà testamentarie e le dinamiche politico-economiche della città in quel periodo.
Il documento rappresenta una fonte significativa perché stabilisce per la prima volta un legame certo tra la cappella di san Perpetuo e quella di san Giuseppe, quest'ultima effettivamente eretta sul fianco destro della cattedrale. Tale documento acquisisce ulteriore rilevanza nell'ipotizzare l'evoluzione del progetto architettonico del sito. Durante la prima metà del XVI secolo, il presidente del Senato ottenne le autorizzazioni necessarie per costruire un mausoleo funerario che si discostasse dalle forme architettoniche romanico-gotico che ancora predominavano nel duomo, proponendo una collocazione che avrebbe «guasta la fazata dil domo ampliando la cappella di santo Perpetuo che è in ditta gesia». L'interpretazione di questa espressione rimane incerta: potrebbe riferirsi ad un rinnovamento della zona absidale, già occupata dalla vecchia cappella Sacco, oppure a modifiche della facciata del duomo, dove il mausoleo Sacco avrebbe sicuramente imposto visivamente la sua presenza. Tale iniziativa avrebbe emulato il Mausoleo Trivulzio, situato frontalmente alla basilica di San Nazaro in Brolo a Milano, commissionata da Gian Giacomo Trivulzio e progettata da Bramantino, un modello ben noto al committente e a Cristoforo Lombardo, quest'ultimo impegnato nei lavori di completamento della struttura durante gli anni quaranta del XVI secolo. Questo piano offriva l'opportunità ad una famiglia senza eredi diretti[12] di lasciare un'impronta indelebile nel tessuto urbano, una possibilità che la comunità di Alessandria difficilmente avrebbe negato a Giacomo Filippo Sacco, data la sua posizione influente e il suo ruolo significativo nella città. Tuttavia, subito dopo la sua morte, la proposta fu sostituita da una soluzione alternativa, presentata al fratello, che mostrava minor resistenza alle pressioni del consiglio e sembrava meno incline a confrontarsi con esso. Quattro anni dopo la scomparsa di Giacomo Filippo, Agostino Domenico ribadiva nel suo testamento l'impegno a realizzare le volontà del presidente del Senato, specificando «in constituendo capellam quam constitui incipit in suo testamento, et cuius loco ipse Magnificus Dominus Testator [Domenico Agostino] promisit erigere ecclesiam Sancti Joseph testatoris fratris»[b 31]. L'esito del progetto ideato da Cristoforo Lombardo rimane non documentato. Nei cinque anni che intercorrono tra la morte del presidente e quella dell'architetto, avvenuta nel 1555, non emergono prove della sua presenza ad Alessandria; tuttavia, è noto che il cantiere, se iniziato secondo il progetto originario, si protrasse per circa quarant'anni, soggetto a reinterpretazioni successive da parte di varie maestranze[b 32]. Il rilievo di Pietro Casilini[b 30], realizzato nel 1803 poco prima della demolizione della cattedrale e riproposto in questa voce, non fornisce ulteriori dettagli che possano chiarire le questioni ancora aperte. Fonti del XVIII secolo riferiscono di un apparato decorativo situato all'interno della cappella, che includeva un polittico del XVI secolo. Al centro di quest'opera era raffigurata la "Purificazione della Vergine", mentre negli scomparti laterali si trovavano le figure dei santi Perpetuo, Gerolamo, Teobaldo e Caterina[b 33]. Questa raccolta di santi illustra, dunque, l'unificazione di diverse cappellanie, il progetto iniziato da Giacomo Filippo e portato a termine dal fratello nel 1552[b 34]. Durante gli anni quaranta del XVI secolo, Alessandria emerse come un centro significativo per la committenza artistica, un'epoca di cui poco si conosceva fino a recenti aperture fornite da studi orientati ad altri fini. È il caso di Antonio Trotti e Isabella Guasco che, nel 1542, accolsero nel loro palazzo Anton Francesco Doni, proveniente da Genova[b 35]. Doni presentò loro due opere molto apprezzate dello scultore Giovanni Angelo Montorsoli, conosciuto a Genova lavorando per i Doria. Le famiglie Trotti, Guasco e Ghilini rappresentavano il patriziato locale e mantennero rapporti con funzionari ducali residenti in città, tra cui Francesco Maria Stampa e Gaspare Del Maino, quest'ultimo cognato di Massimiliano Stampa avendo sposato sua sorella Margherita. Del Maino morì ad Alessandria nel 1533, dopo aver ospitato membri illustri della corte imperiale e aver ricoperto la carica di referendario[b 36]. In questo contesto, Giacomo Filippo Sacco assunse un ruolo di spicco. Non solo pianificò la costruzione di un mausoleo funerario in stile classicheggiante nella cattedrale, ma fu anche un punto di riferimento essenziale nel processo di rinnovamento che caratterizzò il duomo nel secondo quarto del XVI secolo. Tra le sue donazioni testamentarie, vi fu una serie di arazzi «quibus ornant parietes sale magne et camere eidem contigue domus mee Mediolani», presumibilmente di origine fiamminga, riflettendo un gusto prevalente a Milano negli anni trenta e quaranta del Cinquecento[b 37]. Francesco Gasparolo, all'inizio del XIX secolo, ricordava ancora questi manufatti appesi alle arcate del duomo nuovo durante alcune festività particolari[b 38]. Giacomo Filippo Sacco emerge come una figura di rilievo nel contesto culturale milanese durante il periodo "imperiale", caratterizzato da un'intensa attività artistica che vide la partecipazione di figure di respiro internazionale, tra cui Tiziano. Un ambiente così vibrante ha certamente influenzato Sacco, rendendolo un mecenate sensibile alle novità artistiche. Un episodio noto della committenza di Giacomo Filippo Sacco è descritto da Giovanni Paolo Lomazzo, che cita un'opera di Callisto Piazza[13] nella residenza di Sacco, vicino alla chiesa di santa Maria dei Servi di Milano. Si tratta di un affresco andato perduto: «Potrà osservare anco massime quanto à i coloriti le muse dipinte da Calisto Lodigiano in Milano nel giardino della casa che già fù del Presidente Sacco, appresso la Chiesa de' Servi, dove con molte altre figure si vede il ritratto d'esso Presidente, & di sua moglie. Della qual pittura posso senza nota di temerità dire che non sia possibile quanto alla bellezza de i coloriti farne altra più leggiadra & vaga à fresco»[b 39]. Nonostante l'assenza di una datazione precisa, è probabile che l'opera sia stata realizzata negli anni quaranta del XVI secolo e nel 1714 viene ancora citato da Carlo Torre[b 40]. Questa relazione tra Sacco e l'artista potrebbe anche spiegare la commissione, da parte di Sacco, della pala per l'altare maggiore della cattedrale di san Pietro ad Alessandria nel 1546, raffigurante san Pietro in cattedra, con i santi Baudolino e Valerio negli scomparti laterali, protettori della città[14]. Tale committenza riflette l'apertura di Sacco alle correnti artistiche della Milano cinquecentesca, e il suo impegno nel rinnovamento della cattedrale evidenzia la sua volontà di integrare questi influssi culturali nel tessuto locale[b 41]. Morte e sepolturaGiacomo Filippo Sacco si spense il 15 agosto 1550 a Milano. Dispose che il suo corpo fosse trasferito ad Alessandria per essere sepolto nella cattedrale. Il cadavere di Giacomo Filippo venne provvisoriamente deposto nella chiesa di santa Maria della Pace (Milano) di Milano, dove, non ostante la sua volontà contraria, pare che fosse ancora lì al tempo dell'annalista Ghilini. Sull'alto della parete d'ingresso della cappella di san Giuseppe vi era lo stemma dei Sacchi dipinto, al di sopra dell'organo[b 42]: «[...] desuper [...] praedictis Januis adess Organum, quod est proprium dictæ Capellæ, super quo in muro picta sunt Insignia D. Præsidis Sacchi»[15]. In quel luogo trovò inoltre sepoltura, come si evince da un verbale di una visita pastorale[b 43], e si fa menzione del relativo sigillo tombale, la sepoltura dei Sacchi era al termine - il riferimento, secondo l'uso, è per chi dia le spalle all'altare — della cappella, oltre l'ingresso[b 44]: «Versus finem adest lapis cum hac inscriptione: Sepulchrum Nob. Familiæ de Sacchis Patronæ hujus Sacelli constructum anno 1757»[16]. Matrimonio e discendenzaDopo la morte, nel 1534, di Gian Francesco Stampa, conte di Rosate e cugino di Massimiliano Stampa[b 4], Giacomo Filippo ne sposò la vedova, Faustina d'Augusto Maggiolini[b 45], divenendo il padre adottivo del loro figlio, Giacomo Massimiliano[17]. Giacomo Massimiliano fu inizialmente designato dal castellano del castello di Porta Giovia come successore nel marchesato di Soncino nel 1537 - Massimiliano Stampa e la moglie Anna Moroni ebbero un unico figlio, Francesco, morto all'età di otto anni nel 1528[b 46] - ma al nipote preferì il fratello Ermete modificando la disposizione nel 1540[b 47] Giacomo Filippo e Faustina rimasero senza figli, come già scritto nominò suo erede universale il fratello Agostino Domenico nel testamento del 15 novembre 1549. Quest’ultimo, in mancanza di discendenti diretti, indicò come suo erede Antonio Dal Pozzo, figlio della sorella Monaca, o, in alternativa, per linea di successione, Pietro Camillo e Fabrizio Cane-Bisnati[12]. NoteEsplicative
Bibliografiche
BibliografiaFondi, archivistica
Codici
Storica, annalistica, trattatistica
Biografica
Genealogica, araldica
Ricerche, studi, convegni, pubblicazioni
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