Esponente di famiglia patrizia milanese, primo feudatario della Val Bossa, fu penalista pratico, ricoprendo varie cariche pubbliche nel Ducato di Milano[1], tra cui quella molto importante di membro del Senato di Milano, uno dei più importanti tribunali supremi italiani dell'epoca. Con la sua opera contribuì ad affermare la forza della giurisdizione del Senato milanese, che si riteneva investito della possibilità di giudicare "tamquam Deus", allo stesso modo di Dio.[2]
Fu incaricato dall'ultimo duca di Milano, Francesco II Sforza, di raccogliere decreti ed editti milanesi nelle Constitutiones dominii Mediolanensis, meglio note semplicemente come Novae Constitutiones, che furono promulgate nel 1541 dall'imperatore Carlo V.[3]
La sua opera fu raccolta sistematicamente nel Tractatus varii qui omnem fere criminalem materiam complectuntur,[3] pubblicato postumo nel 1562,[2] in cui esaminò compiutamente il tema della tortura:
Nei Tractatus varii, talora denominati anche Practica criminalis, Bossi mette a frutto la vasta esperienza maturata raccogliendo in centodiciassette titoli le questioni più controverse e rilevanti della materia penale, dando un contributo importante allo sviluppo della criminalistica.[5]
La città di Milano gli ha dedicato una piazzetta in centro.
^abAlessandro Dani, Il Cinquecento e il Seicento, in Alessandro Dani, Maria Rosa Di Simone, Giovanni Diurni, Marco Fioravanti, Martino Semeraro, Profilo di storia del diritto penale dal Medioevo alla Restaurazione, pp. 39-40, Giappichelli, Torino, 2012, ISBN 9788834829974
^Si riferisce alla pratica allora in uso di sottoporre tortura anche l'accusatore.
^ Michele Pifferi, Criminalistica in antico regime, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Diritto, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012.