Francesco MarmittaFrancesco Marmitta (Parma, circa 1464 – Parma, 1505) è stato un pittore e miniatore italiano. BiografiaFiglio del commerciante Marco, Francesco Marmitta nacque a Parma, intorno al 1464, in base ai documenti storici.[1][2] Si formò probabilmente studiando le opere realizzate a Bologna dal pittore della scuola ferrarese Ercole de' Roberti, seguendo inoltre le nuove tendenze pittoriche di Lorenzo Costa, Gian Francesco de' Maineri e Bernardino Orsi da Collecchio.[1] Negli stessi anni frequentò la bottega del pittore e orafo bolognese Francesco Francia, che influenzò la sua attività di intagliatore,[3] per la quale Marmitta è menzionato da Giorgio Vasari nella sua celebre pubblicazione Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori.[1][4][2] Le uniche sue opere documentate sono le decorazioni presenti nel codice petrarchesco privato dell'umanista Giacomo Giglio (Kassel, Landesbibliothek), databile negli anni 1483-1485.[1][2] Nel codice petrarchesco Marmitta evidenziò l'influenza di Ercole de' Roberti e di Lorenzo Costa, oltre che l'utilizzo di temi derivati dall'orificeria.[1] Per quanto riguarda le attribuzioni, tra le più significative vi è il Messale del cardinale Della Rovere, l'Offiziolo Durazzo e la Pala di san Quintino.[1][2] Il Messale del cardinale Della Rovere (Torino, Museo Civico), realizzato negli anni 1490-1492, ci fornisce la notizia di un soggiorno romano di Marmitta, ai tempi di Andrea Mantegna e del classicismo.[3] Nella decorazione del codice per il cardinale Della Rovere, Marmitta dimostrò influenze e ispirazioni dell'ambiente romano, soprattutto per lo stile del «Maestro del Teofilatto», molto apprezzato dal cardinale.[1] Dal 1495 Marmitta è documentato a Parma e agli inizi del XVI secolo risalì l'Offiziolo Durazzo (Genova, Biblioteca civica Berio),[3] per un committente, ancora ignoto, forse un ambasciatore-senatore veneziano presente come astante nella miniatura della Messa della Beata Vergine.[1] Il codice, considerato un capolavoro della miniatura italiana del Rinascimento, mostrò l'influenza del pittore veneziano Giovanni Bellini, oltre che della tradizione padana e dello scultore e orafo Pier Jacopo Alari Bonacolsi.[1] La Pala di san Quintino (Parigi, Museo del Louvre), raffigurante la Vergine in trono tra san Benedetto e san Quintino e due angeli, è la più importante opera su tavola attribuita a Marmitta, ultimata, poco prima di morire, per il monastero benedettino parmense di San Quintino, che si caratterizzò per la presenza di numerosi elementi originati dalla competenza nella miniatura e nell'incisione su pietre.[1][5] Marmitta sposò, tra la fine del 1502 e gli inizi del 1503, Isabella, figlia dell'orafo Innocenzo Canossa,[2] dalla quale ebbe due figli, Ludovico (1503), che proseguì l'attività del padre,[4] e il poeta Giacomo,[4] nato nel 1504, un anno prima della morte del miniatore.[1][2] OpereMiniatureDiversi manoscritti miniati sono attribuiti a lui :
Dipinti
Disegni
Note
Bibliografia
Voci correlateAltri progetti
Collegamenti esterni
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