Don Raffaè
Don Raffaè è un brano musicale del cantautore italiano Fabrizio De André, terza traccia del dodicesimo album in studio Le nuvole, pubblicato nel 1990. Scritto dallo stesso De André insieme a Massimo Bubola e composto da Mauro Pagani, il brano ha la particolarità di essere cantato in napoletano.[2] È stata realizzata anche una versione cantata in coppia con Roberto Murolo, contenuta in Ottantavoglia di cantare, album di Murolo del 1992. La stessa è anche inserita nell'antologia postuma di De Andrè Da Genova, uscita alla fine del 1999,[3] e nella raccolta Effedia - Sulla mia cattiva strada del 2008.[4] Una celebre esecuzione dal vivo di questo duetto da parte dei due artisti è avvenuta in occasione del Concerto del Primo Maggio del 1992. StoriaDon Raffaè nasce dalle collaborazioni di Fabrizio De André con Massimo Bubola per la stesura del testo e con Mauro Pagani per la scrittura della musica. L'uso del dialetto non è inusuale per l'artista, in particolare dopo la svolta world di Crêuza de mä; in passato il cantautore si era già avvalso della lingua napoletana per il ritornello di Avventura a Durango, datato 1978. Il brano denuncia la situazione critica delle carceri italiane negli anni ottanta e la sottomissione dello Stato al potere della criminalità organizzata,[5][6] attraverso il racconto dell'interazione tra Pasquale Cafiero, brigadiere dell'allora Corpo degli Agenti di Custodia del carcere di Poggioreale, e il boss camorrista "Don Raffaè" che si trova incarcerato in tale struttura (personaggio che dà il titolo al brano). L'agente di custodia, sottomesso e corrotto dal potente malavitoso, gli offre speciali servigi (ad esempio fargli la barba), gli chiede diversi favori personali (come il prestito di un cappotto elegante da sfoggiare a un matrimonio o la ricerca di un lavoro per il fratello disoccupato da anni[5]), se lo ingrazia con molti complimenti e gli offre ripetutamente un caffè, del quale esalta la bontà.[7][8] Il testo evidenzia anche, con ironia, quanto il boss all'interno del carcere conduca una vita agiata e ricca di privilegi.[9] Secondo quanto riportato da Mario Luzzatto Fegiz, De André avrebbe affermato che «la canzone alludeva a Don Raffaele Cutolo»,[10] famoso boss camorrista, fondatore della Nuova Camorra Organizzata,[11] benché né lo stesso De André né il coautore Massimo Bubola disponessero «di notizie di prima mano sulla sua detenzione».[10] Lo stesso Cutolo pensò che la canzone fosse ispirata alla sua persona e scrisse al cantautore genovese per chiedere conferma in merito e per complimentarsi con lui,[10] dichiarandosi meravigliato del fatto che De André fosse riuscito a cogliere alcuni aspetti della sua personalità e della sua vita carceraria senza avere mai avuto informazioni su di lui.[10] De André rispose alla lettera di Cutolo solo per ringraziarlo, lasciandolo libero di pensare che "Don Raffaè" fosse davvero lui o meno, ed evitò di proseguire il carteggio quando il malavitoso gli inviò una seconda missiva.[10] Secondo Walter Pistarini, invece, solo Mauro Pagani si sarebbe ispirato a Cutolo, mentre De André avrebbe tratto ispirazione da opere letterarie come Gli alunni del tempo di Giuseppe Marotta e Il sindaco del rione Sanità di Eduardo De Filippo.[12] Il ritornello della canzone è chiaramente tratto da quello del brano 'O ccafè di Domenico Modugno. Formazione
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Note
Bibliografia
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