Il territorio si estende su 441 km² ed è suddiviso in 66 parrocchie, raggruppate in 6 foranie: Mirabella Eclano, Atripalda, Grottolella, Avellino, Monteforte Irpino e Serino.
Storia
La diffusione del cristianesimo nel territorio del municipium di Abellinum, che corrispondeva all'odierno quartiere "Capo la Torre" di Atripalda[1], fu favorita dalla presenza di diverse strade consolari, la vera "rete" della diffusione del vangelo. La scoperta di diverse epigrafi cristiane e la presenza di necropoli e catacombe cristiane attestano «che vi fosse in Abellinum una Ecclesia ben organizzata fin dal tempo di Diocleziano, allorché fu duramente provata dalle persecuzioni».[2]
Incerta è l'origine della diocesi[3], attestata storicamente per la prima volta sul finire del V secolo con il vescovo Timoteo, che prese parte al concilio romano indetto da papa Simmaco nel 499; è probabile che questo vescovo sia lo stesso Timoteo, menzionato senza indicazione della sede di appartenenza, a cui papa Gelasio I (492-496) affidò l'incarico, assieme ad altri vescovi, di istruire un processo contro due laici di Benevento che avevano violato il diritto di asilo arrestando un chierico in una chiesa; è ancora probabile che Timoteo sia da identificare con l'omonimo vescovo, menzionato senza indicazione della sede di appartenenza, che prese parte al concilio indetto da papa Gelasio nel 495.[4]
Un monumentale epitaffio, databile al VI secolo, riporta il nome di Sabino, qualificato come sacerdos e presul nel suo testo, e come sanctus episcopus nell'epitaffio del discepolo Romolo.[1] Incerta è l'identificazione di questo Sabino con il vescovo Sabinus Campanus che accompagnò papa Giovanni I a Costantinopoli nel 525, per far recedere l'imperatore Giustino I dai provvedimenti persecutori contro gli ariani; questa identificazione, sostenuta da alcuni autori, è smentita da altri che ritengono si tratti invece di Sabino di Canosa.[5]
Dopo questi riferimenti storici, della Chiesa avellinese non si conosce più nulla a causa della guerra tra Goti e Bizantini che devastò la regione. Più tardi il territorio avellinese, conquistato dai Longobardi, veniva annesso al ducato di Benevento. Dal VII-VIII secolo fu costruita una nuova città sulla collina de "la Terra", luogo più sicuro e difendibile. La città longobarda era racchiusa fra le mura, quasi un castello, con uno sviluppo urbanistico concentrico intorno alla prima chiesa di Santa Maria. Nell'alto medioevo il circondario di Avellino venne a ricadere sotto la giurisdizione dei vescovi di Benevento.
La diocesi avellinese venne ricostituita nel X secolo. È menzionata per la prima volta nella bolla che papa Giovanni XIII scrisse al metropolita beneventano Landolfo I nel 969, con la quale concesse al prelato la facoltà di consacrare i suoi vescovi suffraganei, fra cui anche quello di Avellino.[6] Tuttavia non si conoscono nomi di vescovi se non a partire dalla metà dell'XI secolo con il vescovo Truppualdo, menzionato in un atto notarile del 1053 conservato nell'archivio dell'abbazia di Montevergine. Altri vescovi noti dell'XI secolo sono: Goffredo, che prese parte al concilio lateranense del 1059, ma la cui attribuzione ad Avellino è controversa; Pietro, conosciuto grazie ad un atto del 1068, nel quale risulta già morto da tempo; e un anonimo vescovo, che nel 1071 partecipò alla consacrazione della chiesa abbaziale di Montecassino.
Nel 1126 il vescovo Giovanni I concesse all'abbazia di Montevergine l'immunità dalla giurisdizione dei vescovi avellinesi[7], che fu confermata dal successore, il vescovo Roberto, e sancita in seguito dai pontefici.
Nel corso del XII secolo fu costruita, con materiale di spoglio dei numerosi edifici romani presenti nel territorio di Avellino, la cattedrale in stile romanico, inaugurata nel 1167 dal vescovo Guglielmo.[8] Nel contesto della costruzione dell'edificio, vennero trovate le reliquie dei santi Modestino, Fiorentino e Flaviano, che furono proclamati patroni della città e della diocesi avellinese. La tradizione, inaugurata dalla Vita scritta dal vescovo Ruggero nel XIII secolo, ha fatto di san Modestino il protovescovo di Avellino.
Il 9 maggio 1466, in forza della bolla Ex supernae maiestatis di papa Paolo II, il vescovo di Frigento Giovanni Battista di Ventura fu nominato anche vescovo di Avellino e le due sedi furono unite aeque principaliter. Tuttavia, nei primi decenni del XVI secolo due vescovi rinunciarono alla sede di Avellino per mantenere la sola sede di Frigento. L'unione si consolidò sotto il vescovo Silvio Messaglia e perdurò fino agli inizi dell'Ottocento.
Secondo la relazione della visita ad limina del 1795, la diocesi comprendeva 4 chiese collegiate, 23 parrocchie con cura d'anime ma senza rendite, 3 parrocchie nella città di Avellino e 130 alunni del seminario.[9]
A seguito del concordato tra la Santa Sede e il Regno delle Due Sicilie, con la bolla De utiliori del 27 giugno 1818, papa Pio VII soppresse definitivamente la diocesi di Frigento: il suo territorio fu incorporato in quello di Avellino, pur restando le due porzioni non contigue tra loro.[2] Al momento dell'unione, la diocesi di Avellino comprendeva[10] gli abitati di Aiello, Atripalda, Bellizzi[11], Candida, Capriglia, Cesinali, Manocalzati, Monteforte, Montefredane, Parolise, Prata, Pratola[12], Salza, San Barbato[13], San Potito, Santo Stefano, Serra[14], Sorbo, Summonte e Tavernola[15].
Nell'Ottocento l'antica cattedrale romanica fu restaurata, conformandola al gusto neoclassico. Fu inaugurata dal vescovo Francesco Gallo (1855-1896), a cui si deve anche la pubblicazione di un catechismo per l'istruzione religiosa dei fedeli; lo stesso vescovo cercò di indire un sinodo diocesano e di promuovere l'Azione Cattolica in diocesi, ma con scarsi risultati.
Vero riformatore della diocesi è stato il vescovo Serafino Angelini (1896-1908): per tre volte organizzò la visita pastorale della diocesi, in preparazione del sinodo celebrato nel 1906; fondò l'«Unione sacerdotale del Sacro Cuore» a favore del clero diocesano, e il «Comitato cattolico diocesano» per la riforma del laicato; nel 1907 ampliò il seminario diocesano per accogliere i seminaristi delle diocesi vicine; riformò il metodo di insegnamento catechistico favorendo la nascita in ogni parrocchia della congregazione catechistica e delle scuole di religione.[9]
Nel decennio precedente la seconda guerra mondiale la diocesi fu governata dal vescovo Francesco Petronelli (1929-1939), che istituì l'Azione Cattolica, la congregazione missionaria diocesana Maria Santissima della Purità e l'Opera delle vocazioni; celebrò il congresso eucaristico diocesano preparata da due congressi locali a Atripalda e a Fontanarosa.
Durante la guerra, a causa dei bombardamenti alleati, andarono distrutti l'episcopio e il seminario.
Dopo il concilio Vaticano II, la diocesi ha subito diverse modifiche territoriali:
il 15 ottobre 1979 ha acquisito due parrocchie dall'abbazia territoriale di Montevergine[16], cedendo alla stessa l'intero territorio del comune di Summonte[17];
il 15 maggio 2005 con il decreto Montisvirginis venerabilis Abbatia della Congregazione per i vescovi nove parrocchie dipendenti dall'abbazia di Montevergine sono state annesse alla diocesi di Avellino, che si è ingrandita con i comuni di Mercogliano, Ospedaletto d'Alpinolo, Sant'Angelo a Scala e nuovamente Summonte.[20]
Nel 1985 è stato istituito il museo diocesano dove furono raccolte le opere d'arte provenienti da tutta la diocesi e che si erano salvate dal terremoto dell'Irpinia del 1980.
Cronotassi dei vescovi
Si omettono i periodi di sede vacante non superiori ai 2 anni o non storicamente accertati.
^Ferdinando Ughelli e storici locali pongono come primo vescovo san Sabino, consacrato dall'apostoloPietro; a questo seguirebbero altri presunti vescovi fino al VI secolo, ricavati da un testo del vescovo Ruggero (XIII secolo) andato perso, ma riportato da Scipione Bellabbona nel suo Avellino Sacro del 1642: un anonimo, sant'Alessandro, san Modestino, Timoteo, Ormisda e Silverio divenuti poi vescovi di Roma, e infine Gioannizio, ricordato da una lapide che parla di lui come presbitero e non come vescovo. Nessuno di questi vescovi ha credibilità storica, ad eccezione di Timoteo e Sabino.
^abCharles Pietri, Luce Pietri (ed.), Prosopographie chrétienne du Bas-Empire. 2. Prosopographie de l'Italie chrétienne (313-604), École française de Rome, vol. II, Roma 2000, pp. 2203-2204.
^Lambert, Studi di epigrafia tardoantica e medievale in Campania, vol. I, p. 131. Ada Campione, Sabino di Canosa tra storia e leggenda, in Salvatore Palese (ed.), La tradizione barese di Sabino di Canosa, Bari 2001, p. 24 e nota 6.
^Testo della bolla vescovile in: Zigarelli, Storia della cattedra di Avellino e de' suoi pastori, I, pp. 72-77.
^Questo il testo della lapide a commemorazione dell'evento:
«Voi che entrate attraverso questa porta per piangere i vostri peccati, dovete passare per me (dice Cristo) poiché io sono la porta della vita. Guglielmo, divenuto vescovo, ha ampliato questa porta per dare a tutti la possibilità di entrarvi per espiare i propri peccati. Il lavoro è stato eseguito nell'anno 1167 dall'incarnazione di Nostro Signore Gesù Cristo nel qual ricadeva la XV indizione.»
^Secondo quanto riferisce Zigarelli (Storia della cattedra di Avellino, II, pp. 411-412), la parrocchia di Maria Santissima Addolorata di Pratola era amministrata "promiscuamente" dai vescovi di Avellino e dagli arcivescovi di Benevento, che a turno nominavano il parroco; la parrocchia passò definitivamente ad Avellino nel 1998.
^Comune autonomo fino al 1869, oggi è frazione di Manocalzati.
^Serra fu comune autonomo fino al 1811, quando fu unito a Pratola a formare il comune di Pratola Serra.
^La parrocchia di Santa Maria Assunta nella frazione Valle di Avellino, e la parte della parrocchia omonima della frazione di Torrette di Mercogliano che ricadeva nel comune di Avellino.
^Pietri, Prosopographie de l'Italie chrétienne, vol. II, pp. 1974-1975.
^Questo vescovo è indicato dalle fonti coeve come episcopus avellanensis, termine che gli autori correggono o in avellinensis, e cioè Avellino , o in atellanensis, in riferimento all'antica sede di Atella, che nel 1053 era stata trasferita ad Aversa. Un vescovo aversano di nome Goffredo è documentato dal 1071 al 1080. Kehr, Italia pontificia, IX, p. 127. Zigarelli, Storia della cattedra di Avellino, I, p. 64. Scandone, Storia di Avellino, p. 155.
^Scandone, Storia di Avellino, pp. 155-156. Questo vescovo è documentato in un atto pubblico di giugno 1068 dove appare già defunto e sono menzionati i suoi eredi. Incerta è perciò l'epoca in cui ha vissuto; secondo Scandone (Storia di Avellino, pp. 156 e 165) potrebbe anche aver preceduto Truppualdo.
^Zigarelli, Storia della cattedra di Avellino, I, p. 83. Massa, Documenti, formule e persone nelle carte di Avellino, p. 11 e nota 27.
(DE) Norbert Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien. Prosopographische Grundlegung. Bistümer und Bischöfe des Königreichs 1194-1266. 1. Abruzzen und Kampanien, München, 1973, pp. 234–238