Dino Ciriaci
Dino Ciriaci (Lanciano, 1914 – Battaglia di Cheren, 10 febbraio 1941) è stato un militare italiano, insignito della medaglia d'oro al valor militare alla memoria nel corso della seconda guerra mondiale[2]. BiografiaNacque a Lanciano, in provincia di Chieti, nel 1914, figlio di Luigi, di professione magistrato, e di Albina Casini.[2] Iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Roma, interruppe gli studi nel luglio 1934 per arruolarsi volontario nel Regio Esercito.[1] Ammesso a frequentare la Scuola allievi ufficiali di Moncalieri, nel dicembre successivo ottenne la nomina a sottotenente di complemento in forza al 2º Reggimento "Granatieri di Sardegna".[1] Trattenuto in servizio a domanda, nel novembre 1936, a guerra d'Etiopia finita, fu trasferito al Regio corpo truppe coloniali d'Eritrea.[1] Prestò servizio dapprima nel Reggimento "Granatieri di Savoia" e nel gennaio 1938 fu assegnato al XII Battaglione coloniale, con cui partecipò alle grandi operazioni di polizia coloniale, venendo decorato con due Croci di guerra al valor militare.[3] Dopo la fine delle operazioni militari trovò lavoro presso la Direzione Superiore di Finanza del governo di Addis Abeba per passare nel giugno 1939 al battaglione coloniale tipo.[1] Promosso tenente nel novembre dello stesso anno, nell’ottobre del 1940, in piena seconda guerra mondiale, venne trasferito al XCVII Battaglione coloniale con l'incarico di aiutante maggiore.[1] In novembre venne nominato sottotenente in servizio permanente effettivo, in seguito a concorso.[1] Cadde in combattimento durante la battaglia di Cheren il 10 febbraio 1941 quando il suo battaglione, che era stato schierato a difesa del monte Sochil, fu investito in pieno dall'attacco inglese.[3] Per il coraggio dimostrato in questo frangente venne insignito della medaglia d'oro al valor militare alla memoria.[2] Onorificenze«Aiutante maggiore di battaglione coloniale, si prodigava incessantemente notte e giorno nel percorrere la linea dei reparti durante furiosi combattimenti, sempre sotto intenso fuoco di artiglieria allo scopo di garantire il collegamento col comando di battaglione. Durante un attacco contro le nostre posizioni, assumeva volontariamente il comando di una compagnia rimasta senza ufficiali, e in testa ad essa si slanciava d’impeto al contrattacco contro forze superiori bersagliandole con lancio di bombe a mano. Sopraffatto non desisteva dalla sua azione eroica. Asportatogli un braccio da una scheggia di granata e colpito ancora mortalmente rifiutava ogni soccorso e invitava un collega a non preoccuparsi di lui dichiarandosi fiero di immolare la sua ardente giovinezza alla Patria. A. O., 5- 10 febbraio 1941.[4]»
— Decreto del Presidente della Repubblica del 20 dicembre 1948.[5] «Comandante di compagnia mitraglieri, durante lungo ciclo operativo, conduceva arditamente, in più combattimenti, il suo reparto all’attacco di formazioni ribelli attraverso terreno boscoso e accidentato. Esempio di calma, coraggio e capacità di comando. Limmù-Ennaria Nonno, 12 febbraio-24 maggio 1938.»
«Nel corso di importanti cicli operativi dimostrava attività instancabile e salda tempra di soldato. In diversi duri combattimenti e in situazioni ardue e difficili, guidava il suo reparto con decisione, ardimento e singolare abilità all’attacco e alla vittoriosa conquista di forti posizioni tenacemente difese dai ribelli. Ghibbié-Gogget, giugno-ottobre 1938.»
NoteAnnotazioni
Fonti
Bibliografia
Voci correlateCollegamenti esterni
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