Cesare Grossi«Ne ho pianto la perdita come italiano e come sportivo: come italiano perché è caduto da soldato nell'adempimento del dovere; come sportivo perché tra i giovani calciatori, era una promessa che dava la sensazione di poter essere mantenuta»
Cesare Grossi detto Cesarino o Ninì (Bari, 22 gennaio 1917 – Tirana, 22 aprile 1939) è stato un calciatore italiano, di ruolo attaccante. Negli anni duemiladieci, su iniziativa congiunta dell'Unione Nazionale Veterani dello Sport e del comune di Bari gli viene intitolata una delle salite dello Stadio San Nicola.[2] Caratteristiche tecnicheAbile sia sulle palle alte che a smarcarsi, era rapido nei movimenti, dotato di un buon possesso palla e non si emozionava facilmente[3]. Era un po' "la mente dell'attacco", in grado cioè d'ideare e realizzare corali azioni d'attacco, essendone lui stesso attore o finalizzatore. Possedeva un tiro forte e deciso; disorientava gli avversari, che non riuscivano a capirne le intenzioni e a fermarlo[1]. Fu soprannominato "il topolino della A" perché piccolo di statura e di corporatura esile[4]; i tifosi del Bari invece usavano chiamarlo "centravanti tascabile" o "mezzo balilla"[5]. CarrieraProveniente dalle squadre giovanili del Bari, esordì in Serie A il 18 aprile 1937 nella prima squadra allenata da Tony Cargnelli in Ambrosiana-Bari (2-2), dove evidenziò già il suo talento mettendo in difficoltà i difensori nerazzurri[5] e diventando dopo quella partita titolare[3]. In poco tempo divenne molto popolare ed amato dai suoi tifosi ed è tuttora considerato uno dei maggiori talenti espressi dal calcio barese. La dirigenza del Bari non lo vendette, nonostante l'Ambrosiana offrì per lui quattrocentomila lire (cifra molto alta per l'epoca)[5]. MilitareNel 1939 s'imbarcò con le truppe italiane per l'Albania, dove era stato mesi prima con il Bari, per un'amichevole a Tirana in occasione delle nozze di Re Zog[6]; qui morì nell'aprile del 1939, colpito da un fulmine[3][6]. In seguito si sparse la voce, mai confermata, che in realtà era stato ucciso in un'imboscata mentre beveva ad una fonte, da un commando di ribelli albanesi e che la notizia era stata nascosta dal regime per motivi d'immagine[5]. Ai suoi funerali ci fu grande partecipazione di popolo, che pianse la perdita di questo giovane campione[1]. CuriositàNacque nel rione Carrassi di Bari[5]. Il dottor Gianni Antonucci, storico del Bari Calcio, racconta di un colloquio avvenuto negli spogliatoi dello stadio della Vittoria al termine della gara Bari-Juve (1-1) del 6 novembre 1938, fra lo stesso Grossi e un altro astro del calcio barese, Raffaele Costantino (forse su confessione di Costantino stesso): "Gli amici dicevano che Foni, Rava, Varglien (difensori juventini) avevano avuto per lui espressioni di elogio, di ammirazione. Grossi, sorridendo rispondeva «quelli vogliono prendere in giro la gente! Lasciamo andare: loro sono campioni sul serio!». Alzandosi dallo sgabello dello spogliatoio, si avvicinava a Costantino, che non aveva giocato, e gli diceva: «Ah, quanto vorrei avere le tue gambe e quel distintivo!» (il distintivo della Nazionale). Costantino rispondeva: «ed io come avrei voluto nascere Cesarino Grossi!»"[7]. Per i ragazzi baresi divenne qualcosa di più di un idolo giacché nel sillabario tenevano la sua foto (che s'acquistava in formato cartolina postale da foto Ficarelli -un noto studio fotografico di Bari- a 20 centesimi) come segnalibro[5]. In una partita contro la Lazio riuscì ad elevarsi più di Viani e Piola che erano alti 1,85 m ciascuno. Il Bari vinse 5-1 ed il merito fu tutto nel suo scardinare la difesa biancoceleste[5]. Volle partire in guerra non solo per il patriottismo che allora coinvolgeva i giovani come lui ma anche per il disappunto sulla mancata cessione all'Ambrosiana[5]. Note
Bibliografia
Collegamenti esterni
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