Alberto Acierno
Alberto Acierno (Palermo, 29 maggio 1960) è un politico italiano, condannato in via definitiva a 6 anni e mezzo di carcere per peculato[1]. BiografiaAcierno è un imprenditore[2]. Eletto deputato alla Camera nel 1994 per il Polo delle Libertà nel collegio Palermo-Capaci, battendo Gianni Minà aderisce al gruppo di Forza Italia. È rieletto nella XIII Legislatura (1996-2001) nella quota proporzionale, nelle liste di Forza Italia, aderisce al gruppo misto, avvicinandosi all'Unione Democratica per la Repubblica (UDR) cossighiana e transitando poi per un breve periodo nel centrosinistra con l'Udeur[3], di cui diviene vice-capogruppo, sul finire della legislatura passa all'estrema destra con la Fiamma Tricolore di Pino Rauti. Eletto deputato all'Assemblea Regionale Siciliana nella XIII legislatura (2001-2006)[4] nel cosiddetto "listino" del Presidente Salvatore Cuffaro in quota Fiamma Tricolore, passa al gruppo misto, aderisce a Nuova Sicilia, poi è fondatore e presidente del gruppo parlamentare "Siciliani Uniti Democratici-SUD", che poi si scioglie e infine presidente del gruppo misto. Non ricandidatosi alle elezioni regionali del 2006, si riavvicina a Forza Italia ed è nominato ad agosto 2006 dall'allora presidente dell'Ars Gianfranco Micciché, direttore della Fondazione Federico II di Palermo, organo culturale del parlamento siciliano. Si è dimesso il 30 novembre 2007, a seguito di polemiche sulla mancata approvazione del bilancio consuntivo 2006 e preventivo 2007.[5] Candidatosi alle elezioni regionali siciliane del 14 aprile 2008 con Il Popolo della Libertà,[6] non viene eletto. Procedimenti giudiziariIl 26 settembre 2009 è arrestato dalla Guardia di Finanza per peculato e appropriazione indebita, relativa alla sua carica alla Fondazione Federico II. È accusato di essersi appropriato indebitamente di circa centomila euro della Fondazione Federico II, finanziata con fondi regionali[7]. Sulla questione era già da tempo aperta un'indagine della Magistratura e della Corte dei conti[8]. L'altro filone d'indagine riguarda l'accusa di sottratto 40.000 euro dal conto del gruppo misto di cui era presidente, che dovevano servire a sanare pendenze con l'erario, l'Inps e i vecchi dipendenti. Nel novembre 2010 il Giudice dell'udienza preliminare del tribunale di Palermo ha rigettato il patteggiamento concordato tra accusa e difesa, ritenendo la pena, pattuita in due anni e otto mesi, troppo bassa[9]. Parallelamente si svolge il giudizio innanzi la Corte dei conti. La Sezione Giurisdizionale d'appello per la Sicilia, con sentenza 153 del 21 maggio 2012, lo condanna per danno erariale a risarcire oltre centomila euro per l'indebito uso delle carte di credito aziendali e prelievo di contanti; l'Acierno, accerta la Corte, ha utilizzato la carta di credito per spese private (alberghi, viaggi anche alle Maldive, acquisti di abiti e mobilio, canoni SKY). Nel novembre 2012 viene condannato a 6 anni e mezzo di carcere per peculato[10][11]. La Corte di Cassazione il 12 novembre 2015 conferma la condanna, definitiva, a sei anni e mezzo di reclusione[1]. Nel luglio 2017 viene inoltre condannato dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti al pagamento di 87.342 euro come danno d'immagine[12]. Note
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