Tractatus logico-philosophicus
Il Tractatus Logico-Philosophicus è l'unica opera pubblicata in vita da Ludwig Wittgenstein – se si escludono un Dizionario per le scuole elementari[1] e l'articolo Note sulla forma logica[2] – ed è considerato uno dei testi filosofici più importanti del Novecento. DescrizioneFu pubblicato in tedesco nel 1921 negli Annalen der Naturphilosophie di Wilhelm Ostwald, con il titolo Logisch-philosophische Abhandlung. Ad attirare l'attenzione degli ambienti accademici – sia britannici che dell'Europa continentale – fu la traduzione in lingua inglese dell'opera, pubblicata l'anno successivo con l'introduzione di Bertrand Russell; il nuovo titolo in latino fu suggerito da George Edward Moore, in omaggio al Tractatus theologico-politicus di Baruch Spinoza.[3] La prima traduzione italiana, con testo originale a fronte, si deve, nel 1954, al gesuita Gian Carlo Maria Colombo[4] che ne curò anche l'apparato di note e l'ampia introduzione critica, in un'edizione divenuta oggi introvabile. La traduzione successiva - pubblicata da Einaudi nel 1964 - si deve al filosofo del diritto Amedeo Giovanni Conte, ed è quella ormai di riferimento, nonostante un uso, talvolta discutibile, di termini desueti.[5] La genesi dell'opera passa per un processo molto articolato, considerata l'intima relazione che sussiste tra il testo e la vita del suo autore. Già durante i primi anni universitari, Wittgenstein sviluppa un interesse quasi ossessivo per la filosofia della logica e della matematica, alimentato dalla lettura dei Principia Mathematica (1910-13) di Bertrand Russell e dal lavoro sui fondamenti della matematica svolto da Gottlob Frege, un interesse che costituirà il propulsore di buona parte della filosofia del giovane viennese fino alla prima metà degli anni venti. Struttura del testoLo stile di esposizione del sintetico volume (meno di 70 pagine) si ispira a quello elaborato dal filosofo e logico tedesco Gottlob Frege, molto ammirato da Wittgenstein.[6] La struttura del testo è composta da una serie di asserzioni numerate ed ordinate in maniera gerarchica: sette principali (1 - 7) ed una serie di commenti subordinati su più livelli. TesiLe sette asserzioni principali
I tre simboli che usa alla proposizione n. 6 significano: tutte le proposizioni atomiche, qualsiasi insieme di proposizioni scelte, la negazione di tutte le proposizioni, cioè tutto ciò che è complesso può essere ricavato da ciò che è semplice. Temi trattatiSezioni da 1 a 4Le sezioni 1. e 2. affrontano la questione dell'ontologia, ossia che cosa costituisce il "mondo": 1.x ne definisce la natura e 2.x definisce la natura dei "fatti". Le sezioni 3. e 4. affrontano il concetto di immagine e pensiero (filosofia del linguaggio). Questa prima parte può essere così riassunta:
Sezioni da 5 a 6Come la chimica aveva ridotto la materia alla somma di elementi atomici, così Wittgenstein volle ridurre il linguaggio alla somma di proposizioni elementari, atomiche come le definì Bertrand Russell nel suo atomismo logico.[7] Proposizione 7Il linguaggio ha una limitazione fondamentale: non si può parlare della "forma logica" ovvero la struttura che accomuna linguaggio e mondo, i "fatti". Il linguaggio dotato di senso è solo quello che si riferisce ai fatti e, dunque, le proposizioni dell'etica, dell'estetica e della religione risultano insensate. Tuttavia, come aveva sostenuto nella proposizione 6.52, "Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto una risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure toccati".[8] InterpretazioniEstremamente complesso, il Tractatus si è prestato a numerose interpretazioni, molte delle quali contestate dallo stesso autore. Mentre molti hanno posto l'accento sui risvolti etici dell'opera ed altri l'hanno considerato un trattato di logica e filosofia del linguaggio, è stato più recentemente proposta una lettura dell'aspetto mistico. A quest'ultima tuttavia è probabilmente lecito muovere la critica di fraintendimento dell'idea di mistico nel Tractatus. Lo stesso Wittgenstein quando parla del mistico lo presenta come ciò che è ineffabile e che si mostra, che "mostra sé", e che pertanto ha la caratteristica fondamentale di non lasciarsi significare dal linguaggio, vale a dire di darsi comprensibilmente nel linguaggio. Leggere il Tractatus in chiave mistica, se per mistico intendiamo quello di cui si parla nel Tractatus, vorrebbe dire allora comprendere un testo assumendo l'impossibilità che questo sia scritto, che vi sia in generale, da che risulterebbe un'evidente contraddizione in termini. Cercare la giusta chiave interpretativa per il Tractatus è problematico. Diversi studiosi di Wittgenstein hanno tentato di trovare se non la chiave interpretativa definitiva, una chiave di lettura che risulti coerente con il testo in ogni sua parte, ma sebbene i risultati siano stati fecondi sotto il punto di vista filosofico e abbiano gettato luce su porzioni del testo di difficile interpretazione, il testo in sé resta mirabilmente "opaco". Il Tractatus sebbene sia un testo filosofico come lo sono tanti altri, pone sin dalle prime pagine dei seri problemi di lettura: 1. l'estrema brevità dell'argomentazione trattata nelle singole parti; 2.l'intreccio continuo di punti di vista differenti quali quello logico, gnoseologico con quello etico ed estetico, che all'interno del libro tuttavia presentano una trattazione unitaria; 3. la difficoltà di dividere il libro per argomenti analizzabili prima separatamente e poi nella totalità, giacché ogni argomento sembra implicare inevitabilmente la totalità come punto di riferimento e non prima se stesso. Il valore del Tractatus sembra proprio quello di essere una fonte di possibile spunto per diverse prospettive filosofiche. Il Tractatus è oggetto di studio e di dibattito in ambiti tra loro differenti quali l'estetica, la filosofia del linguaggio e ovviamente la logica. Secondo la prefazione di Russell al Tractatus il testo si propone l'ambizioso compito di indagare la relazione tra il linguaggio e la realtà e definire i limiti della filosofia articolando le "condizioni per un linguaggio logicamente perfetto". L'obiettivo era quello di creare un sistema filosofico che completasse la teoria dell'atomismo logico dello stesso Russell, sviluppata anche grazie al dialogo intellettuale con il giovane Wittgenstein. In realtà lo stesso Wittgenstein nel Tractatus afferma che non è minimamente interessato a scoprire un linguaggio puro e ideale. Egli anzi non era interessato proprio a nessun linguaggio in particolare ma alla logica che ogni linguaggio, in quanto tale, deve avere. In questo senso l'autore austriaco affermerà soprattutto nella seconda fase del suo pensiero che "le proposizioni del linguaggio comune non sono per nulla, dal punto di vista logico, meno corrette o meno esatte o più confuse delle proposizioni scritte nel simbolismo di Russell o in qualsiasi altra ideografia" e che "tutte le proposizioni del nostro linguaggio comune sono, così come esse sono, in perfetto ordine logico". Il linguaggio comune è solamente più fuorviante rispetto ad altri simbolismi perché nasconde la forma logica del linguaggio, ma non la trascende - "Il linguaggio traveste il pensiero". Compito della filosofia non è allora la tensione verso un linguaggio ideale, ma l'analisi del nostro linguaggio quotidiano, così com'è, allo scopo di intenderlo e interpretarlo scrostandolo dalle confusioni e dai non-sensi di cui per secoli una cattiva tradizione filosofica l'ha ricoperto. Nell'ultima parte, il libro di Wittgenstein giunge ad una radicale definizione del campo di azione della filosofia, suggerendo che ogni discussione metafisica cada al di fuori del regno del significato linguistico. In questo senso va intesa la celebre formula imperativa di Wittgenstein: «Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere». Sussisterebbe perciò un'interpretazione panlinguistica del testo, in merito: «Nell’esporre le teorie del Tractatus costateremo come ogni comprensione del mondo comporti una maggior comprensione del linguaggio; già dai primi assunti ontologici ciò sarà evidente, ma verrà pienamente compreso al termine del nostro percorso. Il mondo altro non è che il correlato del linguaggio; esso coincide con il dicibile in generale, accessibile esclusivamente per mezzo del linguaggio stesso: è possibile parlare solo di un mondo linguistico, all’unica realtà che è possibile riferirsi per mezzo del linguaggio; cioè in generale all’unica realtà su cui si è in grado di asserire qualcosa: non è concepibile un mondo in sé (al di là del linguaggio) e nonostante tutto descriverlo. Mondo e linguaggio sono inscindibili. Tale concezione «panlinguistica» è riscontrabile fin dall’inizio nel percorso speculativo di Wittgenstein: in una lettera del 2 novembre 1911, indirizzata a Ottoline Morrell, riferendosi a Wittgenstein, Russell scrive: «credo che il mio ingegnere tedesco sia pazzo; ritiene che nulla sia empiricamente conoscibile. — Gli ho chiesto di ammettere che non c’era, nella stanza, un rinoceronte, ma si è rifiutato»; si rifiutò perché sosteneva che non si può ammettere l’esistenza di alcunché, eccetto che delle proposizioni.» Edizioni italiane
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