Tommaso PedioTommaso Pedìo (Potenza, 17 novembre 1917 – Potenza, 30 gennaio 2000) è stato uno storico, saggista e avvocato italiano, noto particolarmente per i suoi studi sul brigantaggio e la questione meridionale. BiografiaFormazioneNato a Potenza nel 1917 da famiglia di origine pugliese, prestò dapprima servizio come impiegato nel locale archivio di stato, di cui poi reggerà la sezione provinciale (dal settembre 1943 al febbraio 1944). Conseguì la laurea in giurisprudenza presso l'università "La Sapienza" di Roma, con una tesi sulla "Storia del Diritto Italiano", e si iscrisse all'albo degli avvocati nel 1945. La frequentazione delle idee di Ettore Ciccotti e Gaetano Salvemini, insieme a quella degli ambienti anti-fascisti, porta Pedio ad avvicinarsi allo studio storico.[1] Durante l'occupazione anglo-americana, nel 1943 fondò e diresse la rivista quindicinale Il Gazzettino, di chiaro stampo anti-fascista. Fu capo della redazione italiana della rivista Controcorrente di Boston, durante l'ultima guerra, quando a quest'ultima collaborarono anche Gaetano Salvemini, Ignazio Silone, Angelo Tasca, Ernesto Rossi e Angelica Balabanoff.[1] Attività accademicaPedio fu anche avvocato. Iscritto sin dal 1945 nell'Albo degli Avvocati e Procuratori, agli anni immediatamente successivi risale la sua più intensa attività di giureconsulto penalista.[1] Collaborò anche con riviste di diritto penale, quali l'Enciclopedia del Diritto e diede alle stampe tre delle sue più importanti arringhe: Contro Franco in difesa della libertà dei popoli, Libertà e religione e La soppressione del neonato per causa di onore.[1] Cresciuto in ambienti antifascisti, Pedio si avvicinò presto alle idee di estrema sinistra. Ciononostante, la sua produzione fu sempre lontana, oltre che dalla scuola crociano-liberale, anche dalla scuola marxista, cosa che garantì allo storico di ritagliarsi un suo particolare posizionamento nel panorama degli storici italiani.[1] Nel 1951 riorganizzò il Comitato Provinciale di Potenza per l'Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, rivestendo poi il ruolo di presidente. Nel 1954 fondò la Rassegna lucana.[1] Dopo aver ottenuto la cattedra di Storia Moderna nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bari, insegnò anche Storia Medievale nella Facoltà di Magistero. Fu membro della Deputazione per la Storia Patria della Calabria e della Lucania; della Società Napoletana di Storia Patria e della Deputazione di Storia Patria per la Lucania, di cui dirigerà per lungo tempo la rivista ufficiale. Fu membro inoltre del Centre d'études supérieures de Civilisation Médiévale dell'Università di Poitiers, della Society for medieval archeology di Londra e dell'International Organization Biography di Cambridge.[1] Attività letterariaAppassionatosi allo studio della storia, dalla fine degli anni '40 fino all'inizio dei '60 si dedicò ad un'attentissima e sistematica ricerca d'archivio, volta principalmente ad indagare su fatti poco noti o considerati poco importanti circa gli eventi accaduti tra XVIII e il XIX secolo nel Mezzogiorno e, in particolare, in Basilicata. Curò due inchieste sulla sua regione, la prima nel 1946 per l'Avanti! e la seconda per la Repubblica d'Italia nel 1948.[1] In occasione del suo centenario, nel 1960 pubblicò un lavoro sull'Insurrezione lucana, per il quale vinse il Premio Lions 1960-61.[1] Dal 1969 al 1980 Pedio diede alle stampe decine e decine di pubblicazioni, spaziando dalla storiografia medioevale a quella moderna, pubblicando molte opere sulla Basilicata longobarda, normanna e angioina; e sulla Puglia. Fu infatti per lungo tempo collaboratore della Società di Storia Patria per la Puglia, per la quale curò nel 1975 gli atti del convegno su Emanuele De Deo. Nel 1981 fondò, con Mauro Spagnoletti, la rivista Studi Storici Meridionali. Nello stesso periodo il suo nome venne incluso nell'edizione di Who's who in the World.[1] Nel 1999 la sua attenzione sulla storiografia medioevale sulla Basilicata culmina con la sua ultima opera, il Cartulario della Basilicata, che raccoglie un imponente numero di documenti d'archivio datati dal 476 al 1443. Morì il 30 gennaio 2000 a Potenza. Il Comune di Potenza successivamente gli dedicherà un largo nel centro storico, nei pressi di Porta San Giovanni. Attività storiograficaIl nome di Tommaso Pedio è associato principalmente agli innumerevoli studi condotti sulla storia del Mezzogiorno e della Basilicata. La sua sterminata opera, da cui trasuda l'attenta ed enciclopedica conoscenza delle proprie fonti e bibliografia, riguardò tutti i periodi storici dal medioevo fino all'età contemporanea. Il suo approccio storiografico, esplicitamente espresso anche nell'ambito della propria attività accademica, è stato quello di svincolare l'analisi storiografica dalle ideologie politiche. «Le resistenze ad una revisione sistematica della nostra storiografia sono curiosamente molto forti ancora oggi, nonostante oramai si guardi al di la' dei confini del proprio paese e si aspiri a diventare cittadini del mondo; spesso l'ostacolo è solo ideologico ma la storia non può essere studiata secondo le direttive del partito in cui si milita o di cui si condivide l'ideologia e il programma politico. Dobbiamo liberamente ricostruire il nostro passato anche se ciò significa porsi controcorrente con il risultato di non essere congeniali né agli storici di destra che di sinistra.» Pedio studiò con grande rigore la storia del Regno di Napoli, sfatando più volte il mito del «giardino delle esperidi» decantato dalle stampe pubblicistiche del XVIII secolo, ma allo stesso tempo si tenne lontano dalla tesi di Giustino Fortunato che voleva un Sud naturalmente e geograficamente povero, ponendo risalto invece all'eterna questione della terra e della feudalità, che lo storico potentino fa risalire addirittura a Federico II e alla sua politica di non-smembramento del latifondo. Particolare attenzione, poi, il Pedio riservò al tema del Risorgimento nel Meridione e al fenomeno del Brigantaggio, concentrandosi su quello anti-francese e post-unitario. Lo stile di scrittura di Pedio è semplice, arguto e paratattico. I suoi testi sono alla portata dell'amatore quanto dello specialista. Nelle parole di un suo maestro, «Le sue narrazioni sono ben definite trame e precise serie di fatti fermamente saldate, e concatenate tra loro. L'Autore si ferma su ogni apparenza della realtà, anche sulle cose più volgari e sconcertanti, ma, contrariamente ai modi di un realista o di un psicologista, fonda tutto in una atmosfera di alluccinante [sic] immaginazione, in una vibrante concitazione di stati d'animo, in intensissimo clima fantastico. Tommaso Pedio è un creatore di atmosfere, un autore che rifugge dai modi comuni di guardare la realtà. Le sue narrazioni ci danno il senso delle cose più che la cronaca di esse. Spesso egli cede al fascino dei monti, dei fiumi e dei boschi. Il Suo dire è ricco di succhi vitali, la sua arte è tonica, produttrice e stimolatrice di energie.» Da qui l'evidenza sull'altro lato importante dell'opera di Pedio, ossia l'attenzione che lo storico pone, oltre che ai fattori economici e sociali delle epoche studiate, alla ricerca biografica sui protagonisti, anche marginali, degli eventi studiati: capolavoro, in questo senso, è il suo Dizionario dei patrioti lucani: artefici e oppositori (1799-1870), pubblicato in cinque tomi tra il 1969 e il 1990, che contiene 11.256 biografie di personaggi storici lucani. OpereNella vastissima bibliografia dello storico potentino si distinguono alcune opere[2]. Dal giovanile Processi e documenti storici della sezione di Archivio di Stato di Potenza (1946) al seminale Radicali moderati e conservatori durante la Repubblica partenopea: note ed appunti sul 1799 in Basilicata (1958), da L'Insurrezione lucana nell'agosto del 1860 (1960) al completo Saggio bibliografico sulla Basilicata: dalle origini del Risorgimento alla repressione del brigantaggio: 1700-1870 (1961). A questi saggi seguirono notevoli volumi, spesso espansione dei lavori in rivista, come Storia della storiografia lucana (1964), La relazione Gaudioso sulla Basilicata (1736) (1965), Vita politica in Italia Meridionale: 1860-1870 (1966), Vita di una cittadina meridionale nel Medio Evo e nell'età moderna: note ed appunti (1968). Il suo capolavoro resta, comunque, Dizionario dei patrioti lucani, artefici e oppositori (1700-1870)[3], cui si affiancano La Basilicata borbonica (1986) e Massoni e giacobini nel Regno di Napoli: Emmanuele de Deo e la congiura del 1794 (1986). Per la storia del Risorgimento nel Regno delle Due Sicilie, Pedio pone come principio del movimento la rivoluzione del 1647, da cui secondo lo storico potentino nacque quel movimento anti-feudale che sfociò prima nella Repubblica Napoletana del 1799 e successivamente nelle rivoluzioni del 1820 e 1848. Molto critico è, poi, il suo giudizio sugli eventi del 1860 in Basilicata. Lontano delle interpretazioni estremamente patriottiche di storici precedenti come Michele Lacava, Pedio ricerca le cause del successo del movimento insurrezionale lucano negli interessi della ricca classe borghese: «Di fronte al pericolo di essere privati, sia pure soltanto in parte, della loro ricchezza che consente loro di mantenere una posizione di preminenza nei loro paesi, gli esponenti della ricca borghesia, che non si sono mai preoccupati dei bisogni e delle legittime aspirazioni delle classi più povere, si serviranno del movimento liberale per conservare le proprie ricchezze e mantenere le maggiori cariche cittadine, strumento di prepotenza e di angherie e mezzo per accrescere le proprie fortune. Infatti rinunziando ad ogni eventuale trasformazione politica che non leda gli interessi di coloro che, in Basilicata, detengono la ricchezza, Giacinto Albini, facendosi interprete di quella mentalità, riuscirà ad ottenere l’adesione al movimento insurrezionale anche dalla borghesia conservatrice ad antiliberale che, all’immediata annessione del Mezzogiorno al Piemonte vedrà, nel 1860, la sola possibilità di mantenere sostanzialmente immutata la preesistente situazione economica e sociale.[4]» La grande attenzione dello storico per la ricerca biografica gli consentì anche di giudicare gli appartenenti al movimento come «uomini che, sempre devoti al Borbone, soltanto nell’estate del 1860 aderirono al Comitato dell’Ordine e ne accettarono il programma sol perché convinti che la sua realizzazione avrebbe consentito loro di difendere antichi privilegi e di continuare a rimanere classe dirigente.[5]» Pedio si allontanò anche delle interpretazioni esclusivamente “banditistiche” del fenomeno del brigantaggio postunitario, leggendo invece gli eventi del 1861-1863 come una vera e propria guerra civile. In linea con quanto scritto da Francesco Saverio Nitti, per Pedio gli eventi scatenatisi dal 1861 furono l'espressione della lotta dei «cafoni» contro i «galantuomini» scatenatasi grazie all'azione della ricca borghesia che era riuscita ad assicurarsi, anche col nuovo governo, lo status quo precedente. «Odi di famiglie ed ambizioni personali, prepotenze della nuova classe dirigente che, nuova ai piaceri del comando, sfoga i propri rancori e le proprie ambizioni avvalendosi della protezione che le deriva per i suoi rapporti con i rappresentanti del nuovo regime; la incomprensione che la nuova classe dirigente mostra nei confronti dei miseri e degli oppressi, che nessun beneficio hanno ottenuto con la conseguita trasformazione politica; e le promesse non mantenute consentono ai nostalgici dell'antico regime, ossia alla vecchia classe dirigente ultra-conservatrice, agli impiegati destituiti, al clero ed ai vescovi fautori del potere temporale di servirsi della plebe per opporsi energicamente al nuovo ordine politico. E gli oppressi ascoltano questa voce, credono di poter conseguire un miglioramento materiale e, dimentichi di quella che era stata la loro esistenza prima del 1860, si illudono che una eventuale restaurazione borbonica possa loro arrecare vantaggi e benefici. Intorno ad una speranza e ad una illusione che concretizza tutte le loro aspirazioni, i paria si cercano e si uniscono non con il diretto ed unico scopo di delinquere, ma soltanto per protestare, per ribellarsi al potere costituito, animati dalla illusione di potere, in tal modo, migliorare le condizioni di vita cui sono costretti, sfuggire alla miseria, al servaggio, alla prepotenza ed al sopruso, salvare la propria esistenza e vendicare i torti subiti che la giustizia dello Stato lascia impuniti. Altra causa del malcontento prodottosi in Basilicata tra le classi contadine immediatamente dopo la insurrezione contro il Borbone, è l'atteggiamento assunto nei confronti della questione demaniale dagli uomini che l'insurrezione aveva portato al governo della provincia. Costoro che, tra. i primi atti di governo, hanno dichiarato illegittima ogni azione popolare diretta alla immediata espropriazione delle terre demaniali usurpate, sebbene interessati e sollecitati da uomini che avevano partecipato al movimento insurrezionale, evitano di risolvere anche la questione relativa alle terre non usurpate ed in possesso dei comuni ed, allo scopo di non disgustarsi la classe dei proprietari, assumono un atteggiamento decisamente contrario alla risoluzione del problema delle terre demaniali usurpate.[6]» Lo storico potentino, però, non fu propriamente un antesignano delle tesi anti-risorgimentali e neo-borboniche più recenti. Per Pedio l'adesione alla lotta legittimista delle plebi fu determinata solo dagli eventi del periodo. Come scrisse nel 1966, «nella speranza di conquistare la terra e di vincere la miseria e la fame, i contadini meridionali insorgono assumendo, come propria bandiera, quella che il nuovo regime aveva abbattuto. (…) In tal modo quella che era sorta come inconsueta lotta di classe del povero contro il ricco, assume gli aspetti di una controrivoluzione e di una agitazione armata diretta alla restaurazione dell’antico regime.[7]» Nel 1962 Pedio curò anche la riedizione della autobiografia del brigante Carmine Crocco e del diario del generale José Borjes, protagonista dell'omonima spedizione. In campo medievistico, La Basilicata longobarda (1989), La Basilicata normanna (1989), il dittico La Basilicata da Federico II a Roberto d'Angiò e La Basilicata da Roberto a Renato d'Angiò (1989) e, soprattutto, il Cartulario della Basilicata (476-1443) (1998/1999). PubblicazioniLa lista delle pubblicazioni dello storico potentino comprende:[8]
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