Stragi di Perugia
«(…) Fulmina, Dio, la micidial masnada; / E l’adultera antica e il peccatore / Ne l’inferno onde uscí per sempre cada.» Le stragi di Perugia indicano gli avvenimenti storici risorgimentali avvenuti il 20 giugno 1859 a Perugia, ad opera delle truppe pontificie inviate da papa Pio IX che procedettero all'occupazione della città, con saccheggio e massacro di civili, per punire i cittadini colpevoli di essersi ribellati al dominio dello Stato della Chiesa. StoriaContestoLe "stragi di Perugia" vanno ascritte alla situazione che si verificò durante la seconda guerra di indipendenza che vide per Perugia una cifra stimata di ottocento giovani accorrere volontari nell'esercito sardo sui campi di battaglia dell'Italia settentrionale, mentre, nella stessa Perugia, era pronto un comitato insurrezionale collegato con la Società Nazionale, particolarmente con i centri di quest'ultima a Firenze e a Bologna. Il comitato si mosse il 14 giugno per chiedere al governo pontificio, attraverso il suo rappresentante a Perugia monsignor Luigi Giordani, di abbandonare la posizione di neutralità assunta nella guerra italiana. Il rappresentante pontificio rifiutò di collaborare. Il comitato lo cacciò e diede vita a un governo provvisorio composto da persone di spicco in Perugia quali Francesco Guardabassi, Nicola Danzetta, Zeffirino Faina, Tiberio Berardi, Carlo Bruschi, Antonio Cesarei e Filippo Tantini[1][2], che offrì la dittatura a Vittorio Emanuele. A tale organo supremo facevano capo un comando di piazza, un comitato di difesa e altri organi di pubblica sicurezza. Infatti fu subito chiaro che il governo pontificio era deciso ad arginare i movimenti filo-unitari che minacciavano di estendersi a tutto lo stato, non rinunciava al controllo di Perugia e si preparava a dare un duro esempio, riprendendola con la forza. Era anche chiaro che non c'era da attendersi appoggio da Cavour, che aveva le mani legate da precisi accordi con Napoleone III, anche se l'insurrezione perugina era in sintonia con la sua politica unitaria. Il Cardinal Segretario di Stato Giacomo Antonelli, informato dell'accaduto, comunicò il 14 giugno stesso a monsignor Giordani (ritiratosi a Foligno) di «impedire insieme alla truppa ogni disordine, chiamando anche ove occorra qualche compagnia da Spoleto», nell'attesa di rinforzi di «due mila uomini e forse anche francesi».[3][4] L'aiuto francese fu però rifiutato dal comandante dei corpi d'occupazione de Goyon, ma si approntò la spedizione del 1º reggimento estero, che contava circa 1.700 uomini, guidati dal colonnello Antonio Schmidt d'Altorf.[5] Essi giunsero a Foligno il 19 giugno, dove Schmidt, monsignor Giordani e il Consigliere di Stato Luigi Lattanzi decisero di muovere immediatamente verso Perugia, onde evitare l'arrivo di rifornimenti alla città dalla Toscana.[6] Massacri e saccheggiIl governo provvisorio rivolse perciò un appello al popolo perché si preparasse alla difesa e tale appello fu accolto. Quando il 20 giugno le truppe papali, forti di circa duemila uomini in gran parte svizzeri,[7] si presentarono davanti a Perugia, trovarono un migliaio di cittadini dispersi su un ampio fronte, male organizzati e poco armati - dalla Toscana erano giunte poche centinaia di fucili e per giunta non tutti in buono stato - ma animati dalla volontà di difendersi. La resistenza fu spezzata dopo un breve e accanito combattimento che ebbe come epicentro Porta San Pietro e che costò 10 perdite ai pontifici e 27 ai perugini[8]. Ad esso seguì un saccheggio, accompagnato da stupri, violenze e massacro di civili, che rese immediatamente famoso il primo episodio di guerra popolare del 1859. Figura di rilievo durante le stragi fu quella di Placido Acquacotta, abate del monastero di San Pietro, che nascose e aiutò nella fuga numerosi civili, tra cui Benedetto Spagna, che fuggì presso Mercatello sul Metauro dove trovò rifugio per sé e per i documenti del Governo Provvisorio.[9][10][11] TestimonianzeNumerosi contemporanei descrissero l'accaduto. Così è raccontato nelle parole del Sottointendente militare pontificio Monari: «I soldati passarono sopra queste barricate, presero d'assalto tutte le case ed il convento ove uccisero e ferirono quanti poterono, non eccettuate alcune donne, e procedendo innanzi fecero lo stesso nella Locanda a S. Ercolano, uccisero il proprietario e due addetti, ed erano per fare altrettanto ad una famiglia americana, se un volteggiatore non vi si fosse opposto, ma vi diedero il sacco, lasciando nel lutto e nella miseria la moglie del proprietario e arrecando un danno di circa 2.000 dollari alla famiglia americana. Fatti simili sono accaduti in tre case, dappoiché il saccheggio ha durato qualche tempo durante il quale tre case sono state incendiate. I soldati vincitori hanno fatto man bassa su tutto quanto loro capitava innanzi.» Anche lo storico Pasquale Villari descrisse l'accaduto nella sua opera Storia generale d'Italia: «Furono saccheggiate trenta case, nelle quali — per confessione dello stesso Schmidt — fu fatto massacro delle stesse donne; furono invasi un monastero, due chiese, un ospedale e un conservatorio di orfane, nel quale sotto gli occhi delle maestre e delle compagne due giovanette furono contaminate. Alle immanità dei saccheggiatori seguirono, come legittimo corollario, il Governo statario bandito a Perugia dallo Schmidt, le onorificenze largite a lui ed ai suoi satelliti dal pontefice e i solenni e pomposi funerali indetti, dal card. vescovo Pecci (oggi Papa Leone XIII) con la iscrizione satanicamente provocatrice messa sul catafalco: Beati mortui qui in Domino moriuntur...» L'ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, Stockton, scrisse al suo governo: «Una soldatesca brutale e mercenaria fu sguinzagliata contro gli abitanti che non facevano resistenza; quando fu finito quel poco di resistenza che era stata fatta, persone inermi e indifese, senza riguardo a età o sesso, furono, violando l'uso delle nazioni civili, fucilate a sangue freddo» Il New York Times, in riferimento alla vicenda della famiglia statunitense dei Perkins, testimone e vittima delle violenze, scrisse: «Le truppe infuriate parevano aver ripudiato ogni legge e irrompevano a volontà in tutte le case, commettendo omicidi scioccanti e altre barbarità sugli ospiti indifesi, uomini donne e bambini.» Dibattito storico sulle responsabilità e tesi revisionistaRimane oscuro circa le effettive responsabilità dello Stato Pontificio e della persona dello stesso Pontefice Pio IX, il quale però istituì la medaglia "Benemerenti" per la presa di Perugia da assegnarsi ai soldati pontifici che parteciparono alla presa e promosse poi il colonnello Antonio Schmidt, comandante della spedizione, a generale di brigata; inoltre, il cardinale Vincenzo Gioacchino Pecci (futuro papa Leone XIII) celebrò solennemente i funerali dei dieci soldati pontifici caduti, con l'iscrizione sul catafalco funebre: Beati mortui qui in Domino moriuntur ("Beati i morti che muoiono nel Signore").[14][15] «II sottoscritto Commissario Sostituto Ministro dà incarico a V. E. di ricuperare le Provincie alla Santità di N. S. sedotte da pochi faziosi, ed è perciò che Le raccomanda rigore perché servir deve di esempio alle altre, e com. si potranno tenerle lontane alla rivoluzione. Do inoltre facoltà a V. S. di poter fare decapitare i rivoltati che si ritrovassero nelle case, non che risparmiare la spesa al Governo, e fare ricadere, tanto il vitto che la spesa della presente spedizione alla Provincia stessa. L'ordine, divenuto pubblico il 29 giugno, fu smentito dal governo pontificio, che lo definì «maligna invenzione» e comunque 'dolosa'.[16] La storica Angela Pellicciari evoca la tesi secondo cui l'insurrezione di Perugia (Strage di Perugia, che strage non è) sarebbe stata un evento esplicitamente voluto dallo stesso Cavour, come pretesto un anno dopo per l'invasione delle Marche.[18] Il 17 ottobre 2008, in occasione di un convegno organizzato dal Circolo Giorgio La Pira dal titolo ‘Perugia, XX giugno 1859. Una rilettura della nostra storia’, alla presenza degli storici Francesco Pappalardo, Valerio De Cesaris e Roberto Martucci, viene affermato che «Nel 1859, allo scoppio della Seconda guerra d’indipendenza, che vede l’Impero francese e il Regno di Sardegna contrapposti all’Impero d’Austria, il conte Cavour lancia in Lombardia la parola d’ordine dell’insurrezione generale e immediata. Tuttavia, le capacità della Società nazionale e dei cospiratori locali si rivelano inadeguate: in concreto nulla di significativo accade a Milano fino allo sgombero delle truppe austriache e non mancano, anzi, manifestazioni filo-asburgiche nelle campagne lombarde e nel capoluogo. Le cose vanno meglio per il Conte nei piccoli Stati della penisola, grazie alla destabilizzazione interna condotta dagli agenti cavouriani con le tecniche abitualmente usate dalle potenze europee in un contesto coloniale: invio di agenti provocatori, acquisto dei notabili locali, promesse di carriera ai quadri militari. I movimenti di metà giugno nelle Marche pontificie sono del tutto effimeri e le ribellioni rientrano prima dell’arrivo dell’esercito, mentre a Perugia i membri del Governo provvisorio, pur non avendo alcuna possibilità di successo, decidono di resistere, ascoltando i suggerimenti di Cavour che intende trarre profitto da quella resistenza sul piano propagandistico. Anzi, secondo don Giacomo Margotti, direttore del giornale cattolico piemontese L’Armonia, ‘avendo pochi settari ribellata Perugia alla Santa Sede’ e chiesto al Cavour come regolarsi, ‘ebbero in risposta da quell’autorevole diplomatico doversi difendere; giacché anche nel caso di avversa fortuna, meglio era far figurare il Papa come carnefice, che farlo comparire come vittima’. La sollevazione si risolve in un grave insuccesso per i liberali, che possono però gridare alle ‘stragi di Perugia’ dopo la riconquista pontificia del 20 giugno, ordinata direttamente dal segretario di Stato di Papa Pio IX, il card. Giacomo Antonelli, che chiede di trattare con severità i capi degli insorti. Il sostituto ministro alle Armi invita il colonnello Schmid, comandante di un reggimento di svizzeri, a intervenire con il massimo rigore, che diventa però grave violenza dopo l’ingresso dei soldati in città. Non sembra esservi mai stato un ordine di saccheggio, cosicché sembra verosimile la versione ufficiale pontificia che definisce i caduti civili come vittime di ‘truppa che aveva perso il controllo’.» Resta comunque il fatto che una certa tradizione storiografica rimane su toni accesi per le suddette responsabilità papali[20][21][22][23][24][25]. In ogni caso, per le azioni compiute a favore dell'Unità d'Italia, la città di Perugia è dal 1898 la nona tra le 27 città decorate con medaglia d'oro come "benemerite del Risorgimento nazionale"[26] L'archivio documentale del Governo Provvisorio è custodito presso la Biblioteca comunale Augusta[27][28]. Reazioni cronachisticheDurante le violenze condotte dalle truppe, una famiglia statunitense (la famiglia Perkins), poté rendere note le stragi di Perugia con larga eco in tutto il mondo, venendo recepite come "stragi autorizzate dal papa", e divenendo un punto fermo della tradizione patriottica cittadina. Non si deve al caso ma a una consapevole pianificazione se, durante la seconda guerra mondiale, la liberazione della città, già abbandonata giorni addietro dagli occupanti nazisti, fu fatta coincidere con la ricorrenza della strage del 20 giugno[senza fonte]. Citazioni letterarie
MonumentoA ricordo delle stragi e della strenua difesa cittadina, nel primo cinquantenario dell'avvenimento (1909), fu edificato un Monumento ai caduti del 20 giugno 1859, ad opera di Giuseppe Frenguelli. L'abitato compreso tra Porta San Costanzo, il convento e la basilica di San Pietro con edifici annessi, i giardini del Frontone, fino a Porta San Pietro è stato rinominato "Borgo XX Giugno" o "Borgo Bello". CommemorazioniOgni anno il Comune di Perugia dedica dei festeggiamenti civici in occasione della fatidica data, con preposte celebrazioni e la deposizione di una corona di fiori rispettivamente ai piedi del monumento funebre ai caduti presso il Cimitero Monumentale di Perugia e alla base del Monumento in Borgo XX Giugno[29][30][31][32]. Inoltre diverse associazioni culturali organizzano manifestazioni, presentazioni di libri, convegni e soprattutto visite guidate nel quartiere e la Società generale operaia di mutuo soccorso degli artisti ed artigiani di Perugia espone i labari storici listati a lutto (custoditi nel proprio archivio), che ricordano le vittime della strage e che, all'inizio del XX secolo, erano posti nei luoghi ove si svolsero gli avvenimenti[33][34][35]. La massoneria del Grande Oriente d'Italia annovera e celebra la data del 20 giugno come festa simbolo di libertà contro il potere temporale pontificio in quanto, secondo la tradizione, i componenti del Governo Provvisorio erano tutti massoni[36][37][38][39]. Note
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