Il termine si rifà alla radice araba "s-w-d" (che indica il colore "nero"), considerando il contrasto del colore di quel terreno irriguo col verde delle coltivazioni e il bianco-avana del Deserto arabico circostante.[1]
Il Sawād non fu ripartito tra i guerrieri che se n'erano impadroniti nel corso delle prime conquiste che coinvolsero la Siria-Palestina, l'Egitto e, appunto, la Mesopotamia, ma fu dichiarato dal Califfo bene demaniale, suscitando non pochi malumori tra i combattenti, vista l'estrema fertilità del suo terreno.
In esso la manodopera servile fu abbondantemente impiegata, non solo per i più diretti compiti agricoli, ma per raschiare regolarmente lo strato superficiale del terreno, imbevuto dall'acqua canalizzata dei due fiumi e dalle marcite. L'accumulo di fosfati, se non rimosso, rendeva infatti sterile il terreno nel volgere di pochissimi anni e un enorme numero di schiavi, provenienti dalle coste orientali africane, visse per lunghi periodo in condizioni igieniche assai precarie.
Fu nell'area quindi che, in margine all'Anarchia di Samarra che quasi distrusse il Califfato abbaside, scoppiò alla fine del IX secolo la lunga e pericolosissima rivolta degli Zanj, domata con gran fatica e a prezzo di elevatissime perdite umane ed economiche da al-Muwaffaq, reggente per conto di al-Mu'tamid,
Hermann Wagner, "Die Überschätzung der Anbaufläche Babyloniens und ihr Ursprung", in Nachrichten von der Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen, Philologisch-Historische Klasse (1902), pp. 224-298
Max van Berchem, La propriété territoriale et l'impót foncier sous les premiers califes. Étude sur l'impót du kharàg, Ginevra, H. Georg, 1886