Con la deposizione dell'imperatoreRomolo Augusto, nel 476, ebbe termine l'Impero romano d'Occidente e il re germanico Odoacre assunse il governo della Diocesi Italiana, ufficialmente in nome e per conto dell'imperatore d'OrienteZenone, che gli conferì la dignità di "Patrizio" e lo riconobbe come suo vicario. Un contemporaneo, il vescovo africano Vittore di Vita, gli attribuì impropriamente il titolo di "Re d'Italia", di cui Odoacre in realtà non fece mai uso: le monete da lui coniate, infatti, riportano soltanto il nome (Flavius Odovacar), mentre il suo unico documento ufficiale sopravvissuto lo definisce semplicemente Rex, senza alcuna determinazione etnica o geografica[4]. Nel 493, dopo quasi vent'anni di governo, Odoacre venne sconfitto e ucciso dal re ostrogoto Teodorico, che conquistò l'Italia instaurandovi il Regno ostrogoto. Gli Ostrogoticaddero nel 553 e, dopo una breve parentesi di restaurazione imperiale (553-568), su gran parte della penisola si insediarono i Longobardi guidati da Alboino. A un'epoca imprecisata risale la realizzazione della Corona ferrea, che venne utilizzata nell'incoronazione dei Re d'Italia dal trecento.
Durante il Medioevo il Palazzo Reale di Pavia ospitò la corte dei re longobardi e successivamente dei re d'Italia. Venne distrutto nell'XI secolo.
La conquista del Regno longobardo da parte di Carlo Magno (774) sancì una svolta: il sovrano franco prese il titolo di "Re dei Longobardi" e successivamente, nell'800, anche quello di "Imperatore dei Romani", incorporando l'Italia centro-settentrionale nell'Impero carolingio da lui fondato. Nei documenti di cancelleria la denominazione di "Regno d'Italia" (Regnum Italiae), avvenne in maniera sporadica sotto Carlo e sistematica a cominciare dal nipote Lotario I che acquisì il titolo ex novo di Re d’Italia dal Papa.[5]. Mentre la documentazione ufficiale emanata dalle cancellerie continuò a riportare l'intitolazione di "Re dei Longobardi" per tutta l'epoca carolingia, cronisti e annalisti presero a chiamare di frequente i sovrani del Regno con il titolo di "Re d'Italia"[6]. Nel X secolo, sul finire dell'epoca della cosiddetta Anarchia Feudale, è attestato anche quello di "Re degli Italici" (Rex Italicorum), usato da Ottone I di Sassonia dopo la sua discesa in Italia[7].
A partire dal 962 il Regno d'Italia legò le sue sorti al Sacro Romano Impero di Ottone I e dei suoi successori. Anche se l'ordinamento politico del Regno cominciò a sgretolarsi con l'avvento dell'età comunale, i sovrani di Germania, che si definivano Re dei Romani (Rex Romanorum) dopo l'elezione da parte dei principi dell'Impero, continuarono comunque per diversi secoli a oltrepassare le Alpi per cingere la corona ferrea e proseguire verso Roma, dove ricevevano la corona imperiale dalle mani del Papa e acquistavano il diritto di fregiarsi del titolo di Imperatore. L'ultima incoronazione fu quella di Carlo V d'Asburgo, che si tenne nel 1530 a Bologna. Nella sua veste di re d’Italia l’imperatore aveva come suo vicario il duca di Savoia, sebbene questo titolo fu sempre puramente onorifico.[8]
Titolatura
Le formule di intitolazione utilizzate presso le cancellerie dei sovrani del Regnum Italiae medievale erano in genere di questo tipo[9]:
Versione latina (originale)
(nome del Re) Divina favente Clementia Rex
(nome del Re) gratia Dei Rex
(nome del Re) Divina ordinante Providentia Rex
Traduzione italiana
(nome del Re) con il favore della Divina Clemenza Re
(nome del Re) per grazia di Dio Re
(nome del Re) per disposizione della Divina Provvidenza Re
Il trono era ereditario nella discendenza maschile legittima, sia naturale che adottiva. Nel primo Statuto Costituzionale si sosteneva che l'unione delle corone di Francia e Italia fosse dovuta alla «sicurezza dello Stato»: quando le armate straniere si sarebbero ritirate era previsto che Napoleone trasmettesse la corona italiana ad uno dei suoi figli legittimi, naturale oppure adottivo, e da quel momento in poi le due corone non si sarebbero più potute riunire[10]. Il potere esecutivo si concentrava nelle mani del Re, che nominava i ministri e i membri del Consiglio di Stato, l'organo centrale del Regno, nonché i presidenti dei collegi e della censura, i presidenti e questori del Corpo legislativo, i presidenti e procuratori generali di corti e tribunali, i prefetti, i consiglieri di prefettura e i podestà dei comuni di prima classe, i rettori delle università e gli ufficiali dell'esercito. Poteva inoltre convocare e sciogliere il Corpo legislativo e presiedere le riunioni del Senato consulente[11]. Il Re era anche gran maestro dell'Ordine della Corona ferrea.
Per tutta la breve esistenza del Regno l'autorità regia fu demandata al viceré Eugenio di Beauharnais, figliastro di Napoleone.
Titolatura
L'intitolazione usata negli atti di Napoleone era la seguente[10]:
Napoleone per la grazia di Dio e per le Costituzioni Imperatore dei Francesi e Re d'Italia
Pur essendo già capo dello Stato, a seguito della concessione dello Statuto Albertino il 4 marzo 1848 al re vennero attribuiti numerosi poteri. Stabilente il ruolo preminente del re nell'esecutivo dello Stato - un "Governo Monarchico Rappresentativo"[12] - retto da un monarca di età maggiorenne (18 anni) e di sesso maschile: il trono passava agli eredi attraverso la legge salica. Se questi era di età minore, le funzioni e prerogative spettavano a una reggenza (solo in caso di assenza di parenti maschili questa era di diritto esercitata dalla regina madre).
Lo Statuto riconosceva al monarca l'azione legislativa, in condivisione con le camere del parlamento, che venivano da lui convocate e di cui il Senato era interamente nominato per volere regio (altrimenti secondo le ventuno categorie riportate nell'art. 33); il re sanzionava e promulgava le leggi. Nel capitolo riguardante le disposizioni transitorie, il re poteva decidere di "fare le leggi sulla Stampa, sulle Elezioni, sulla Milizia comunale, e sul riordinamento del Consiglio di Stato"[13]
Oltre a ciò al re spettava l'esclusività del potere esecutivo - il governo non era guidato formalmente da un Presidente del Consiglio: era infatti composto da soli ministri, che venivano nominati e rimossi a discrezione del monarca - e del "Comando supremo dello Stato"[14]: questo stabiliva la possibilità per il re di firmare trattati (senza informare il parlamento) e di condurre la politica estera del regno, nominare tutte le cariche dello Stato e il comando supremo delle forze armate. Come caratteristica degli stati monarchici, la Giustizia veniva amministrata in nome del re, da cui emanava. Aveva anche il potere di grazia e di commutare le pene inflitte.
Agli articoli 19, 20 e 21 veniva stabilito il principio di separazione tra il patrimonio della Corona e il patrimonio privato del re, caratteristica degli stati costituzionali: infatti, fino al 1848 il regno di Sardegna era uno stato assoluto, in cui il re era proprietario del regno e poteva disporne di come meglio credeva. Era uno "stato patrimoniale".[15]
Dal punto di vista strettamente legale, lo Statuto Albertino creava un'architettura istituzionale costituzionale, che negli anni successivi alla prima guerra d'indipendenza si venne a trasformare in una sorta di parlamentarismo: tutto ciò però avvenne nella sostanza, non nella forma, tantè che con l'avvento della dittatura fascista[16] la carta costituzionale venne totalmente stravolta, attraverso quegli stessi meccanismi che avevano garantito il periodo liberale dell'Italia unita.
L'intitolazione usata durante la monarchia sabauda fu approvata il 21 aprile 1861 ed era la seguente[17]:
(nome del Re) per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d'Italia
Il 10 maggio 1946, giorno successivo all'abdicazione di Vittorio Emanuele III, il Governo decise di rimuovere la formula per grazia di Dio e per volontà della Nazione dall'intitolazione, che si ridusse semplicemente a[18]:
Umberto II Re d'Italia
Dopo il Referendum istituzionale del 2 giugno del 1946, Re Umberto II, in contrasto col Governo e col Capo Provvisorio dello Stato, partì per l'esilio contestando la legittimità delle consultazioni elettorali e senza riconoscere la Repubblica Italiana; sicché dal 13 giugno, quale Sovrano non abdicatario, modificò nuovamente la formula reale, risultando pertanto la titolatura:
Sempre attraverso lo Statuto, al re venivano attribuiti assegni, beni mobili e immobili per l'esercizio delle funzioni governative e di rappresentanza che gli competevano. È da specificare che questa dotazione era costituita dalla Lista Civile, quota di denaro annuale devoluta dal bilancio dello Stato, e la dotazione della Corona vera e propria, composta da palazzi, ville, tenute e beni mobili di vario genere. Tutto questo era amministrato dal re attraverso un insieme di uffici che presero il nome di Real Casa, che a lui rispondevano.
^Desumibile dall’inquartato concesso al duca di Milano in occasione della sua elevazione monarchica nel 1395: “d'oro, all'aquila abbassata di nero, lampassata di rosso e coronata del campo”.
In corsivo i regnanti titolari de iure ma non de facto, oppure i pretendenti al trono, quindi senza effettiva sovranità sui territori italiani
Note:
^non è chiaro con quale titolo Odoacre regnò in Italia ma gli storici concordano sull'attribuirgli quello di Re d'Italia, assegnatogli dal contemporaneo Vittore Vitense.
^non da Imperatore, contese il trono ad Enrico II il Santo