Otocyon megalotis

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Otocione
O. m. megalotis, parco transfrontaliero Kgalagadi
Stato di conservazione
Rischio minimo[1]
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
PhylumChordata
ClasseMammalia
OrdineCarnivora
FamigliaCanidae
SottofamigliaCaninae
TribùVulpini
GenereOtocyon
SpecieO. megalotis
Nomenclatura binomiale
Otocyon megalotis
Desmarest, 1822
Areale
Areale dell'Otocione e delle sue sottospecie basata sui dati IUCN.

L'otocione (Otocyon megalotis Desmarest, 1822), detto anche megalotide,[2] o volpe dalle orecchie di pipistrello, è una piccola volpe indigena dell'Africa subsahariana. Si riconoscono due sottospecie, separate da circa 1.000 chilometri: l' O. m. megalotis dell'Africa meridionale e l' O. m. canescens dell'Africa orientale. Viene classificato dalla IUCN tra le specie a rischio minimo, dato il suo vasto areale e la sua adattabilità, sebbene possa essere minacciato localmente da carenze alimentari e da malattie.[1]

Il nome del genere deriva dal greco ōt- (orecchio) e cýōn (cane), con il significato di "dalle orecchie di cane".

Si tratta di una volpe primitiva, il cui genere ebbe origine in Sudafrica nel Pliocene superiore.[3] Oltre le orecchie larghe, la specie dispone di numerose caratteristiche distintive, quali una mascherina di pelo nero, una mandibola con una sporgenza subangolare con 46-50 denti, il numero più alto di qualsiasi mammifero placentato. È l'unico canino veramente insettivoro, cibandosi in maniera particolare di termiti della famiglia Hodotermitidae. La sottospecie meridionale è monogama, come gran parte delle altre volpi, ma la forma orientale dimostra comportamenti poligami.

Descrizione

Otocione. Da notare la mascherina
Scheletro

L'otocione è un canino di corporatura smilza, con arti snelli, una coda lunga e folta, e orecchie cospicuamente grandi. I maschi adulti solitamente pesano 4.1 kg, mentre le femmine pesano 3.9 kg, eccezione fatta nel Botswana dove si segnalano femmine marginalmente più pesanti dei maschi. La specie è unica fra gli euteri terrestri per il possedimento di 4-5 molari inferiori funzionanti, ed è ulteriormente unico fra i canini nell'avere 3-4 molari superiori. Sebbene da cuccioli dispongano d'una dentizione da latte tipicamente canina, gli esemplari adulti perdono la superficie tagliente dei carnassiali, e i molari diventano progressivamente più rugosi,[4] ideali per triturare gli insetti.[5]

La mandibola è fornita d'una protuberanza sotto l'angolo detta "processo subangolare". Questa sporgenza serve per ancorare un muscolo che permette la masticazione rapida. Una modificazione del muscolo digastrico conferisce all'animale l'abilità di aprire e chiudere la mandibola cinque volte al secondo.[3]

La superficie superiore delle orecchie e la coda, il muso, la mascherina, e gli arti sono neri, mentre una chiazza biancastra si estende dalla fronte ai bordi esterni delle orecchie. La mandibola, la gola, il petto e l'addome sono coperti da pelo color beige o miele. I peli sul corpo e la coda hanno basi nere e punte bianche, conferendo alla pelliccia un aspetto brizzolato o grigiastro, mentre i fianchi sono di color camoscio.[4]

Evoluzione e tassonomia

Illustrazione comparativa di crani dei tre generi di volpi, con l'otocione in basso a destra. Si nota il maggior numero di molari e la vistosità del processo subangolare

Fossili

Il paleontologo Xiaoming Wang ha proposto che la specie discenda da Prototocyon, originario dell'India.[6] I resti fossili più antichi del genere Otocyon vengono dalla grotta dei focolari nel Makapansgat in Sudafrica, e sono risalenti al Pliocene superiore. I resti di una specie estinta, Otocyon recki, sono stati rinvenuti in sedimenti risalenti al Pliocene superiore-Pleistocene inferiore nella gola di Olduvai in Tanzania.[3]

Filogenia

La posizione tassonomica dell'otocione entro i canini ha subito numerose revisioni, data la sua morfologia anomala. Thomas Henry Huxley, nel 1880, propose che l'otocione fosse il canino più primitivo, come dimostrato dalla sua dentatura.[7] Fu proposto da più di un autore, in base alla morfologia, che l'otocione fosse imparentato con gli urocioni nordamericani.[8][6] Una filogenia proposta nel 2005 in base al genoma mitocondriale dei canini odierni dimostra però che l'otocione è infatti un membro della tribù vulpini (che ingloba il nittereute e le vere volpi):[9]


 Caninae 

Urocioni

Volpi

Otocione

Nittereute

Vere volpi

Veri cani (canidi lupini e sudamericani)

Sottospecie

Dal 2005, la MSW[10] riconosce due sottospecie:

Comportamento

Comportamenti sociali e territoriali

Gli otocioni non sono territoriali, e si vedono soprattutto in gruppi di due o tre esemplari composti da una femmina e due maschi. Le coppie dormono nella stessa tana, spesso sdraiandosi in contatto fra di loro e facendosi la toelettatura a vicenda. La mancanza di territorialità nella specie è illustrata dal fatto che in una zona ricca di termiti e di coleotteri, ci possono essere circa 19-28 otocioni in un solo km², una densità non osservata negli altri canini. I gruppi familiari vagano spesso negli stessi spazi senza alcun antagonismo, e le loro tane possono essere separate fra di loro anche soltanto da un centinaio di metri di distanza.[5]

Le tane sono tipicamente al livello del suolo, con numerose entrate, e ricoperte di vegetazione. Sebbene sia un abile scavatore, l'otocione preferisce modificare le tane scavate dai facoceri, gli oritteropi, le lepri saltatrici e altri animali scavatori. Con l'eccezione delle feci dei cuccioli, le tane di otocione sono notevoli per la loro pulizia.[5]

La comunicazione tra gli otocioni è principalmente visuale, con una varietà di posizioni auricolari e caudali, enfatizzati dai peli neri. La coda viene invertita in una posizione uncinata per esprimere vari stati di eccitazione, come la paura, l'allarme e il desiderio di giocare. I vocalizzi sono per la maggior parte molto contenuti e raramente usati, tranne in situazioni di pericolo o di gioco.[4]

Riproduzione e crescita

Nell'Africa meridionale, l'otocione è monogamo, mentre in Africa orientale è poligamo. I maschi di otocione si producono con due o più femmine imparentate che nutrono i cuccioli senza riguardo alla maternità. La stagione degli amori ha luogo da luglio a settembre, con 10 accoppiamenti al giorno per vari giorni. Il nodo dura quattro minuti, e viene seguito da comportamenti giocosi. I cuccioli nascono dopo una gravidanza di 60-75 giorni, con le cucciolate contenendo dai 1-6 piccoli. I neonati pesano 99-142 grammi, ed emergono dalla tana dopo 8-12 giorni. Le madri trascorrono poco tempo con i cuccioli, siccome necessitano di cacciare quasi costantemente per produrre abbastanza latte con cibo poco nutriente. Il maschio protegge e gioca con i cuccioli durante le assenze della madre, ma questa disparità di cure finisce dopo lo svezzamento, quando i cuccioli hanno 10-15 settimane. I cuccioli lasciano i genitori durante la loro prima estate, lasciandoli a produrre ulteriori cucciolate.[4]

Ecologia

Habitat

Gli habitat prediletti dagli otocioni sono fortemente correlati alla presenza delle termiti, quindi si trovano soprattutto in pianure aperte, boscaglie di acacia, prati sovra-pascolati, e zone di suolo calcareo o ricco di cenere vulcanico.[5]

Otocioni con le teste abbassate per sentire meglio i movimenti degli insetti

Alimentazione

La termite Hodotermes mossambicus è la preda più importante dell'otocione, componendo l'80-90% della sua dieta. Laddove Hodotermes è assente, come in certe zone del Kenya, gli otocioni si cibano di altre specie di termiti, come Odontotermes. Altri invertebrati nella sua dieta sono le formiche, i coleotteri, i grilli, le cavallette, i millepiedi, le falene e le loro larve, gli scorpioni, e i ragni solifughi. Gli uccelli, le lucertole e le carcasse vengono consumati solo opportunisticamente. Si ciba talvolta di materia vegetale come le bacche, i semi e i frutti. L'otocione infatti svolge un ruolo importante nello spargimento dei semi delle aizoacee.[3]

L'otocione si affida innanzitutto al suo udito per trovare le prede. Il suo udito è infatti talmente acuto che riesce a rintracciare le larve sottoterra. Quando si ciba di termiti, cammina con la testa abbassata, raccogliendo gli insetti con la lingua in un modo simile a un protele. Può spiccare balzi fulminei per catturare le cavallette e le termiti volanti, e immobilizza le lucertole, i gerbilli e i pulcini con le zampe anteriori. Gli invertebrati corazzati vengono digeriti tramite rapidi morsi che frammentano i loro carapaci, mentre i piccoli roditori e gli uccelli possono essere inghiottiti interi. L'otocione è tipicamente possessivo del suo cibo, non condividendolo con i conspecifici, tranne i cuccioli inesperti.[5]

Nemici e concorrenti

Gli unici concorrenti dell'otocione sono altri mammiferi insettivori come la mangusta dalla coda bianca, il protele e lo zorilla, ma solitamente li ignora,[5] tranne quando si avvicinano ai suoi cuccioli. Tra i predatori dell'otocione ci sono le iene macchiate, le aquile marziali, gufi reali, gufi lattei, pitoni, ghepardi, licaoni e leopardi.[4] Gli sciacalli dalla gualdrappa sono i predatori più seri dei cuccioli,[3] e le loro predazioni causano il 25-30% della mortalità adulta in Sudafrica, insieme alle malattie.[13]

Data la sua mancanza di velocità nella corsa, l'otocione elude i predatori cambiando direzione di scatto durante la fuga, un comportamento che diede origine al suo nome afrikaans; Draaijakkal, ovvero "sciacallo che gira". Se viene raggiunto, l'otocione può fuorviare un attacco usando la coda per colpire la faccia del predatore.[5]

Distribuzione

L'otocione dispone di un areale disgiunto che ingloba le regioni aride e semi-aride dell'Africa meridionale ed orientale, con due popolazioni separate da 1.000 km. La sottospecie orientale, O. m. canescens, si estende dal Sudan del Sud, Etiopia e Somalia giù attraverso l'Uganda, Kenya e Tanzania sudoccidentale. La sottospecie meridionale, O. m. megalotis, invece si estende dall'Angola attraverso Namibia e Botswana fino al Mozambico e al Sudafrica. Questa distribuzione disgiunta è simile a quella che si vede nel protele e nello sciacallo dalla gualdrappa, ed è probabile che i due areali fossero collegati durante il Pleistocene.[4]

Note

  1. ^ a b (EN) Sillero-Zubiri, C. & Hoffmann, M. (Canid Red List Authority) 2008, Otocyon megalotis, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  2. ^ Alfred Edmund Brehm, La vita degli animali. Descrizione generale del mondo animale, Volume 1, Mammiferi, traduzioni di Gaetano Branca e Stefano Travella, Unione Tipografico-editrice torinese, 1872, p. 495.
  3. ^ a b c d e (EN) H. O. Clark, 2005, "Otocyon megalotis", Mammalian Species 766: 1–0. doi:10.1644/1545-1410(2005)766[0001:OM]2.0.CO;2.
  4. ^ a b c d e f (EN) J.A.J. Nel & B. Maas. 2004. Bat eared fox Otocyon megalotis. In Sillero-Zubiri, C., Hoffman, M. & MacDonald, D. W., ed., Canids: Foxes, Wolves, Jackals and Dogs - 2004 Status Survey and Conservation Action Plan, pp. 183-189. IUCN/SSC Canid Specialist Group, ISBN 2-8317-0786-2
  5. ^ a b c d e f g (EN) R. Estes, The behavior guide to African mammals: including hoofed mammals, carnivores, primates, University of California Press, 1992, pp. 392-398, ISBN 0-520-08085-8
  6. ^ a b (EN) Wang, X. & Tedford, R. H., Dogs: Their Fossil Relatives and Evolutionary History, Columbia University Press, 2008, pp. 145-147, ISBN 978-0-231-13528-3
  7. ^ (EN) Huxley T.H. (1880). On the cranial and dental characters of the Canidae. Proceedings of the Zoological Society of London, 1880, 238-288.
  8. ^ (EN) J. Clutton-Brock, G.G. Corbet e M. Hills, A review of the family Canidae, with a classification by numerical methods, in Bull. Brit. Mus. Nat. Hist., vol. 29, 1976, pp. 119–199. URL consultato il 16 ottobre 2018 (archiviato dall'url originale il 17 dicembre 2013).
  9. ^ (EN) Lindblad-Toh, K., Wade, C. M. e Mikkelsen, T. S., Genome sequence, comparative analysis and haplotype structure of the domestic dog, in Nature, vol. 438, n. 7069, 2005, pp. 803–819, Bibcode:2005Natur.438..803L, DOI:10.1038/nature04338, PMID 16341006.
  10. ^ Mammal Species of the World, fonte principale degli zoologi per la nomenclatura delle sottospecie.
  11. ^ (EN) J. R. Castelló, Canids of the World, Princeton, 2018, pp. 270-271, ISBN 978-0-691-17685-7
  12. ^ (EN) J. R. Castelló, Canids of the World, Princeton, 2018, pp. 272-273, ISBN 978-0-691-17685-7
  13. ^ (EN) L. Hunter, Carnivores of the World, New Holland Publishers Ltd, 2009, p. 112, ISBN 9781847733467

Bibliografia

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