Oppidum di Entremont
Entremont (in latino Intermontes[1]) è un sito archeologico corrispondente all'antico oppidum della tribù celto-ligure dei Salluvi, situato nei pressi dell'attuale Aix-en-Provence, circa 3 chilometri più a nord del centro cittadino, in Provenza.[1] StoriaIl sito venne occupato verso il IV secolo a.C. dalla popolazione celto-ligure dei Salii o Salluvii, che ne fecero del sito la loro capitale.[1] L'oppidum di Entremont, durante il II secolo a.C., fu con tutta probabilità la capitale del popolo ligure dei Salluvii. Sui Salluvii grava una tradizione che lo vorrebbe un popolo crudele e bellicoso; in realtà, essi sono stati probabilmente responsabili di una fusione dei popoli dell'area dei fiumi Rodano e Var, sotto l'influenza greca della vicina polis massaliota. La città fu oggetto di assedio e di conquista da parte dei Romani nel 123 a.C..[2] Archeologia del sito ed esposizione musealeGli scavi condotti sul sito dopo il 1946 hanno messo in luce le vestigia di un abitato protetto (data la presenza di un baluardo a nord del pianoro), e i segni di un'avanzata civiltà celto-ligure, botteghe, magazzini e laboratori, oltre a un grosso edificio, una sorta di santuario. L'esistenza dell'abitato rimonta a circa il III secolo a.C., mentre il definitivo abbandono coincide con la sua distruzione, avvenuta nel 123 a.C., ad opera di Gaio Sextio Calvino. Alla distruzione è sopravvissuta una porzione del muro sul lato nord, con le torri rettangolari. I resti venuti alla luce rivelano una pianificazione edilizia a scacchiera, ancora ben visibile, con costruzioni eseguite in muratura. La visita del sito archeologico può essere completata con quella al Museo Granet, nel centro di Aix-en-Provence, in Place Saint-Jean de Malte. Nelle sale dedicate all'archeologia sono esposte le collezioni provenienti dal sito, statuaria celtica e bassorilievi, tra cui le impressionanti sculture di teste mozzate. Queste ultime sembrano collegate al rito gallico della caccia alle teste del nemico, testimoniato anche negli oppida di Manching e a Roquepertuse,[3] un costume su cui peraltro la critica è divisa, anche se su di esso esiste l'autorevole testimonianza di Posidonio, geografo ed etnografo che visitò la Gallia ripresa e tramandataci da Diodoro Siculo[4], Strabone[5] e Cesare. Numerosi ritrovamenti archeologici testimoniano come i Salluvii non conoscessero la scrittura ma erano tecnologicamente all'avanguardia nell'epoca: ne sono prova, ad esempio, l'alta qualità delle lavorazioni in vetro e degli oggetti metallici prodotti. Note
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