Omicidio di Domenico Semeraro
L'omicidio di Domenico Semeraro è un caso di cronaca nera avvenuto il 25 aprile 1990 a Roma. La vittimaDomenico Semeraro nasce a Ostuni, in provincia di Brindisi, nel 1946, da una famiglia contadina di consanguinei.[1] Sua nonna era Maria Giuseppina Semeraro, soprannominata la "nonna belva" per essere stata accusata di aver commesso cinque infanticidi nel Bitontino[2]. Lui e sua sorella Annunziata erano affetti da nanismo, una condizione che diventa oggetto di derisione e cattiverie da parte dei paesani e che gli sarebbe valso il soprannome di "Nano di Termini".[3] Da giovanissimo Semeraro lavora come benzinaio per pagarsi la scuola serale e, una volta diplomatosi, decide di abbandonare la Puglia e trasferirsi a Roma in cerca di fortuna[1]. Nella capitale, Semeraro diventa professore di applicazioni tecniche in un istituto tecnico e con la passione per l'insegnamento e i modi gentili si fa subito ben volere dagli studenti[1]. Nel 1972 finisce sulle pagine dei giornali come "il più piccolo professore d'Italia" (appena 1 metro e 30 centimetri), intervistato dal periodico Annabella[1]. Pochi mesi dopo, però, Semeraro va a processo per una causa intentata dalla famiglia di un'adolescente, una certa Tania, che sarebbe stata sedotta e poi abbandonata dall'insegnante, denunciandolo per violenza carnale, ma i giudici lo assolvono. Dopo questo fatto, la carriera di docente si interrompe bruscamente, ufficialmente per un esaurimento nervoso, ma in realtà a causa di voci di "comportamenti inopportuni" verso i ragazzi. Semeraro diventa bibliotecario dell'Istituto di cinematografia "Roberto Rossellini"[1], venendo così a contatto col mondo del cinema. Prende anche parte alla sua prima esperienza cinematografica, come breve controfigura di un bambino nel thriller erotico Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci con Barbara Bouchet. Recita anche nel film Quest for the Mighty Sword di Joe D'Amato, uscito nelle sale nel 1990 dopo la sua morte. Negli anni settanta, Semeraro si avvicina agli ambienti della prostituzione maschile, cercando e pagando ragazzi disponibili e tossicodipendenti, essendo lui in realtà omosessuale e avendo sempre usato le donne come copertura in società. Spesso usa questi ragazzi come assistenti nel suo laboratorio "Igor Taxidermist" di tassidermia, una passione che è diventata il suo mestiere, al civico di via Castro Pretorio 30. Conosce i ragazzi nei dintorni della stazione Termini, dove spesso li "raccoglie" promettendo loro denaro, provini, droga e offerte di lavoro[4]. Cronologia degli eventiIl 27 giugno 1986 Semeraro conosce l'attraente ragazzo romano Armando Lovaglio, nato nel 1969 e residente nel povero quartiere di Casal Bruciato, grazie ad un'inserzione sul giornale PortaPortese tramite la quale si propone come assistente nel laboratorio di imbalsamazione di animali dell'uomo. Semeraro è subito attratto morbosamente da quel giovane, ancora minorenne, in cerca di pochi soldi per potersi permettere una motocicletta Honda 125 e lo prende con sé a lavorare. I due instaurano presto una relazione basata sul consumo di droghe, specialmente eroina, sesso e dipendenza affettiva; ciò spinge Lovaglio a non andare più a scuola, a dormire spesso dal suo "protettore", mentre i genitori tentano inutilmente di strapparlo all'influenza di Semeraro, ricevendo una denuncia per violazione di domicilio.[4] L'equilibrio tra i due finisce quando nel 1987, ad un annuncio per segretarie nel suo laboratorio, risponde all'appello Michela Palazzini, un'adolescente che presto diventa l'amante di Armando, in un ménage à trois che mina la stabilità del controllo di Semeraro verso il ragazzo e si incrina ancora di più dopo che, nel febbraio 1990, Palazzini dà alla luce una bambina, figlia di Armando. I due, ormai ventenni, pianificano una vita insieme. Semeraro è ormai un ostacolo che insiste e tormenta l'esistenza dei due ragazzi, proprio perché non tollera di rinunciare a Lovaglio,[1] arrivando anche a ricattarli con le foto di loro in atteggiamenti intimi e con la droga. Così, la sera del 25 aprile 1990, durante l'ennesima lite tra Lovaglio e Semeraro, dopo l'arrivo di Palazzini per avere chiarimenti circa una loro partenza per Ostuni e la minaccia al ragazzo con un bisturi da parte di Semeraro, il ragazzo uccide il tassidermista, strangolandolo con uno dei suoi foulard.[4] Il cadavere viene poi gettato in una discarica abusiva di Corcolle, dove viene ritrovato il mattino seguente dalle forze dell'ordine.[5] Poche ore dopo, denunciati dai genitori di Lovaglio, i due ragazzi sono arrestati[1]. Il processoIl 13 maggio 1991, Lovaglio viene ritenuto colpevole di omicidio e occultamento di cadavere e la Corte d'assise di Roma lo condanna a 15 anni di carcere da scontare a Rebibbia con le attenuanti generiche. Palazzini viene assolta per l'omicidio[6] ma viene invece condannata ad un solo anno per la complicità nell'occultamento del cadavere di Semeraro[3]. In secondo grado, Palazzini viene condannata a 9 anni di reclusione per concorso in omicidio, ma poi la Cassazione la assolve definitivamente.[1] Finita di scontare la sua pena prima del tempo, Lovaglio ha aperto una scuola di arti marziali ed è morto successivamente per un infarto a Formello nel 2017, all'età di 48 anni. Nella cultura di massaSul delitto di Semeraro, è stato tratto il film del 2002 L'imbalsamatore di Matteo Garrone, con una trama vagamente simile alla vicenda e alla cui uscita si è opposto lo stesso Lovaglio uscito dal carcere in anticipo, rivendicando il diritto all'oblio[7][8]. La vicenda è stata poi affrontata da Franca Leosini un'intervista in carcere a Lovaglio, andata in onda nella prima edizione del 1994 del programma Storie maledette col titolo "Seduzione - Il nano di Termini" e da Marco Marra nel 2015 nel programma Stelle nere col titolo "Domenico Semeraro, l'imbalsamatore della Stazione Termini". Nel 2022 è uscito il romanzo del cronista Massimo Lugli Il giallo del nano della stazione, tratto liberamente dalla vicenda. Note
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