Nomi delle lettere dell'alfabeto latinoI nomi delle lettere dell'alfabeto latino variano da lingua a lingua, ma hanno in comune il fatto di contenere, nella maggior parte dei casi, la lettera stessa o il fonema che essa rappresenta principalmente nella lingua stessa. * Nomi delle lettere che in italiano richiedono raddoppiamento fonosintattico In italianoIn italiano i nomi delle lettere non hanno un genere preciso, ma viene assegnato di volta in volta a seconda della parola che viene sottintesa davanti, che può essere "lettera" (e quindi di genere femminile), come avviene nella maggior parte dei casi, oppure un sostantivo maschile, come "suono" o "segno"[1], ma quest'occorrenza è piuttosto rara e comunque da non considerarsi errata.
Le uniche lettere che vengono, invece, sempre considerare di genere femminile sono Z e H, probabilmente per la a finale (zet-a, acc-a), che tende a farle considerare istintivamente femminili come la maggior parte delle parole italiane terminanti per a; tuttavia tale costanza non si registra per la lettera K che, in alcuni contesti, viene considerata di genere maschile, forse perché, essendo sentita come un grafema "straniero", viene caricata di un connotato simbolico[2], che porta più a considerarla come "il simbolismo K" (maschile), che non come "la lettera K" (femminile)[1]. Circa l'origine dei nomi attuali è incontestabile che essi vengano dai corrispettivi latini:
Considerando, invece, solo le consonanti dell'alfabeto italiano, sono rintracciabili due percorsi evolutivi:
Delle restanti lettere italiane alcune presentano più nomi ammissibili, anche poco in uso:
Tutti i nomi monosillabici (a, bi, ci, di, e, gi, i, o, pi, cu, ti, u, vu o vi) sono dei monosillabi forti e richiedono quindi il raddoppiamento fonosintattico della lettera che segue, nella pronuncia standard, quando vengono pronunciati sia singolarmente che in mezzo a una sigla. La cogeminazione dovrebbe trovare, di norma, anche corrispondenza grafica nella presenza delle doppie nelle parole derivate da sigle, com'è senz'altro evidente in parole di non recente formazione come tivvù o abbiccì, ma è sempre meno frequente nei neologismi di nuova formazione; tuttavia i dizionari più rigorosi segnalano debitamente la preferibilità ortografica delle forme con le doppie, come pidduista o piddiessino, rispetto ai più diffusi e comuni piduista e pidiessino[5]. Quanto alla presenza dell'accento, anche se tali monosillabi sono fonologicamente accentati, il segnaccento non va mai indicato, come in tutti i monosillabi di una sola lettera vocalica che non presentano frequenti possibilità di fraintendimento; l'accento va comunque sempre segnalato quando, invece, tali monosillabi intervengono nella formazione di parole composte con accento sull'ultima sillaba. Note
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