Metropolia di CorintoLa metropolia di Corinto (in greco Ιερά Μητρόπολης Κορίνθου?, Ierá Mitrópolīs Korinthou) è una diocesi della Chiesa di Grecia, con sede a Corinto, dove si trova la cattedrale di San Paolo. Nome ufficiale della sede è "metropolia di Corinto, Sicione, Zemene, Tarso e Polyphengos" (in greco: Ιερά Μητρόπολις Κορίνθου, Σικυώνως, Ζεμενού, Ταρσού και Πολυφέγγους). Dal 10 ottobre 2006 il metropolita è Dionysios Mantalos. StoriaLe origini dell'arcidiocesi di Corinto risalgono al tempo delle predicazioni di san Paolo, che visitò la città e si stabilì nella dimora della casa di Aquila e Priscilla (Atti 18,1[1]), dove Sila e Timoteo presto si unirono a lui. Dopo la sua partenza, a Corinto rimase Apollo, il quale era stato richiamato da Efeso per opera di Priscilla stessa. L'apostolo visitò Corinto di nuovo e scrisse ai Corinti da Efeso nel 57, e quindi lo stesso anno (o secondo altre fonti l'anno successivo), una seconda lettera dalla Macedonia. Si tratta delle due lettere dell'epistolario paolino, che la tradizione ha denominato prima e seconda lettera ai Corinzi. La comunità cristiana di Corinto fu destinataria della cosiddetta prima lettera di Clemente, scritta attorno al 96, che mostra la prima evidenza storica del primato della Chiesa di Roma sulle altre chiese, alla base della teologia cattolica del primato papale. Ben presto la sede di Corinto fu eretta a metropolia della Grecia (provincia romana dell'Ellade) con molte diocesi suffraganee. Nella consultazione voluta dall'imperatore Leone I nel 458 dopo i gravosi fatti di Alessandria che portarono all'uccisione del patriarca Proterio, alla sede di Corinto sono indicate 21 diocesi suffraganee[2], progressivamente ridotte dopo l'erezione a sedi metropolitane di Patrasso e di Atene (IX secolo), e più tardi di Monembasia (XIII secolo). Nella Notitia Episcopatuum attribuita all'imperatore Leone VI e databile all'inizio X secolo Corinto appare al 27º posto fra le sedi metropolitane del patriarcato di Costantinopoli e le sono attribuite sette diocesi suffraganee: Damala, Argo, Monembasia, Cefalonia, Zante, Zemene (o Zemaina) e Maina.[3] Come tutte le sedi episcopali della prefettura dell'Illirico, fino a metà circa dell'VIII secolo la metropolia di Corinto era parte del patriarcato di Roma; in seguito fu sottoposta al patriarcato di Costantinopoli. Da sant'Apollo, Le Quien (II, 155) menziona una lunga serie di vescovi: tra loro si ricorda anche san Sostene, discepolo di San Paolo; san Dionigi; Paolo, fratello di san Pietro, vescovo di Argo nel X secolo; sant'Anastasio nel medesimo secolo; Giorgio (o Gregorio), un commentatore di inni liturgici. Tra i vescovi si può menzionare ancora Cirillo I, che occupò la sede dal 1635 al 1637 e che in seguito fu eletto patriarca di Costantinopoli, in due occasioni, nel 1652 e nel 1654; in entrambi i casi, il suo patriarcato durò solo qualche giorno. Durante la quarta crociata (1204) anche in Corinto come in molte altre diocesi greche, fu eretta un'arcidiocesi di rito latino, che sopravvisse fino al termine del XIV secolo, quando la città fu conquistata dagli Ottomani. In questo lungo periodo sono pochissimi i metropoliti noti di Corinto. Dopo la conquista ottomana, iniziò a diminuire il numero delle diocesi suffraganee, che erano ancora 5 alla fine del XV secolo, ma ridotte a 2 nel XVII secolo. Col XIX secolo Corinto non ebbe più suffraganee, o perché unite alla sede metropolitana o perché elevate loro stesse al rango di metropolia. Quasi a compensare la perdita della provincia ecclesiastica, il Santo Sinodo di Costantinopoli assegnò ai metropoliti di Corinto il titolo di "ipertimo e esarca di tutto il Peloponneso", titolo che dal 1852 è solo onorifico non godendo più di particolari privilegi rispetto alle altre metropolie del Peloponneso. Con l'indipendenza della Grecia, la metropolia passò dal patriarcato di Costantinopoli alla Chiesa di Grecia, dapprima con il titolo di sede metropolitana honorias causa, e poi ufficialmente riconosciuta come sede metropolitana senza suffraganee nel 1922. Cronotassi dei vescovi e metropoliti
Note
Bibliografia
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