Maria Giustina TurcottiMaria Giustina Turcotti, spesso designata semplicemente come Giustina Turcotti (Firenze, c. 1700 – dopo il 1763), è stata un soprano italiano. Attiva nei teatri della Penisola per circa un trentennio dal 1717, ella si esibì quindi, tra il 1746 e il 1750, in varie città del Nord Europa all'interno di una rilevante compagnia operistica di giro, e fu poi per lunghi periodi componente stabile della Markgräfliches Opernhaus di Bayreuth. Ottima cantante-attrice di stile espressivo, seppur forse priva di particolari doti pirotecniche,[1] ritenuta degna di figurare nel novero delle migliori primedonne della prima metà del XVIII secolo, la sua fama nella maturità fu però continuamente offuscata dalla strabordante obesità che arrivava ad impacciarne i movimenti in palcoscenico.[2] BiografiaNata a Firenze intorno al 1700, sorella del futuro impresario Raffaele Turcotti,[3] Maria Giustina fece giovanissima la sua prima apparizione in palcoscenico nel 1717, al Teatro del Cocomero nella città natale[4] (e poi anche a Siena), ma non intraprese una vera e propria carriera professionale come cantante fino al 1720, diventando peraltro ben presto una delle più apprezzate – e retribuite – primedonne d'Italia.[5] Nel dicembre del 1721 apparve per la prima volta a Venezia, al Teatro Sant'Angelo, nella première de Gl'eccessi della gelosia, di Tomaso Albinoni, in una compagnia per larga parte fiorentina, ed a Venezia tornò poi, a intervalli approssimativamente decennali, per altre due stagioni, nel 1731-1732 e nel 1742-43.[5] Dopo essersi fatta le ossa in piazze minori, ma anche, nel 1724, a Milano e a Genova, e nel 1726 a Palermo,[6] in questo stesso anno fu scritturata per la seconda grande capitale del melodramma italiano dell'epoca, Napoli, allo scopo di sostituire, come primadonna nella compagnia dell'impresario Angelo Carasale, la musa del Metastasio, Marianna Benti Bulgarelli.[7] Qui ella restò fino al 1728, esibendosi in Stratonica (1727), un pasticcio con musiche di Leonardo Vinci, e in opere nuove dello stesso Vinci, di Johann Adolf Hasse e di Francesco Mancini.[6] Fu quindi impegnata nella sua citta natale, questa volta al Teatro della Pergola, producendosi tra l'altro nella prima dell'Atenaide di Antonio Vivaldi, e in una ripresa della Didone abbandonata di Vinci, dove l'autore la gratificò di un'aria sostitutiva, "Son regina e sono amante", scritta appositamente per lei.[8] Montesquieu, che era presente alla rappresentazione dell'opera di Vivaldi, scrisse: «A Firenze davano un'opera. Vi cantava la Turcotta. È, si dice, la seconda attrice d'Italia: la prima è la Faustina.»[9] La Turcotti fu quindi di nuovo a Milano e poi, nella sua seconda stagione lagunare, a Venezia, dove, come si evince dalle partiture, Francesco Corselli (Nino, 1731) e Giovanni Battista Pescetti (Alessandro nell'Indie, 1732), le diedero agio di mettere in mostra anche le sue capacità virtuosistiche nel campo della coloratura, che non rappresentava certamente la sua specialità.[5] Dal 1732 al 1735, la Turcotti fu di nuovo ingaggiata al Teatro San Bartolomeo di Napoli,[5] prendendo parte a numerose prime assolute, in opere, tra gli altri, di Leonardo Leo (Nitocri, 1733, Il castello di Atlante, 1734, nonché il pasticcio, Demofoonte, 1735) e di Giovanni Battista Pergolesi (Adriano in Siria, 1734).[6] Lasciata quindi Napoli per l'ultima volta, il periodo a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta vide la Turcotti impegnata soprattutto nell'Italia centrale, a Bologna e a Firenze: la prima dell'Eumene di Niccolò Jommelli, nel maggio 1742, al Teatro Malvezzi nel capoluogo emiliano, registrò la presenza tra il pubblico della sua coetanea, concittadina e compagna di avventure teatrali, Vittoria Tesi, la quale, all'epoca momentaneamente disoccupata, non aveva voluto mancare al debutto della collega nell'opera nuova.[10] L'ultima stagione passata a Venezia, questa volta al Teatro di San Giovanni Crisostomo, fu quella del 1742-1743, e la vide impegnata in diverse prime assolute. Tra esse, il Baiazet, di Andrea Bernasconi e la Semiramide di Jommelli nel 1742, e il Siroe di Gennaro Manna nel 1743. Due ulteriori première furono da lei affrontate a Torino nel 1744, il Germanico, ancora di Bernasconi, e il Vologeso, re de' Parti di Leo; dopodiché, alcune ultime apparizioni in provincia, a Crema e a Ferrara, nella stagione 1744-1745, chiusero definitivamente la sua carriera italiana.[5][6] Ma per la Turcotti non era di certo ancora arrivato il tempo del ritiro, ed ella si unì alla compagnia di giro dell'impresario Pietro Mingotti (c. 1702 - 1759), con la quale percorse, tra il 1746 e il 1750, la Germania e la Danimarca,[5] continuando ad affrontare anche opere nuove, tra cui due composte dall'allora astro nascente Christoph Willibald Gluck: Le nozze d'Ercole e d'Ebe a Dresda nel 1747 e La contesa de' numi a Copenaghen nel 1749.[6] Intanto le condizioni della sua "mostruosa" obesità non erano certamente migliorate e le valevano i malevoli apprezzamenti degli altri membri della compagnia: Mingotti usò per lei termini spegiativi piuttosto abietti che non vale qui la pena di riportare,[5] mentre, nelle lettere al marito, il soprano tedesco Marianne Pirker (1717 - 1782), sua rivale all'interno della troupe, la definiva semplicemente "die dike sau" (la grassa troia).[11] Riferimenti all'obesità della Turcotti si erano ripetuti anche in precedenza durante la sua carriera in Italia, con molteplici personaggi a lamentare che l'enorme peso ne intralciasse i movimenti scenici.[12] In una lettera del 1742 da Aranjuez, Farinelli, nell'informarsi sulla sorte della cantante, chiedeva al suo interlocutore bolognese: «Di grazia mi dica un poco: la Turcotti è smacrita, o conserva quella sua grassezza smisurata? Io a questa gli desidero tutto il bene, perché le sue maniere sono diverse dalle altre prime donne.»[13] «Un mostro di grassezza» l'aveva a sua volta definita nel 1740 – di nuovo in una lettera privata – l'impresario Luca Casimiro degli Albizzi (1664 - 1743), proprio nel momento stesso in cui esprimeva la sua ammirazione per lei collocandola, seconda solo alla Tesi, fra le non oltre sei cantanti sul mercato che fossero davvero "capaci di fare la prima donna".[14] L'impietosa caricatura riprodotta all'inizio della presente voce, che allarga a dismisura la circonferenza della cantante e la schiaccia ad occupare l'intera vignetta, fu realizzata nel 1742 da Anton Maria Zanetti, il vecchio. Essa fu poi riposta dall'autore in un album che è conservato oggi alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia: con un certo sadismo Zanetti infieriva "sulla innocua Giustina Turcotti" incollando sotto alla sua caricatura, nella stessa pagina dell'album, il nudo femminile di una donna molto grassa recante quali unici ornamenti una grossa coppa nella mano destra e dei pennacchi tra i capelli.[15] Altre due caricature, davvero sorprendenti, di una Turcotti addirittura filiforme agli albori della carriera, rappresentata di fronte e di profilo per mano di Marco Ricci – una delle quali è pure riprodotta più avanti nella presente voce – sono contenute nello stesso album,[16] mentre una quarta caricatura per mano di Giovanni Battista Tiepolo faceva parte della collezione privata di ritratti di Carl Philipp Emanuel Bach, ma risulta oggi andata perduta.[17] Nel 1750 la Turcotti divenne cantante stabile nella compagnia della Markgräfliches Opernhaus (Opera margraviale) di Bayreuth, città che il margravio regnante Federico aveva l'ambizione spropositata di trasformare in una sorta di novella Versailles. Ella mantenne l'incarico fino al 1758, e poi, di nuovo, dal 1760 al 1763. Anche durante il suo soggiorno nel principato bavarese, la Turcotti dovette comunque mantenere un buon dominio residuo delle sue abilità canore, se continuò ad essere utilizzata anche in nuovi lavori: nel 1754 fu Negiorea nella festa teatrale L'Huomo di Andrea Bernasconi;[18] due anni dopo chiuse la sua carriera maggiore interpretando addirittura il personaggio titolare del dramma per musica in tre atti, di autori non dichiarati, Amaltea, su soggetto, come del resto già quello de L'Huomo, redatto in francese dalla principessa Guglielmina di Prussia (consorte del margravio e sorella prediletta di Federico II) e tradotto in versi italiani da Luigi Stampiglia.[6][19] A Bayreuth la Turcotti si dedicò anche, in qualche modo, all'insegnamento del canto, avendo come allievo il tenore e futuro compositore, Ernst Christoph Dressler.[20] Dopo il 1763 non si hanno ulteriori notizie sulla sua sorte, e non si conoscono quindi né la data né il luogo né le circostanze della sua morte e della sua sepoltura.[5] Soprano o mezzosoprano?Le pubblicazioni moderne qualificano la Turcotti in taluni casi come mezzosoprano,[5][21] in altri come soprano,[4][22] ma si tratta in effetti di una questione più nominale che sostanziale. «Il termine di mezzosoprano, in uso nella musica sacra e madrigalistica del secoli XIV e XV, fu praticamente ignorato dal melodramma del Sei-Settecento e del primissimo Ottocento, periodi in cui si scrisse e si parlò esclusivamente di soprani e di contralti».[23] Anche la chiave di mezzosoprano (do in secondo rigo) cadde completamente in disuso, almeno per le voci, a differenza di quelle di contralto (do in terzo rigo) e di soprano (do in primo rigo) che continuarono invece ad essere impiegate sia per le voci femminili che per i castrati.[24] In tale situazione, esecutrici o esecutori che in epoca moderna verrebbero categorizzati, per la loro estensione vocale, come mezzosoprani, venivano considerati, a seconda della caratteristiche specifiche di ciascuno, come contralti o come soprani, e i compositori scrivevano conseguentemente le loro parti nell'una o nell'altra chiave. Non mancando fra l'altro casi in cui le due chiavi si alternavano nel tempo in modo apparentemente casuale, come quello di Angiola Zanucchi per la quale Vivaldi scriveva ora in chiave di contralto ora in chiave di soprano.[25] Nell'indicare la tipologia vocale dei cantanti del XVII e XVIII secolo, la pubblicistica moderna tende a dividersi tra chi, guardando alla sostanza (ma con il rischio del prevalere dell'aleatorietà), li riclassifica in termini moderni, e chi si attiene invece strettamente alle chiavi utilizzate dai compositori. Nel caso della Turcotti, Libby e Vitali, sia pure basandosi probabilmente su un numero limitato di partiture, individuano l'estensione vocale della cantante nell'intervallo approssimativamente compreso tra il si♭2 e il sol4, e la definiscono conseguentemente, in termini moderni, "mezzosoprano". Altri invece, guardando alla scrittura dei compositori, la definiscono "soprano", come all'epoca fu sempre considerata. Ed in effetti scrissero per lei in chiave di soprano ad esempio Hasse,[26] Jommelli,[27] Manna,[28] Pergolesi,[29] Vinci,[30] e Vivaldi.[31] Ruoli creatiIl seguente repertorio dei personaggi interpretati in prima assoluta da Giustina Turcotti è stato formulato utilizzando i dati collazionati dal Corago dell'Università di Bologna.[6] Eventuali aggiunte o comunque modifiche dovranno essere giustificate in nota con l'indicazione della diversa fonte.
Note
Bibliografia
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