Livelli essenziali di assistenzaI livelli essenziali di assistenza (abbreviato in LEA) indicano, in Italia, l'insieme di tutte le prestazioni, servizi e attività che i cittadini hanno diritto a ottenere dal Servizio sanitario nazionale (SSN), allo scopo di garantire condizioni di uniformità, a tutti e su tutto il territorio nazionale.[1] Sono detti "livelli essenziali" in quanto racchiudono tutte le prestazioni e le attività che lo Stato ritiene così importanti da non poter essere negate ai cittadini.[1] StoriaIntrodotti dal decreto legislativo del 30 dicembre 1992, n. 502, sono stati da ultimo definiti con un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) il 29 novembre 2001 e riformati con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 aprile 2008 che, recependo il Patto della Salute firmato con le regioni pochi mesi prima, ha elevato a 57 700 il numero di prestazioni e servizi per la prevenzione, la cura e la riabilitazione erogabili dal Servizio Sanitario Nazionale.[2][3] Successivamente, il DPCM del 12 gennaio 2017 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 65 del 18 marzo 2017 - Suppl. Ordinario n. 15)[7] introdusse l'obbligatorietà di un aggiornamento dei LEA a cadenza annuale, a cura della Commissione nazionale per l’aggiornamento dei LEA e la promozione dell’appropriatezza nel Servizio sanitario nazionale. OrganizzazioneIl sistema dei livelli essenziali di assistenza prevede:
Assistenza distrettualeComprende i servizi sanitari e sociosanitari, assistenza farmaceutica, specialistica e diagnostica ambulatoriale, fornitura di protesi ai disabili, servizi domiciliari agli anziani e ai malati gravi: consultori familiari, SerT, servizi per la salute mentale, servizi per la riabilitazione dei disabili; strutture semiresidenziali e residenziali: residenze per anziani e disabili, centri diurni, case famiglia e comunità terapeutiche.[1] Assistenza ospedalieraComprende i servizi di pronto soccorso, ricovero ordinario, day hospital (esami medici in un giorno) e day surgery (operazioni chirurgiche in un giorno), la lungodegenza e la riabilitazione.[1] Prevenzione collettiva e sanità pubblicaLa "prevenzione collettiva e sanità pubblica" sostituisce l'"assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e lavoro" precedentemente definita dal DPCM del 2001. Comprende l'insieme delle attività e delle prestazioni svolte per la promozione della salute della popolazione. Si articola su sette livelli di intervento volti a perseguire specifici obiettivi di salute:
Strumenti giuridiciProblemi di bilancio e di copertura finanziaria possono ostacolare o impedire la garanzia dei livelli essenziali di assistenza e di prestazione. Questi servizi impattano sull'insieme di diritti soggettivi della persona (salute, istruzione, giustizia) che secondo la Costituzione devono in ogni caso essere garantiti in modo universale a tutti i cittadini. La loro garanzia universale è questione anche di pubblica utilità, fine che giustifica un intervento di un soggetto pubblico. Un istituto giuridico al riguardo è la requisizione temporanea a soggetti privati di beni mobili e immobili strumentali all'esercizio di questi diritti. Secondo una consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale, in assenza di dati chiari e analitici, le regioni non hanno facoltà di rifiutare l'erogazione delle prestazioni sanitarie in genere in virtù di una paventata inadeguatezza delle risorse stanziate nel relativo capitolo di spesa.[8] Differenze regionaliSecondo i dati della Fondazione GIMBE, nel 2020, delle 11 regioni adempienti per i LEA, l'unica regione meridionale era la Puglia. Nel 2021, le uniche regioni meridionali adempienti sono state l'Abruzzo, la Puglia e la Basilicata (su un totale di 14). Sia nel 2020 sia nel 2021 le regioni meridionali occupavano le ultime posizioni della classifica.[9] Nel 2020, il 94% di coloro che dal Sud andavano al Nord per curarsi, si sono diretti in Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto.[9] Note
Voci correlateCollegamenti esterni
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