I Gambara, secondo la leggenda che li ammanta, discesero in Italia (nel bresciano) durante le invasioni barbariche[1]; allo stato attuale della ricerca sembra più probabile che questo mito fu frutto piuttosto di una costruzione successiva, il cui obiettivo era la nobilitazione delle origini di quella che era diventata una potente famiglia all'interno del panorama politico bresciano, e la vera origine sia piuttosto da ricercarsi all'interno della clientela capitaneale locale del monastero di Leno[2]. Al tempo delle depredazioni magiare difesero strenuamente gli abati, cui erano vassalli. A conferma di ciò, tra i primi documenti ufficiali che li menzionano vi è un testimoniale del 1194 riguardante una contesa con il vescovo di BresciaGiovanni da Fiumicello per i diritti riguardanti le due chiese locali, e che vide un dominus Albertus domini Algisii de Gambara deporre in favore del monastero, per conto del quale la famiglia deteneva il dominio sul luogo[3].
Il primo membro della famiglia di cui si abbiano notizie storiche, Acilao (o Ancilao) (X secolo), difese l'abbazia lenese dagli Ungari, ricompensato dall'abateDonnino con il feudo di Gambara, da cui la famiglia prese il nome (investitura riconfermata poi negli anni successivi in concomitanza con avvenimenti salienti per la storia di Gambara, quali ad esempio la disputa già citata riguardo alle chiese, o anche la recognitio dei feudi tenuti dai vari vassalli del monastero nel 1192[4]). Il gambero rosso dello stemma rimanda chiaramente al crostaceo, la cui assonanza con il cognome dei nuovi feudatari è evidente. Tuttavia, Gambara deriverebbe dal nome di una leggendaria valchiria omonima, calata in Italia assieme ai figli guerrieri per sostenere la spedizione del re Alboino nel VI secolo.[5]
Col passare del tempo il loro prestigio aumentò anche in sincronia con il rapido declino del monastero di Leno; fu così che i Gambara ottennero numerose terre riuscendo a creare una piccola seppur vera e propria organizzazione statale nella zona centro-orientale della Bassa Bresciana, sviluppando contemporaneamente dei forti legami all'interno della città stessa di Brescia, dove avevano varie dimore - risale al 1219/20 la costruzione della casatorre in contrada S.Agata[6], poi conosciuta come torre Teofila - ed inserendosi anche all'interno dei giochi di fazione interni al centro urbano (tanto che agli inizi del '400 uno degli appartenenti alla casata, Pietro Gambara, tentò anche di insignorirsi della città[7]). Si può sostanzialmente delineare una sorta di doppio radicamento: da un lato cittadino, continuando sempre ad avere continuità all'interno della vita politica bresciana, dall'altro rurale, perseguendo sempre più l'affermazione di uno status nobiliare e cavalleresco. Questo permise loro di fare leva, a seconda delle necessità, su due tipi di forza e influenza differenti, riuscendo così a superare piuttosto agevolmente le difficoltà a cui andò incontro il contado e la signoria rurale più in generale nel momento della maggior affermazione del comune.
Importantissimo in questo contesto è, da parte di Maffeo Gambara nel 1354, l'acquisto e successiva investitura da parte di Carlo IV di Boemia dei territori di Gambara, Remedello inferiore, Pralboino, Pavone, Leno, Ostiano, Volongo e Verola Alghise alla famiglia, che acquisì così ufficialmente vari diritti giurisdizionali che di fatto esercitavano già da tempo nella zona[8], concessione confermata poi da Giovanni Maria Visconti nel 1422 (i Gambara tennero infatti dei legami piuttosto stretti con i signori di Milano, tanto che Pietro Gambara arrivò a sposare Beatrice Visconti[9]). A raccogliere l'importante eredità che costituisce questa investitura fu Federico Gambara, il figlio di Maffeo, che proiettò definitivamente l'agnazione verso i fasti e gli splendori che la contraddistinsero nei secoli successivi: oltre ad espandere grandemente le proprietà in Gambara e dintorni, intrattenne rapporti con le maggiori corti dell'epoca (oltre ai Visconti, con il tramite di Filippino Emili - conosciuto all'interno del panorama politico bresciano[8] vi furono contatti importanti anche con Bonifacio IX, a cui il Gambara si rivolse per risolvere alcune questioni con la mensa vescovile). Da questo momento in avanti i Gambara riuscirono a perpetuare i diritti sui propri feudi, anche durante tutta la successiva dominazione veneziana: è noto infatti come Marsilio Gambara, nonostante il suo ruolo di capofila nel partito filovisconteo, già nel 1427 venisse legittimato nel possesso dei feudi di Verola Alghise, Milzano e Pralboino (dove avrebbe avuto anche facoltà di sentenziare per le cause penali), prerogative che vennero ampliate anche all’abitato di Gambara pochi anni più tardi. Addirittura, nel 1437, venne a lui riconosciuta la totale esenzione da ogni imposta presente e futura, un diritto trasmissibile agli eredi (anche se il motivo di tale concessione fu principalmente legato alla cessione alla città delle proprie case nel centro della piazza, uno spazio necessario all’ampliamento del mercato)[10].
Nel corso del tempo vennero poi a scontrarsi con i Martinengo, che possedevano la zona occidentale della pianura bresciana. A partire dal Quattrocento ebbero come centro principale Pralboino. Gianfrancesco, il padre della celebre poetessa Veronica, fu a servizio dei veneziani, combattendo per loro nella battaglia della Ghiaradadda (1509). Si schierò in seguito con i francesi, ciambellano e gentiluomo da camera di Luigi XII. Dopo aver accresciuto il prestigio familiare, ottenendo possedimenti a Verolanuova e Cremona, ottenne così i feudi di Manerbio e Quinzano.[11]
Lo stemma della famiglia Gambara consiste in un gambero di rosso visto di dorso posto in palo su oro.[12]
Questo stemma venne adottato probabilmente tra '300 e '400, in quanto negli affreschi del broletto di Brescia (che riportano varie famiglie nobili cacciate dalla città, in quelle che vengono definite come "pitture infamanti" e risalenti alla seconda metà del '200[13]) riportano invece uno stemma composto da una fascia dorata in campo nero[14].
^ Malvezzi G., Le cronache medievali di Giacomo Malvezzi, a cura di Archetti G., Brescia, 2016, p. 236.
^ Constable G., Monaci, vescovi e laici nelle campagne lombarde del XII secolo, in L'abbazia di San Benedetto di Leno: Mille anni nel cuore della pianura Padana, Brescia, 2002, p. 184.
^ Baronio A., Monasterium et populus - Per la storia del contado lombardo: Leno, Brescia, 1984, p. 259.
^D. Pizzagalli, La signora della poesia. Vita e passioni di Veronica Gambara, artista del Rinascimento, Milano, Rizzoli, 2004, p. 14
^ Paoletti D., Fasti e splendori dei Gambara – L’apice della potente famiglia bresciana in età rinascimentale e barocca, S.Zeno sul naviglio, 2010, p. 133.
^ab Pagnoni F., Brescia viscontea (1337-1403), Milano, 2013, pp. 194-199.
^ Guerrini P., Parentele viscontee a Brescia, in Archivio storico lombardo, LVI, 1929, pp. 112-113.
^ Zamperetti S., I piccoli principi: signorie locali, feudi e comunità soggette nello Stato regionale veneto dall’espansione territoriale ai primi decenni del ‘600, Venezia, 1991, pp. 157, 168-169.
^F. Balestrini, Veronica Gambara, in AA. VV., Profili di donne nella storia di Brescia, Brescia, Giornale di Brescia, 1986, pp. 146-149
^ Milani G., Before the Buongoverno: the medieval painting of Brescia's broletto as visual register, in Dartmann C., Scharff T., Weber C.F. (a cura di), Zwischen Pragmatik und Performanz: Dimensionen mittelalterlicher Schriftkultur, 2011, pp. 319-350.
^ Ferrari M., I cavalieri incatenati del broletto di Brescia. Un esempio duecentesco di araldica familiare, in Schweizer Archiv für Heraldik - Archivum heraldicum, 2008, pp. 181-212.
Bibliografia
Pompeo Litta, Famiglie celebri d'Italia. Gambara di Brescia, Torino, 1835, ISBN non esistente.
Muzzi G.B., L'aquila e il gambero. Poteri e società a Gambara tra antichità e medioevo, Brescia, 1997.
Succurro M.C., L'abbazia di San Benedetto di Leno (secoli VIII-XV). Istituzione, relazioni, aspetti patrimoniali, Firenze, 2012.
Viscardi B., Pralboino, Milzano e Verolanuova feudi dei Gambara, Brescia, 1994.
Giovan Battista di Crollalanza, Dizionario storico blasonico delle famiglie nobili o notabili italiane estinte e fiorenti, Bologna, A. Forni, Vol.1, SBNRAV0179678.