Ferdinando SciannaFerdinando Scianna (Bagheria, 4 luglio 1943) è un fotografo e fotoreporter italiano. Fu il primo fotografo italiano a far parte dal 1982 dell'agenzia fotografica internazionale Magnum Photos[1]. «È il suo fotografare, quasi una rapida, fulminea organizzazione della realtà, una catalizzazione della realtà oggettiva in realtà fotografica: quasi che tutto quello su cui il suo occhio si posa e il suo obiettivo si leva obbedisce proprio in quel momento, né prima né dopo, per istantaneo magnetismo, al suo sentimento, alla sua volontà e - in definitiva - al suo stile.» BiografiaFerdinando Scianna cresce in un piccolo paese della Sicilia rurale, Bagheria, in una famiglia modesta che per il figlio ha disegnato un futuro da dottore o da ingegnere.[2] Inizia ad appassionarsi alla fotografia fin da giovane, quando a 16 anni suo padre gli regala una macchina fotografica e Ferdinando si diverte a immortalare le sue compagne di liceo.[3] Dopo le superiori si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia presso l'Università di Palermo, dove seguirà diversi corsi senza tuttavia portare a termine gli studi, pur mantenendo una forte passione per queste materie che segneranno in modo tangibile il suo lavoro di fotografo.[4] Nel 1963 Leonardo Sciascia visita quasi per caso la sua prima mostra fotografica, che ha per tema le feste popolari, presso il circolo culturale di Bagheria. Quando s'incontrano di persona, nasce immediatamente un'amicizia che sarà fondamentale per la carriera di Scianna[5]. L'appoggio di Sciascia diventa per Scianna un lasciapassare importante per il mondo dell'editoria ed il fotografo siciliano riesce ad ottenere la sua prima pubblicazione. Nel 1965 pubblica Feste religiose in Sicilia, con testi e prefazione del noto scrittore Leonardo Sciascia. Il libro è frutto di tre anni di lavoro, e fa sì che il fotografo venga premiato con il prestigioso premio Nadar nel 1966, dando così più visibilità al suo lavoro e dando inizio alla sua brillante carriera. Nel 1967 Scianna si trasferisce a Milano; entro un anno inizia a collaborare come fotoreporter con il settimanale «L'Europeo», diventandone in seguito inviato speciale e infine corrispondente da Parigi.[5] Torna ripetutamente in Sicilia per documentare i volti della sua gente e le tradizioni popolari ancora vive nell'isola. Nel 1977 pubblica in Francia Les Siciliens (editore Denoel), con testi di Dominique Fernandez e Leonardo Sciascia, e in Italia La villa dei mostri (introduzione di Leonardo Sciascia). A Parigi scrive per Le Monde Diplomatique e La Quinzaine littéraire e soprattutto conosce Henri Cartier-Bresson, le cui opere lo avevano influenzato fin dalla gioventù.[6] Il grande fotografo lo introdurrà nel 1982 come primo fotografo italiano[7] nell'agenzia fotografica internazionale, Magnum Photos[8][9][10], di cui diventerà membro effettivo nel 1989. Attualmente oltre a Ferdinando Scianna, altri due importanti fotografi italiani sono membri effettivi della Magnum: Alex Majoli (presidente) e Paolo Pellegrin. Nel 1984 collabora con Bresson e André Pieyre de Mandiargues per Henri Cartier-Bresson: portraits (Collins). Nel frattempo stringe amicizia e collabora con vari scrittori di successo, tra i quali Manuel Vázquez Montalbán (che qualche anno più tardi scrive l'introduzione di Le forme del caos, 1989), che conosce quando si reca in Spagna in occasione di un servizio sulla Guerra Civile spagnola.[11]) Scianna viene contattato da Dolce e Gabbana, allora agli esordi nel mondo della moda, per realizzare una campagna pubblicitaria con un budget bassissimo. Scianna accetta senza troppa convinzione e senza entusiasmo. La campagna fu scattata in Sicilia, il team di lavoro era composto solamente dai due stilisti, ed il fotografo, la modella Marpessa Hennink non aveva truccatori, e si truccava e pettinava da sola. Scianna scelse luoghi dell'infanzia, inusuali per la fotografia di moda, ma il successo dei suoi scatti fornì un contributo essenziale alle campagne di Dolce e Gabbana della seconda metà degli anni Ottanta e alla crescita del brand.[12] Questo servizio aprì a Scianna le porte di Vogue e di Grazia, con cui collaborò molto negli anni ottanta, affermandosi nell'alta moda[5] e in pubblicitàcome uno dei fotografi più richiesti.[13] Nel 1995 ritorna ad affrontare i temi religiosi, pubblicando Viaggio a Lourdes, e nel 1999 vengono pubblicati i ritratti del famoso scrittore argentino Jorge Luis Borges. Il 2003 vede l'uscita del libro Quelli di Bagheria (facente parte di un progetto più ampio che include un documentario e varie mostre), ricostruzione dell'ambientazione e delle atmosfere della sua giovinezza attraverso una ricerca nella memoria individuale e collettiva. Nel dicembre 2006 viene presentato il calendario 2007 del Parco dei Nebrodi, con dodici scatti dell'attrice messinese Maria Grazia Cucinotta.[14] Con il concittadino Giuseppe Tornatore, in occasione del suo nuovo film Baarìa, pubblica nel 2009 il libro fotografico Baaria Bagheria.[15] Al fotografo siciliano sono state dedicate diverse mostre, tra cui l'ultima a Venezia nel 2020.[16] Ferdinando Scianna ha pubblicato anche diversi romanzi, tra cui Autobiografia di un fotografo, ristampata e aggiornata nel 2021.[17] Lo stile«È questo che fa il fotografo. Guarda il mondo e ogni tanto ne riconosce un istante significativo, significativo sul piano del racconto, e naturalmente tanto di più la forma lo accompagna tanto di più e di più significante viene raccontato. Insomma, per me foto e racconto è veramente un sinonimo. Non ho mai pensato alla fotografia altrimenti che così.» Note tecniche«Io guardo in bianco e nero, penso in bianco e nero. Il sole mi interessa soltanto perché fa ombra[18]» La fotografia di Ferdinando Scianna, rigorosamente in bianco e nero create sfruttando la luce naturale[19], è facilmente riconoscibile sia per temi che per stile. Preponderante è il gioco di luci ed ombre, sempre al centro dell'immagine e che conferisce ai soggetti una rotondità ricercata. La luce nelle fotografie di Scianna è sempre naturale e grazie a una sua particolare tecnica le immagini sono costruite a partire dall'ombra, con la caratteristica di risultare spesso molto scure. In diverse interviste Scianna ha affermato: "Io dico che il sole mi interessa perché fa ombra".[20] Gli scatti di Scianna presentano diversi elementi "teatrali": le fotografie sono quasi sempre scattate frontalmente, come se dietro vi fosse una quinta e se i soggetti si muovessero su un palcoscenico, all'interno di una scenografia ben precisa.[21] Lo stesso Scianna si è più volte definito "bressoniano", riconoscendo in Henri Cartier-Bresson il suo maestro, e colui che gli ha insegnato l'importanza di saper cogliere il quotidiano, influenzandone lo sguardo prima attraverso le pubblicazioni di Bresso e poi nella profonda amicizia che ha legato i due artisti.[22] Per Ferdinando Scianna calarsi nel contesto che intende rappresentare è parte integrante del lavoro di preparazione di uno scatto, tanto che usava mangiare piatti tipici del luogo e parlare con la gente del posto, che spesso diventava lo stesso soggetto della foto.[23] Racconti per immaginiLa fotografia di Scianna vive della profondità di un racconto, nelle immagini vi si trova tensione drammatica, pathos e talvolta ironia, tutti elementi che comunicano con lo spettatore coinvolgendolo ed invitandolo ad immaginare anche ciò che va oltre la cornice. In questo contesto si inserisce il tema della ricerca dell'identità, non solo del singolo, ma anche un'identità collettiva, popolare, legata al concetto di appartenenza ad un gruppo sociale, con il quale si condivide la terra d'origine, una matrice culturale, le usanze e le tradizioni. In questo senso le sue immagini possono essere considerate "letterarie",[24] poiché nascono dall'esigenza di raccontare e non solo mostrare il teatro dell'esistenza in cui tutti siamo partecipi, il fluire della storia e dei destini. Quella che Scianna vuole raccontare è una Sicilia che cambia velocemente ed inesorabilmente, pur rimanendo ancorata ai suoi riti e alle sue tradizioni. Scianna, oltre alla religiosità popolare e le esperienze mistiche, immortalerà anche la guerra ed i frammenti dei suoi viaggi. Ferdinando Scianna ha si è cimentato più volte anche nel ritratto, non solo di personaggi noti come Sciascia, ma anche di gente comune. Nel libro Il viaggio di Veronica spiega che un ritratto deve cogliere lo spirito del soggetto, rappresentandone l'anima e non solo il volto, e afferma: "Si sbaglia spesso, anzi, si sbaglia quasi sempre. Il 95 per cento delle mie fotografie è frutto di un errore".[25] OpereLista incompleta di opere:
Mostre personali[26]
Note
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